Viterbo promuove i “piccoli musei”



Il 26 e 27 settembre scorso, la Rocca Albornoz di Viterbo, sede del Museo Nazionale Etrusco, ha ospitato il Quinto Convegno Internazionale dei Piccoli Musei, un incontro annuale che vede riuniti specialisti in museologia, museografia, economia e marketing, responsabili di musei e pubblici amministratori per discutere di gestione dei musei “minori” e di piccole dimensioni, e di altre tematiche attinenti questo argomento. Non entro nel dettaglio dei contenuti che sono stati prodotti durante la due giorni viterbese, organizzata dall’Associazione Nazionale Piccoli Musei (APM), e che saranno oggetto di prossima pubblicazione, ma vorrei esprimere qui delle considerazioni sul significato che questo evento ha rappresentato per la collettività e, più in generale, alcune mie riflessioni sul ruolo sociale dei musei.
A mio parere, una comunità locale rafforza il proprio senso di identità proprio nel momento in cui si apre agli altri, cioè quando decide di condividere la ricchezza del proprio patrimonio culturale con il mondo esterno. E’ importante, però, che questa apertura implichi una profonda conoscenza di sé, non dettata da un banale orgoglio campanilistico che in un momento successivo potrebbe generare, al contrario, chiusure e intolleranze. Ciò che conta è una piena consapevolezza dell’importanza delle proprie radici, delle tradizioni e della cultura del luogo in cui si vive. Ho usato volontariamente l’espressione “in cui si vive” e non “in cui si è nati” perché la sensibilità culturale e spirituale cui mi riferisco non è necessariamente legata alle origini ma, piuttosto, all’indole delle persone: può accadere, infatti, che chi vanta antiche ascendenze locali sia poi, all’atto pratico, più indifferente nei riguardi della propria cultura rispetto a chi ha acquisito più di recente il diritto di sentirsi parte della comunità.

