"Se occhio non mira, cuor non sospira"


Ma alcuni turisti in visita al MET si sono accorti, invece, che non avrebbero dovuto pagare il biglietto d'ingresso: intentata una causa contro il famoso museo di New York


di Caterina Pisu



E’ di questi giorni la notizia che il Metropolitan Museum of Art di New York è stato citato in giudizio, accusato di aver ingannato i visitatori: sembra che la maggior parte di essi non avesse idea di poter visitare gratuitamente il museo e che la quota “consigliata” di $ 25 (prima del 2011 era di soli $ 5)  fosse facoltativa.
La causa, secondo l’agenzia di stampa Reuters, sarebbe stata intentata da due turisti cechi e da un associato del museo, i quali incolpano il MET di aver fatto ricorso a informazioni ingannevoli e ad altri metodi per far credere che i visitatori dovessero pagare per poter entrare. Un reclamo era stato presentato anche alla fine dello scorso anno da due associati del museo che sostenevano che la segnaletica del museo è fuorviante per il pubblico.
Il prezzo di 25 dollari “consigliato” per l’ingresso si applica soltanto agli adulti, mentre per gli anziani sopra i 67 anni è di $ 17. I bambini sotto i 12 anni possono entrare gratuitamente se accompagnati da un adulto.
Il museo si è giustificato affermando che con il bilancio in perdita è difficile fare fronte alle continue sfide imposte dal momento attuale, anche a causa della notevole diminuzione del supporto finora assicurato dalle istituzioni pubbliche.
Negli Stati Uniti, i prezzi d'ingresso ai musei d'arte variano grandemente da un museo all’altro, ma in ogni caso sono quasi sempre molto più alti, per esempio, rispetto al prezzo di un biglietto del cinema. Insomma, in qualche modo un lusso per pochi. In alcuni musei, dove non c’è ingresso gratuito, come per esempio al Museum of Modern Art di New York (MoMA), è richiesto un biglietto d’ingresso di $ 25, mentre il Los Angeles County Museum of Art (LACMA), ha fissato un biglietto di $ 15 per gli adulti.
In alcuni casi, tuttavia, bisogna anche rilevare il passaggio dall’ingresso a pagamento all’ingresso gratuito: per esempio al Dallas Museum of Art, che prima chiedeva un biglietto d’ingresso di $ 10 e ora ha aperto le sue porte a tutti.

Grazie a Martin G. Conde, autore del blog Rome -The Imperial Fora, per avermi segnalato la notizia.


LE FAMIGLIE BRITANNICHE PREMIANO I LORO MUSEI PREFERITI


Torna anche nel 2013 il Telegraph Family Friendly Museum Award




di Caterina Pisu


Anche quest’anno il giornale britannico The Telegraph propone il Premio Telegraph Family Friendly Museum, pensato per avvicinare le famiglie ai musei. Saranno premiati quei musei, scelti dalle famiglie, che avranno dimostrato di essere capaci di affascinare i bambini di tutte le età, ma non solo,  anche sulla base delle attività proposte, della capacità di saper accogliere, dell’originalità. Dopo le segnalazioni dei lettori, una commissione formata da esperti del settore museale, del Telegraph e di Kids in Museums, effettuerà una pre-selezione, ma saranno le famiglie, alla fine, a scegliere il vincitore.
E’ possibile partecipare entro il 10 maggio prossimo. Tutte le informazioni sono reperibili  in questa pagina: 

Il testimonial del Premio, Dan Snow, presentatore televisivo anglo-canadese, conduttore di programmi di storia per la BBC, ha espresso il suo grande interesse per una iniziativa che finalmente premia quei musei e quelle gallerie che sono attenti a ciò che le famiglie vogliono davvero.  