Il confronto con gli altri aiuta a capire se stessi e i musei possono avere un ruolo determinante nel processo formativo e nel mantenimento dell'autocoscienza della collettività. E’ importante che questo concetto si rafforzi anche grazie a momenti di pubblico dibattito. Il convegno di Viterbo ha portato in città persone provenienti da tutta Italia e anche dal resto del mondo - Brasile, Slovenia e, a distanza, la Spagna – con la presenza di delegazioni i cui rappresentanti, specialisti di organizzazioni ministeriali e regionali dei rispettivi Paesi di origine (Instituto Brasileiro de Museus – IBRAM; Museo regionale di Ptuj; rete locale dei Musei andalusi, REC CIE), hanno potuto osservare e comparare con le proprie le forme di gestione dei piccoli musei di Viterbo e della provincia. Ciascuno ha portato la propria esperienza e l’ha condivisa con tutti. Sono emersi aspetti positivi e problematiche, ma ritengo che uno dei risultati più apprezzabili di questo avvenimento sia stato il clima di grande collaborazione e cordialità che si è creato tra i partecipanti. 
Durante il convegno sono state numerose le presenze di uditori da tutta Italia (circa 200 nel corso delle due giornate) e anche di viterbesi, della città e della provincia. Tale presenza locale è da evidenziare a prescindere dalla sua entità. Non ritengo essenziale, infatti, che i residenti presenti al convegno siano stati molti o pochi; più importante è che dai presenti sia stata accolta o consolidata l’idea che il patrimonio culturale appartiene all’intera comunità (la cui salvaguardia è imprescindibile da una forte presa di coscienza civica) e che i piccoli musei, indipendentemente dal tipo e dalla natura giuridica, sono il luogo per eccellenza in cui poter dare forma e concretezza al desiderio di compartecipazione della gente.
Mi piace raffigurare simbolicamente il buon risultato di questo convegno, in particolare per la città che ci ha dato ospitalità, con l’immagine di un germoglio che sta nascendo in un terreno fertile: non si può non considerare, infatti, che la Tuscia possiede circa 70 musei, alcuni dei quali applicano efficacemente forme di gestione in cui la relazione museo/comunità ha un ruolo importante. Tale orientamento dovrà essere potenziato ed esteso a molti altri musei del viterbese, ma questa prospettiva potrà essere attuata se si verificheranno due condizioni indispensabili: la prima è la passione (“la passione è fondamentale ed è a costo zero”, ama ripetere David Fleming, famoso curatore britannico), senza la quale è arduo, per chi ha la cura di un museo, riuscire a coinvolgere il pubblico più difficile, quello dei residenti; la seconda è il sostegno delle istituzioni locali, che non può limitarsi alla sola erogazione di fondi ma che deve fondarsi soprattutto sulla consapevolezza, cioè sulla capacità di comprendere le potenzialità che un museo può avere per lo sviluppo sociale e perfino economico di una città o di un territorio. Il museo che viene tenuto aperto quel tanto che basta per accogliere i pochi turisti di passaggio è destinato a chiudere o a restare un luogo senza vita e senz’anima.
Il museo che si rivolge innanzitutto alla propria comunità, invece, la coinvolgerà in iniziative in grado di richiamare l’attenzione di ogni categoria sociale, cercherà la collaborazione di aziende, artigiani, etc., creando favorevoli sinergie tra economia, cultura e territorio. Sarà un museo vivo e solo dopo potrà aprirsi agli altri visitatori in modo corretto, creando interesse intorno a sé anche se distante dalle rotte più importanti del turismo nazionale e internazionale perché è l’autenticità che richiama i visitatori più sensibili alle proposte culturali e ambientali di nicchia. “I primi turisti sono i residenti”, afferma Giancarlo Dall’Ara, fondatore dell’APM, secondo il quale “i musei possono avere un ruolo fondamentale nel rilancio dei territori se si valorizzeranno le radici culturali locali, investendo più sulle persone che sugli strumenti della promozione tradizionale”.
Durante il convegno di Viterbo abbiamo avuto l’opportunità di confrontarci direttamente con i direttori di alcuni musei locali e abbiamo percepito una grande voglia di fare da parte di questi professionisti che spesso operano in condizioni di semi-volontariato o di puro volontariato, con entusiasmo ma anche con un senso di avvilimento perché senza il sostegno convinto delle istituzioni si finisce con il dover lavorare al minimo delle potenzialità. Il mondo variegato e complesso dei musei risente della mancanza di un sistema di standard efficace che considera più importanti gli aspetti qualitativi piuttosto che quelli quantitativi. I direttori dei musei con cui ci siamo confrontati nella Tuscia, hanno lamentato, da parte della Regione (e questo è un problema che non riguarda solo la Regione Lazio) una costante richiesta di dati sul numero di ingressi e nessun tipo di processo valutativo della qualità delle iniziative culturali prodotte nei loro musei.
E’ necessario invertire la rotta premiando le buone pratiche e incentivando il più possibile l’attività culturale ed educativa dei musei, cioè quella che si dovrebbe svolgere ogni giorno all’interno delle strutture museali (e non solo l’impegno limitato a poche “giornate speciali” cui il Ministero dei Beni culturali e i media danno così tanto risalto). E’ importante incoraggiare le attività “dal basso”, quelle che nascono grazie al coinvolgimento diretto della comunità, migliorare il rapporto con le scuole, che non si limiti a episodiche visite scolastiche programmate saltuariamente, ma che sia veramente continuativo e interattivo, intra ed extra muros; altrettanto importante è lavorare per l’inclusione sociale e per aiutare la comunità a risolvere i problemi.  Per capire quanto sia incisiva l’azione di un museo, la sua realtà deve essere analizzata in modo completo, tenendo conto anche di tutto ciò che si muove intorno ad esso: le professionalità che ad esso afferiscono, le varie forme di volontariato e, in particolare, l’associazionismo, espressione dell’impegno civico collettivo. Ogni luogo, inoltre, ha caratteristiche sue proprie e anche questo incide sulla scelta del tipo di pianificazione culturale da parte dell’ente museale.
Una strategia gestionale orientata verso la collettività non mette in secondo piano il lavoro di ricerca e di divulgazione delle conoscenze che ogni museo deve compiere, ma significa fare in modo che le “collezioni” e lo studio della materia di riferimento (che si tratti della storia dell’arte o dell’antropologia o delle scienze naturali, o di qualunque altra disciplina) servano a rendere attivo il ruolo sociale del museo, “il suo essere elemento di aggregazione, di continuità e di identità di una comunità (che) si esplica, dunque, nel conservare per la comunità e nel mostrare alla comunità i prodotti della propria storia” (Giovanni Pinna).

Il convegno di Viterbo dell’Associazione Nazionale Piccoli Musei è un evento che non potrà ripetersi a breve termine ma non vogliamo che le premesse che sono state create in questa occasione svaniscano nel nulla. Se riusciremo a trovare altri momenti di incontro e di dibattito costruttivo in ambito locale, sarà possibile riprogettare il futuro dei musei della Tuscia con la collaborazione di tutti. Il nostro territorio e, in generale, tutto il Paese, non ha bisogno di veder nascere nuovi musei se questi non sono realmente l’espressione della volontà comune, popolare ed istituzionale, che sostenga e alimenti il progetto scientifico/culturale degli specialisti. Il convegno di Viterbo e gli altri incontri che lo hanno preceduto negli anni passati non devono essere intesi, quindi, come una “esaltazione” acritica dei piccoli musei, ma per quello che effettivamente rappresentano: momenti di approfondimento e di analisi delle problematiche che riguardano i musei visti attraverso “la piccola dimensione”, una condizione che interessa tanto i musei dei piccoli centri quanto quelli delle grandi città, talora definiti “musei minori” e non “piccoli” perché non tutti sono limitati in termini di spazio ma sono ridotti più in relazione al numero dei componenti dello staff, alla quantità di visitatori e alla esiguità delle risorse disponibili, in raffronto con i grandi musei più noti e frequentati. Ci auguriamo che il convegno appena concluso abbia contribuito a diffondere il concetto che essere musei “piccoli” significa cogliere il valore di questa condizione e sfruttarne i vantaggi: la possibilità di poter dedicare la maggior parte delle proprie risorse ed energie alla cura dell’accoglienza, al rapporto più stretto e meno formale con il pubblico, alla ricerca della collaborazione di tutta la collettività.


Caterina Pisu
Coordinatrice nazionale

Associazione Nazionale Piccoli Musei


Say cheese! The museum is open, today!

...e qualche considerazione personale a margine del Quinto Convegno Internazionale dei Piccoli Musei