Dan Snow

E detto da Snow, che oltre ad essere un esperto è sempre stato un appassionato di musei fin da bambino, e che sta già educando sua figlia ad amarli, è una bella promozione. Quando era piccolo – racconta Snow – i musei non erano luoghi molto amati dai più piccoli, ma ora sono davvero cambiati:  le tecnologie, per esempio, sono di grande aiuto e i bambini possono imparare e divertirsi nello stesso tempo.
Lo scorso anno fu premiato un piccolo museo, il Brixham Heritage Museum, gestito da uno staff  ridotto e part-time, con l’aiuto di ben 65 volontari e con un flusso di circa 9.000 visitatori l’anno (http://museumsnewspaper.blogspot.it/2012/04/un-piccolo-museo-per-un-grande-premio.html), a dimostrazione che non c’è bisogno di essere famosi e importanti per essere graditi alle famiglie e al pubblico in generale. Ciò che conta è, come sempre, la capacità di accogliere, di riuscire a coinvolgere la comunità nella gestione del museo (65 volontari non sono pochi!) e, ovviamente, avere alla base un buon progetto culturale.
Lo scrissi anche nel mio articolo dello scorso anno, ma lo ripeto: sarebbe bello se anche in Italia qualcuno volesse promuovere un premio simile, dedicato ai musei e alle famiglie. Ne vogliamo riparlare?

TRASPARENZA NEI MUSEI: UNA BATTAGLIA TUTTA ITALIANA

Intervista a Daniela Rizzo e Maurizio Pellegrini, Ufficio sequestri della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria meridionale




L’Ufficio sequestri della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria meridionale, diretto da Daniela Rizzo, coadiuvata da Maurizio Pellegrini, è stato istituito nel 1985 allo scopo di monitorare e arginare il fenomeno degli scavi clandestini e il traffico illecito di reperti archeologici, in stretta collaborazione con l’Autorità Giudiziaria e con le Forze dell’Ordine. E’ grazie a questa sinergia che, a partire dal 1995, si è dato inizio ad un piano di rintracciamento di molte antichità esportate illegalmente, grazie al quale, in particolare negli ultimi dieci anni, sono stati raggiunti risultati straordinari tra i quali si evidenzia il rientro in Italia di molti importanti reperti archeologici, come il cratere di Euphronios e la Venere di Morgantina. La “battaglia etica” condotta dall’Ufficio sequestri della Soprintendenza ha interessato anche l’ambito giudiziario, conseguendo, ugualmente, esiti importanti: si ricorda, fra tutti, il procedimento penale contro Marion True, ex curatrice delle antichità del Paul Getty Museum, che si è poi concluso con la prescrizione. Sono ancora molte le antichità da recuperare e a questa attività è necessario associare un’altrettanto indispensabile opera di mediazione e di collaborazione con i musei stranieri e con i Paesi in cui sono stati trasferiti illegalmente i reperti. Ho incontrato Daniela Rizzo e Maurizio Pellegrini per porre loro alcune domande riguardo questi temi.

- Possiamo affermare che il nostro Paese, più di altri, con un’azione forte di recupero delle proprie antichità, ha indotto i musei americani a riesaminare comportamenti che probabilmente, fino a qualche decennio fa, erano tacitamente permessi?

Certamente l’attività di contrasto del traffico illecito di materiale archeologico condotta a partire dalla metà degli anni ’90 dalla Procura della Repubblica di Roma in collaborazione con gli archeologi della Soprintendenza e le Forze dell’Ordine ha riscosso un insperato successo: infatti, molti direttori di musei stranieri, anche famosissimi, hanno finalmente cominciato a porsi il problema della “provenienza” dei reperti archeologici che ancora oggi vengono posti in vendita sul mercato internazionale. E’ un piccolo passo, ma se si pensa che fino a qualche anno fa centinaia di reperti, anche veri e propri capolavori, venivano acquistati dai musei senza alcun problema, se non addirittura “ordinati” direttamente ai più noti trafficanti italiani o stranieri, crediamo di poter ben sperare per il futuro del nostro Patrimonio Archeologico

- I curatori americani stanno vivendo un momento particolarmente critico e di profondi cambiamenti dopo il procedimento penale contro Marion True; alcuni ritengono che il ricorso agli strumenti giudiziari non sia il più adatto, ma che si debba percorrere, piuttosto, la via del dialogo al fine di giungere ad accordi ragionevoli per entrambe le parti. Che cosa ne pensate al riguardo?