di Caterina Pisu

Recentemente anche in Italia, grazie al Decreto Cultura, varato dal Consiglio dei ministri il 22 maggio 2014, si permette di scattare fotografie nei musei, purché non si utilizzi flash o alcun altro tipo di illuminazione artificiale, né alcun tipo di treppiede o stativo, e purché gli scatti siano solo per uso personale e assolutamente non a scopo di lucro. Questa novità è stata accolta con un sospiro di sollievo perché finalmente i musei non saranno più quei luoghi in cui abbiamo paura che un arcigno custode ci rimproveri se ci scappa qualche click durante la visita a un museo. E in effetti chi non si è sentito a disagio in queste situazioni?
In Italia le nuove disposizioni non sembrano aver creato problemi, o almeno non ne è giunta notizia, ma si cominciano a vedere gli effetti negativi di questo nuovo orientamento generale in alcuni grandi musei stranieri. Uno di questi è la National Gallery di Londra dove sembra che si sia generato il caos a seguito della concessione di fotografare liberamente al suo interno. Da che cosa dipende la situazione che si è venuta a creare? Lo spiega Nina Simon in un articolo sul suo blog Museum 2.0, tradotto da Ilaria Baratta per Finestre sull’Arte  che mi offre lo spunto per qualche riflessione. Quando anche da noi, in Italia, si è iniziato a parlare molto di musei partecipativi, mi sono subito chiesta che cosa significasse esattamente questa parola. Da noi spesso si associa il concetto di partecipazione collettiva all’utilizzo dei social media o alla adesione a manifestazioni speciali come le Giornate Europee del Patrimonio, le Notti dei Musei e le Invasioni Digitali che sicuramente hanno avuto il merito di creare interesse e di sensibilizzare pubblico e professionisti museali su un certo tipo di fruizione museale. Mi domando se possiamo definire una vera partecipazione collettiva questi eventi o se si tratta di avvenimenti sporadici che non incidono, poi, sulla quotidianità del museo. Sarebbe interessante sapere se tra una manifestazione di questo tipo e l’altra, il modo di concepire la programmazione culturale di quei musei sia cambiato e se sia effettivamente mutato il loro modo di rapportarsi con i visitatori e più in generale con la comunità. Giustamente la Simon, promotrice del museo partecipativo, afferma che il caos che si è creato alla National Gallery dimostra che questa folla è soprattutto ansiosa di essere parte di una percezione collettiva, di una sorta di "rito religioso" che culmina nella conquista dell’opera famosa per mezzo dell’obiettivo di una macchina fotografica. Di chi è la "colpa" di questo fenomeno sociale? Sicuramente degli stessi musei, i quali hanno “esasperato questo culto della celebrità dando molta enfasi a mostre di successo e a spettacoli itineranti”; viene detto alla folla che non deve perdere questa occasione e questa “si affanna in una continua e frettolosa ricerca, macchina fotografica rigorosamente in mano”. Le giornate speciali, come le Notti dei musei e le Invasioni Digitali hanno contribuito anch’esse, involontariamente, a rafforzare l’idea del patrimonio culturale come parte di un grande flash mob.
E’ opportuno fare tesoro della lezione che ci viene dagli errori altrui e dai nostri e cominciare finalmente a non confondere l’apparente partecipazione che deriva non dal risultato di un processo di cambiamento o come effetto di una nuova pianificazione delle attività culturali del museo, ma solo dalla voglia di essere parte di un evento collettivo. Una moda che bisogna seguire per non essere esclusi dal grande gioco. Si tratta di manifestazioni i cui risultati possono essere misurati, forse, solo numericamente: successi straordinari che poi, all’atto pratico, producono risultati insignificanti sul piano culturale e sociale, pur considerando le eccezioni che meritano di essere riconosciute e lodate. Lo sappiamo bene tutti noi che ci affanniamo ad organizzare eventi e giornate speciali ma che siamo anche consapevoli che alcuni musei, una volta spenti i riflettori, torneranno alla consueta immobilità. La gente è libera di fotografare nei musei e molti accorrono per prendere parte ai grandi eventi speciali, ma poi continua a non partecipare realmente alla produzione dei contenuti culturali del museo nell’arco dei restanti 365 giorni. Questo, invece, è il rinnovamento che dobbiamo auspicare.

In occasione del Quinto Convegno Internazionale dell'Associazione Nazionale Piccoli Musei che si è svolto a Viterbo lo scorso 26 e 27 settembre, è stato evidenziato che il rapporto dei musei con la propria comunità è un lavoro che richiede continuo stimolo e il coinvolgimento di tutti. Si tratta di un lavoro costante, giornaliero, che può prevedere certamente anche la preparazione di eventi speciali ma che non fa di essi il perno intorno ai quali si basa l'attività del museo. Siamo in un momento di passaggio tra la vecchia visione dei musei e la nuova: i continui richiami a utilizzare la comunicazione 2.0 e le nuove tecnologie hanno avuto l'effetto di produrre, talvolta, una sorta di rattoppo con stoffa nuova in un tessuto vecchio. Il rinnovamento, invece, deve essere totale e non basta certo consentire le riprese fotografiche o avere una pagina Facebook per essere "musei moderni". Si tratta di elementi che vanno presi in considerazione, certamente, nell’ambito di una realtà propositiva e partecipativa del museo, ma sempre nella giusta proporzione e in relazione con tutti gli altri aspetti che riguardano la comunicazione museale, la ricerca, la produzione di contenuti e l'attività di mediazione sociale, di inclusione e di educazione a favore della collettività.