Indubbiamente il ricorso all’Autorità Giudiziaria in questo campo dovrebbe essere limitato solo ai casi più gravi di “incomunicabilità” con le Istituzioni straniere che rifiutano ogni contatto con l’Italia: il dialogo tra gli archeologi di tutto il mondo dovrebbe essere diretto, rapido e non soggetto a iter burocratici lunghi, estenuanti e ben poco produttivi. Come abbiamo avuto modo di dire più volte, gli studiosi di archeologia parlano un linguaggio comune, tendono tutti a “salvare” e a valorizzare i reperti, anche se con modalità e punti di vista diversi. Forse un dialogo più stretto e informale tra gli studiosi potrebbe portare risultati migliori e in tempi più rapidi.

- Il problema della depredazione e del traffico illecito di reperti non riguarda soltanto i rapporti tra Italia e USA. E’ possibile avere un quadro della misura di tale fenomeno? Quanti sono i reperti che devono ancora rientrare in Italia e quali sono gli altri Paesi, oltre gli USA, con i quali l’Italia sta avviando azioni di recupero?

Fino ad ora l’Italia ha concluso accordi di restituzione di reperti archeologici solo con alcuni musei americani, mentre con alcuni musei europei che detengono reperti illecitamente usciti dall’Italia il dialogo non sembra sia giunto a conclusioni positive, almeno per ora. Eppure nel corso del nostro lavoro, durato ben 13 anni, abbiamo individuato in molti musei europei reperti di provenienza italiana certamente acquistati attraverso il mercato illecito e gli esiti delle nostre ricerche sono stati segnalati alla Procura di Roma e al Ministero per i Beni e le Attività culturali, ma al momento non sappiamo se e con quali paesi siano in corso trattative di restituzione.

- A vostro parere si potrebbe pensare, nell’ambito della formazione universitaria, a preparare archeologi che, unendo le competenze della disciplina archeologica a nozioni giuridiche e del diritto internazionale, siano in grado di portare avanti, in futuro, il lavoro da voi iniziato?

Sarebbe indubbiamente importantissimo avere nei ruoli del Ministero giovani archeologi che possano vantare una formazione specifica in un settore tanto delicato e complesso come questo.

- Quale sarà il futuro dell’Ufficio sequestri? Si prevede un potenziamento, visti i notevoli risultati conseguiti fino ad oggi?

In un momento così difficile per il Paese e per il futuro del nostro Ministero non vediamo assolutamente la possibilità di un potenziamento del Servizio Circolazione Beni che, purtroppo, sembra destinato a chiudere i battenti nel momento in cui noi andremo in pensione. Non si prevedono a breve assunzioni di giovani, le cosiddette “nuove leve” a cui passare il “testimone” e tramandare i “trucchi del mestiere”: se non ci sarà a breve un incremento di personale, l’esperienza fatta fino ad ora rimarrà solo un bel ricordo da rintracciare negli archivi della Soprintendenza.

Intervista realizzata da Caterina Pisu per ArcheoNews (Gennaio 2012)

Una risposta di Salvatore Settis a Giovanna Melandri





Su Il Giornale dell'Arte XIX, n. 216, dicembre 2002, fu pubblicato uno scambio epistolare tra l'on. Giovanna Melandri e il prof. Salvatore Settis. Ripropongo la lettera di Settis perché credo che in questo momento, mentre è in corso una campagna elettorale particolarmente "accesa", in cui i partiti si "sponsorizzano" anche portando in campo temi che riguardano la cultura (ma ancora poche soluzioni concrete), sia utile per tutti noi ricordare, come afferma Settis, che "quella per il nostro patrimonio culturale non è una battaglia di destra o di sinistra, è una battaglia di civiltà". 