Articolo correlato: http://museumsnewspaper.blogspot.it/2014/08/se-troppo-successo-famale-al-museo-di.html

A Viterbo il Quinto Convegno Internazionale dei Piccoli Musei



Il 26-27 settembre, a Viterbo, presso il Museo Nazionale Etrusco, Rocca Albornoz, si svolgerà il Quinto Convegno Internazionale dei Piccoli Musei organizzato dall’Associazione Nazionale Piccoli Musei (APM) con il patrocinio del Comune di Viterbo, della Provincia di Viterbo e con la collaborazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale e dell’Incubatore Culturale ICult- BIC Lazio.
Collaborano all’organizzazione dell’evento la Società Archeoares, l’associazione Archeotuscia e l’associazione Historia.
La prima giornata del convegno, venerdì 26, avrà inizio alle ore 15.00, la seconda giornata, sabato 27, alle ore 9.00.
Negli anni precedenti i convegni annuali dell’APM si sono svolti a Castenaso (BO), a Battaglia Terme (PD), ad Amalfi (SA), e ad Assisi (PG).
Ad ogni edizione hanno partecipato specialisti del settore dei musei, del turismo, della comunicazione e dell’economia per discutere e per confrontarsi su tematiche inerenti i piccoli musei o i cosiddetti musei “minori”, ma che in ogni Paese del mondo rappresentano una realtà importante (in Italia sono il 90% dei musei) e molto spesso il tessuto culturale più vivo e più vicino alle comunità. E’ importante che i piccoli musei non siano considerati “copie ridotte” dei grandi musei, ma istituzioni con proprie caratteristiche specifiche, i cui punti di forza sono soprattutto la capacità di essere accoglienti e di essere luoghi culturalmente e socialmente vivificanti dei territori cui appartengono.
Si tratta dell’unico convegno, in Italia e in Europa, dedicato espressamente ai piccoli musei, e del secondo nel mondo insieme al convegno dell’organizzazione statunitense Small Museums Association.
Quest’anno, in occasione del Convegno di Viterbo si avranno due importanti novità: la prima è l’apertura al confronto con le realtà museali estere. 
Giungerà a Viterbo dal Brasile una delegazione dell’Instituto Brasileiro de Museus-IBRAM e, dalla Slovenia, la Dott.ssa Aleksandra Nestorović, curatore della sezione archeologica del Pokrajinski muzej Ptuj (Museo regionale di Ptuj - Ormož).  
Gli ospiti stranieri saranno presenti a Viterbo dal 23 settembre per partecipare al convegno e per compiere un viaggio tecnico di conoscenza dei metodi di gestione dei musei di Viterbo e del suo territorio, in particolare del Sistema museale del Lago di Bolsena. L’APM è in contatto con la rete museale spagnola RED CIE della regione andalusa, la quale invierà un messaggio di saluto in questa occasione.
La seconda novità è un evento che sarà collegato al convegno ma che abbiamo voluto dedicare in modo specifico a Viterbo: il Focus Tuscia, una vetrina delle eccellenze, dei prodotti e delle attività culturali ed editoriali del territorio viterbese. Il Focus Tuscia avrà inizio alle ore 15.00 del 27 settembre, subito dopo la chiusura della seconda giornata del convegno, e si svolgerà presso la sede dell’Incubatore Culturale ICult-BIC Lazio. Alle 17.00 è previsto un seminario/incontro con i direttori dei musei della Tuscia.