Di seguito il testo della lettera:

Cara on. Melandri,
La ringrazio molto dell'attenzione con cui ha letto l'intervista, e più ancora dell'articolata replica che ha voluto scrivere: come già altra volta in passato, riconosco in questo atteggiamento non solo una grande cortesia, ma anche, ancor più importante, il desiderio di dialogare. Naturalmente nel mio libro Italia S.p.A. L'assalto al patrimonio culturale (Einaudi) le mie tesi sono esposte in modo più organico e documentato, come in un'intervista (Lei lo sa bene) non è possibile.
Non voglio, con questo richiamo al libro, sottrarmi al confronto che la Sua lettera sollecita: mi consentirà tuttavia di far riferimento, per la completa indicazione delle mie opinioni, al libro e non alle interviste. In quel libro ho sostenuto che la "cultura della tutela" fa parte integrante non solo del nostro patrimonio culturale, ma anche del nostro "patto di cittadinanza", dell'"essere italiani", e che nel nostro Paese si è sviluppato, anche prima dell'Unità, un modello avanzatissimo di conservazione del patrimonio, che si è tradotto in una tradizione normativa esemplare, culminata nella legge 1089/1939. Sostengo però anche che quella antica e radicata "cultura della conservazione" è stata crescentemente intaccata negli ultimi decenni, e in particolare negli ultimi anni, da un processo di deterioramento che, a mio avviso, comincia press'a poco negli stessi anni in cui venne creato il Ministero per i Beni Culturali. Dell'una e dell'altra cosa (della formazione della "cultura della conservazione" come del suo deterioramento) ho cercato in quelle pagine di esporre e interpretare le radici e le ragioni. Quello che è accaduto negli ultimi mesi, dall'art 33 della Finanziaria alla legge Tremonti sulla Patrimonio S.p.A., non è (ritengo) una rottura improvvisa della nostra tradizione istituzionale, ma la conseguenza fatale di quel processo di deterioramento.
E' in questo contesto che sono e resto convinto che è importante guardare con attenzione a quello che hanno fatto i governi di centro-sinistra (che, sia detto di passaggio, hanno avuto a suo tempo il mio voto). Nessuno nega i restauri, le aperture di musei, i fondi ricavati dal Lotto, e altro ancora. Ma è d'altro che qui si parla. L'attuale governo di centro destra (Settis scrive nel 2002) ha impresso, io credo, una brusca accelerazione a quel processo di degrado, radicalizzandolo, specialmente su due fronti: l'apertura ai privati di segmenti sempre più ampi della gestione del patrimonio pubblico (art. 33 della finanziaria) e l'alienabilità del patrimonio culturale in proprietà pubblica (legge "Tremonti"). In un caso e nell'altro, Lei ha ragione di dire che il presente governo si è spinto molto più in là di quelli di centro-sinistra; ma io credo di aver ragione di dire che al presente governo i precedenti avevano ampiamente spianato la strada.
Qualche esempio. E' vero che la legge Ronchey prevedeva in origine la possibilità di dare in gestione ai privati, come Lei scrive, "biglietteria, ristorazione, merchandising"; ma non è meno vero che una serie di provvedimenti successivi (per esempio il D.M. 139/1997) hanno aggiunto alla lista ben altri "servizi", per esempio la guida e l'assistenza didattica, la fornitura di sussidi catalografici, audiovisivi e informatici, l'organizzazione di mostre: cioè attività che in molti musei e in molti Paesi, essendo strettamente collegate con le attività conoscitive e di tutela, vengono esercitate in prima persona dallo staff interno.