Il sito web del Quinto Convegno dei Piccoli Musei: http://quintoconvegnoapm.weebly.com

Il sito web ufficiale dell’Associazione Nazionale Piccoli Musei: http://piccolimusei.weebly.com

Small Museums Best Practices: call for papers

Nasce il nuovo blog/journal  dell'Associazione Nazionale Piccoli Musei



APM is calling for contributions to its new blog/journal, "Small Museums Best Practices", http://smallmuseumsbp.over-blog.com/, a compilation of case studies and best practices in small museums.
You may send your contribution  in .doc or .pdf format as attachment to the e-mail address piccolimusei@hotmail.com. Contributions in English, Spanish and French will be accepted. Thank you for your contribution to our research activities.


L’Associazione Nazionale PiccoliMusei - APM dedica particolare attenzione alle buone pratiche messe in atto dai professionisti museali e dai volontari che operano nell’ambito dei piccoli musei. Ogni anno un’ampia sezione dei nostri convegni nazionali è dedicata a queste tematiche.
In generale, però, si nota una mancanza di informazione al riguardo o una dispersione dei casi studio attraverso i più disparati canali, in assenza di uno spazio pensato espressamente per riunirli e rendere più semplice la consultazione. Il risultato di ciò è che - sebbene siano tanti i piccoli musei che elaborano e realizzano progetti interessanti inerenti la gestione, la didattica, il rapporto con la comunità, le azioni inclusive o socialmente utili - non sempre i risultati prodotti ottengono adeguato riscontro.
Accade, pertanto, che si continui a pensare ai musei, soprattutto ai piccoli musei, solo in termini di numeri, cioè di biglietti venduti, senza considerare altri parametri di valutazione che tengano conto soprattutto dei benefici che i piccoli musei possono apportare alla vita della società.
L’APM, quindi,  ha deciso di dare vita ad un blog/journal, “Small Museums Best Practices”, http://smallmuseumsbp.over-blog.com/, cui tutti possono contribuire per far conoscere le proprie buone pratiche, i progetti e le iniziative che si desidera mettere in evidenza. Per partecipare si prega di inviare il proprio contributo in formato .doc o .pdf all’indirizzo di posta elettronica piccolimusei@hotmail.com.
Vi ringraziamo fin d’ora per la Vostra collaborazione.

Associazione Nazionale Piccoli Musei
http://piccolimusei.weebly.com

Il Manifesto dei Musei Age Friendly



La prima Age Collective Conference ha avuto luogo il 22 novembre 2013 presso il British Museum  ed ha riunito 172 relatori e delegati provenienti da una vasta gamma di settori di tutto il Regno Unito. 
Age Collective è un progetto realizzato in partnership dal British Museum con Glasgow Life (Glasgow Museums), il Manchester Museum e il National Museums Northern Ireland.

In quella occasione è stato redatto il Manifesto dei Musei Age Friendly. Di seguito, il testo:

Un Museo Age-Friendly...

…abbraccia le opportunità e le sfide che si accompagnano all'invecchiamento della popolazione e ai cambiamenti demografici; l’età non è un ostacolo al coinvolgimento o alla partecipazione.

…riconosce che la categoria della persone anziane è tutt'altro che omogenea e che può avere stili di vita, esperienze di vita, punti di vista, requisiti e interessi verso le collezioni museali del tutto differenti.

…fornisce opportunità di partecipazione sostenibili, di alta qualità e rilevanti che possono soddisfare le esigenze del pubblico più anziano; adotta soluzioni per cercare di raggiungere coloro che non possono recarsi fisicamente a visitare i musei.

…utilizza accorgimenti per il benessere e il comfort delle persone - tra cui poltrone con poggiaschiena e braccioli!

…utilizza le collezioni dinamicamente al fine di valorizzare le singole storie di vita e favorire nuove esperienze, opportunità di apprendimento e il pensiero creativo.

…riconosce il valore della terza età e il contributo positivo che gli anziani danno alla società. Lavora per dissipare le percezioni negative dell'invecchiamento e creare dialogo  tra le varie generazioni.

…valorizza le conoscenze, le competenze e l'esperienza che tutte le persone anziane portano con sé, sia che si tratti di dipendenti, di volontari oppure di visitatori.