E' poi interamente ai governi di centro-sinistra che si deve la pericolosissima, perversa deriva che ha cominciato a separare - contro ogni tradizione, ogni logica, ogni funzionalità - tutela, gestione e valorizzazione, distribuendole in modo confuso e incoerente fra Stato e regioni e aprendo, nell'un caso e nell'altro, la porta ai privati. Ricordo qui solo il decreto legislativo 112/1998 (Veltroni) che rendeva possibile trasferire a regioni ed enti locali la gestione e la valorizzazione dei beni culturali e stabiliva che Stato, regioni ed enti locali "concorrono all'attività di conservazione dei beni culturali".
Questo pasticcio purtroppo si sarebbe insediato anche nel bel mezzo della Costituzione, con la riforma del Titolo V, dovuta a un governo di centro-sinistra. Anch'io, come Lei, posso rallegrarmi che il Consiglio di Stato abbia di fatto bloccato l'applicazione dellart. 33 della Finanziaria; ma mi rattrista profondamente che lo abbia fatto sulla base di norme che, tagliando a fette tutela, gestione e valorizzazione, di fatto rischiano di paralizzare l'intera amministrazione pubblica, consegnando la tutela del nostro patrimonio a un labirinto di conflitti di competenza. Tutela e gestione, spero vorrà convenirne, sono momenti intimamente connessi e inseparabili di un unico processo, perché hanno radice comune nella ricerca e nella conoscenza del patrimonio.
Quanto all'alienabilità del patrimonio culturale di proprietà pubblica, è verissimo che la legge "Tremonti" è di una radicalità senza precedenti. Ma non è meno vero che il terreno era stato preparato con una serie di norme, a partire dalla "Bassanini bis". Cito qui soltanto la Finanziaria 1999, che introdusse il principio secondo cui "nell'ambito del processo di dismissione o di valorizzazione del patrimonio statale", il ministro del Tesoro, di concerto con il ministro dei Beni Culturali se gli immobili sono di valore storico-artistico, può conferire o vendere gli immobili S.p.A., anche appositamente costituite (legge 448/1998, art. 19); la Finanziaria 2000 ingiungeva poi al ministro dei Beni Culturali di emettere entro 90 giorni il proprio parere, in mancanza del quale il ministro del Tesoro aveva mano libera per la dismissione (legge 488/1999, art. 4). E' sulla base di tali norme che si pensò allora di vendere il Foro Italico, progetto poi abbandonato. Chi può essere tanto cieco da non vedere elementi di continuità fra queste norme e quella (molto più radicale) di Tremonti? Chi direbbe che vendere il Foro Italico è "di sinistra" se si prova a farlo nel 2000, e diventa "di destra" se lo si facesse, poniamo, nel 2003?
Sono cose che Lei conosce molto meglio di me, e non ho bisogno di dirLe che nelle pagine del mio libro si trovano ulteriori esempi e ulteriore documentazione, su questi e altri fronti. 
Mi permetta di chiudere su un altro tema. In quello dei beni culturali come in altri campi, è molto diffusa nel Paese l'impressione che i governi di centro-sinistra abbiano creduto di doversi piegare a compromessi con una logica superficialmente aziendalistica, facendo - diciamo - venti per evitare che la destra facesse cento; ma ora che la destra è al governo farà più presto, se vuole, a fare cento, perché si trova il venti già fatto. Ma quella per il nostro patrimonio culturale non è una battaglia di destra o di sinistra, è una battaglia di civiltà (e lo mostra la continuità fra la legge di tutela del 1939 e il dettato dell'art. 9 della Costituzione della Repubblica).
Capisco che la logica dello scontro politico porti ad attaccare sempre e comunque la parte avversa, e nel suo caso le ragioni di attaccare il presente governo ci sono eccome. Ma non sarebbe meglio, in questo e in altri campi, che la sinistra si dimostrasse capace di un minimo di autocritica? Che capisse che l'autocritica è il prerequisito indispensabile di ogni capacità progettuale? Ma con questo entriamo in un campo che travalica la Sua lettera, cara on. Melandri. Come diceva Croce, c'è sempre qualcuno che, posto al bivio fra capire e morire, senza esitazione sceglie il martirio.
Con un saluto sempre cordiale, 