…collabora per condividere le esperienze con gli altri musei, con gli operatori sanitari e sociali, con gli studiosi delle università, come le organizzazioni rivolte alle persone anziane e con gli anziani della propria comunità locale.


…si impegna a formare il proprio personale a tutti i livelli, affinché riesca a coinvolgere e a comprendere meglio il pubblico dei più anziani.
Se troppo successo fa male al museo

di Salvatore Settis

Da La Repubblica, 30 luglio 2014


Sterminate folle premono sui musei, sulle città d’arte. Miliardi di cinesi, indiani, giapponesi, russi che paiono dietro l’angolo disegnano nuove frontiere non della cultura ma della cupidigia di nuovi introiti. 

Il turismo mordi-e-fuggi genera l’arte usa-e-getta (il 75% dei turisti che vanno a Venezia si fermano meno di un giorno lasciandovi chili di detriti).

La neomania dei selfie, sdoganati come performance individualista, inonda il web di fotoricordo che certificano non la curiosità culturale ma la presenza rituale del turista. Non archiviano il ricordo, sostituiscono lo sguardo: perciò la loro quantità è più importante della qualità. La visita a un museo somiglia più a una simulazione che all’esperienza di un tempo, l’incontro di una persona (il visitatore di oggi) con un’altra (Giotto, Caravaggio, Rembrandt). Perciò in un libro recente (2010) Steven Conn si domanda sin dal titolo se i musei hanno ancora bisogno di oggetti (Do Museums still need Objects?). Secondo lui, via via che diminuisce la fiducia nel potere degli oggetti di trasmettere conoscenza diminuiscono di numero gli oggetti esposti nei musei, crescono gli apparati tecnologici e le appropriazioni fotografiche. Il nuovo rituale turistico sostituisce la tecnologia alla storia, la rappresentazione virtuale alla realtà.

Le immagini su un cellulare acquistano un grado di verità e un’intensità di esperienza che non si accontentano di essere equivalenti al contatto con «la cosa vera», vogliono essere superiori ad esso. Consentono manipolazioni (ingrandire un dettaglio), archiviazione di impressioni momentanee, scambi di opinioni via Facebook. L’oggetto d’arte diventa il mero innesco di un processo sensoriale che si svolge prevalentemente altrove. Davanti alla Gioconda, il 20% dell’esperienza (diciamo) è quella del quadro nell’affollatissima sala del Louvre; ma l’80% ha luogo nello smartphone, nell’i-Pad, in un labirinto di modalità interattive che consentono inedite forme di appropriazione. Secondo Conn, la storia (la “cosa vera”) sta diventando noiosa, la tecnologia la rivitalizza; la realtà virtuale è superiore alla realtà tangibile, l’illusione prende il posto della riflessione, la duplicazione spodesta l’unicità dell’originale. L’irriducibile diversità del passato si diluisce e si annienta in un gratuito bricolage. Viene in mente Baudrillard: «Il simulacro non è mai ciò che nasconde la verità; la verità è il simulacro, e nasconde che non c’è alcuna verità. Solo il simulacro è vero».

Le folle che si accalcano davanti alla Gioconda e ignorano i Leonardo della sala lì accanto e l’accanimento fotografico che sostituisce lo sguardo sono fratelli: due declinazioni della fretta, di una concezione del museo come esperienza di consumo, di una stessa rinuncia alla riflessione. Vi sono rimedi? Il Louvre ci sta provando a Lens, città mineraria in gran decadenza, dove un “secondo Louvre” è stato aperto con gran successo un anno fa, e ha già avuto più di un milione di visitatori, rianimando un’area di scarsa attrattività. Scegliendo oggetti della collezione e disponendoli in ordine cronologico (ma mescolando le opere d’arte dei vari dipartimenti), sia lo staff del museo che i visitatori sono invitati a riflettere sulla consistenza e sulla storia delle collezioni; collocando a Lens una bellissima mostra sui Disastri della guerra che ricorda l’anniversario 1914-2014, una parte cospicua di visitatori è attratta altrove, e moltiplica le potenzialità di quel grande museo. Se arrestare la valanga di selfie pare difficile, sarà possibile diffondere una cultura della lentezza che nell’osservazione dell’opera d’arte veda un’occasione di riflessione e di crescita civile? È immaginabile mettere in rete i tour operator e indirizzare i flussi turistici non solo su poche destinazioni iconiche, ma sulla trama minuta dei monumenti, delle città, dei musei?

A queste domande nessuno si aspetta più risposte dirimenti dall’Italia, che pure è il Paese con la più nobile tradizione museografica, con le più antiche norme di tutela, prescritta dalla Costituzione nell’art. 9, sempre celebrato e mai pienamente attuato. Volgari approssimazioni vedono nell’arte delle nostre città e dei nostri musei un’occasione di business e non un’esperienza di vita; circola nei palazzi del potere la stolta ipotesi che un manager vale per principio più di uno storico dell’arte; si ipotizza di chiudere musei e siti archeologici con pochi visitatori, si ironizza sul fatto che gli Uffizi abbiano meno visitatori del Louvre (che è 30 volte più grande). E intanto è in fase di cottura una riforma del ministero dei Beni culturali innescata non (come sarebbe giusto) dalla voglia di investire sulla cultura, di assumere nuovo personale, di mettere l’Italia in prima fila in un discorso, quello sul rapporto fra arte e cittadinanza, che sarà fra i più importanti del nostro secolo; ma da una pretestuosa spending review , e cioè da ulteriori tagli che vanno ad aggiungersi a quelli perpetrati dal 2008 in poi da governi d’ogni colore. Ma la colpevole insistenza sul turismo come ragione ultima delle cure dovute al nostro patrimonio culturale trascura il solo punto essenziale: quel patrimonio non è dei turisti, ma dei cittadini; è “nostro” a titolo di sovranità (questo dice la Costituzione), è consustanziale al diritto di cittadinanza, serbatoio di energie morali per costruire il futuro. L’Italia ha su questo fronte un diritto di primogenitura, ma pare decisa a rinunciarvi.

Comunicazione vera o apparente?



Quando parliamo di musei e di comunicazione sui social media, "non è sempre tutto oro quel che luccica", soprattutto se la comunicazione e il rapporto sul web con il pubblico sono affidati totalmente a società in house

Se non c'è alcun coinvolgimento da parte dello staff del museo, in realtà il dialogo è solo apparente, e se non si può dire che si tratta di un bluff però è evidente che tra il museo e i visitatori virtuali è stata posta una barriera.

Nel settore del marketing la questione è già stata approfondita e uno degli aspetti fondamentali di una buona strategia è la capacità di interagire in prima persona.

A tale proposito, così si è espressa Carlotta Petracci, esperta italiana di storytelling e di comunicazione, fondatrice dello studio creativo White

La prima cosa che facciamo noi, quando un marchio ci affida la gestione della sua pagina o dei suoi profili, è fare un piano editoriale che sia contemporaneamente di approfondimento (anche se in pillole) e di intrattenimento. Raramente ci sostituiamo ai marchi nelle risposte perché riteniamo che quello sia un lavoro molto personale e che un marchio, come una persona fisica, debba prendersi la responsabilità della costruzione della propria reputation online. E' una questione di autenticità. Noi possiamo sviluppare piani, campagne, contenuti visivi e di copy, ma non possiamo e non vogliamo sostituirci alle persone. Le conversazioni sono una cosa preziosa e devono essere vere".
(Dal magazine "Uomini e donne della comunicazione")

Forse è per questo che i piccoli musei (o i grandi musei che dimenticano di essere tali) raggiungono il cuore delle persone più in fretta? 

Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

Fonte dell'immagine: The Federalist Negli Stati Uniti, presso l’Art Institute of Chicago (AIC) si è aperto un caso che potrebbe essere d...