Salvatore Settis

(La lettera è tratta dal volume di S. Settis, "Battaglie senza eroi. I beni culturali tra istituzioni e profitto", Electa per le Belle Arti, Milano 2005)

Ripartire dalla cultura: firmiamo l'appello



MAB MUSEI ARCHIVI BIBLIOTECHE - AIB ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE - ANAI ASSOCIAZIONE NAZIONALE ARCHIVISTICA ITALIANA - ICOM ITALIA INTERNATIONAL COUNCIL OF MUSEUMS - ASSOCIAZIONE RANUCCIO BIANCHI BANDINELLI - FAI FONDO AMBIENTALE ITALIANO - FEDERCULTURE - ITALIA NOSTRA - LEGAMBIENTE - COMITATO PER LA BELLEZZA


hanno promosso la raccolta di firme "Ripartire dalla cultura".

Per firmare accedere al seguente link: http://www.ripartiredallacultura.it/

Di seguito il testo dell'appello:


I promotori e i firmatari del presente appello chiedono a chi si candida a governare l’Italia impegni programmatici per il rilancio della cultura intesa come promozione della produzione creativa e della fruizione culturale, tutela e valorizzazione del patrimonio, sostegno all'istruzione, all'educazione permanente, alla ricerca scientifica, centralità della conoscenza, valorizzazione delle capacità e delle competenze.
La crisi economica e la conseguente riduzione dei finanziamenti stanno mettendo a dura prova l’esistenza di molte istituzioni culturali, con gravi conseguenze sui servizi resi ai cittadini, sulle condizioni di lavoro e sul futuro di molti giovani specificamente preparati ma senza possibilità di riconoscimento professionale. Questa situazione congiunturale è aggravata dalla crisi di consenso che colpisce la cultura, che una parte notevole della classe dirigente – pur dichiarando il contrario – di fatto considera un orpello inattuale, non elemento essenziale di una coscienza civica fondata sui valori della partecipazione informata, dell’approfondimento, del pensiero critico.
Noi rifiutiamo l’idea che la cultura sia un costo improduttivo da tagliare in nome di un malinteso concetto di risparmio. Al contrario, crediamo fermamente che il futuro dell’Italia dipenda dalla centralità accordata all'investimento culturale, da concretizzare attraverso strategie di ampio respiro accompagnate da interventi di modernizzazione e semplificazione burocratica. La nostra identità nazionale si fonda indissolubilmente su un’eredità culturale unica al mondo, che non appartiene a un passato da celebrare ma è un elemento essenziale per vivere il presente e preparare un futuro di prosperità economica e sociale, fondato sulla capacità di produrre nuova conoscenza e innovazione più che sullo sfruttamento del turismo culturale.
Ripartire dalla cultura significa creare le condizioni per una reale sussidiarietà fra stato e autonomie locali, fra settore pubblico e terzo settore, fra investimento pubblico e intervento privato. Guardare al futuro significa credere nel valore pubblico della cultura, nella sua capacità di produrre senso e comprensione del presente per l’avvio di un radicale disegno di modernizzazione del nostro Paese.
Per queste ragioni chiediamo che l’azione del Governo e del Parlamento nella prossima legislatura, quale che sia la maggioranza decisa dagli elettori, si orienti all'attuazione delle seguenti priorità.

-Puntare sulla centralità delle competenze
-Promuovere e riconoscere il lavoro giovanile nella cultura
-Investire sugli istituti culturali, sulla creatività e sull'innovazione
-Modernizzare la gestione dei beni culturali
-Avviare politiche fiscali a sostegno dell’attività culturale

I promotori e i firmatari del presente appello chiedono di accogliere nei programmi elettorali queste priorità e di sottoscrivere i dieci obiettivi seguenti, che dovranno caratterizzare il lavoro del prossimo Parlamento e l’azione del prossimo Governo. Il nostro sostegno, durante e dopo la campagna elettorale, dipenderà dall'adesione ad essi e dalla loro realizzazione.

Riportare i finanziamenti per le attività e per gli istituti culturali, per il sistema dell’educazione e della ricerca ai livelli della media comunitaria in rapporto al PIL.
Dare vita a una strategia nazionale per la lettura che valorizzi il ruolo della produzione editoriale di qualità, della scuola, delle biblioteche, delle librerie indipendenti, sviluppando azioni specifiche per ridurre il divario fra nord e sud d’Italia.
Incrementare i processi di valutazione della qualità della ricerca e della didattica in ogni ordine scolastico, riconoscendo il merito e sanzionando l’incompetenza, l’inefficienza e le pratiche clientelari.
Promuovere sgravi fiscali per le assunzioni di giovani laureati in ambito culturale e creare un sistema di accreditamento e di qualificazione professionale che eviti l’immissione nei ruoli di personale non in possesso di specifici requisiti di competenza. Salvaguardare la competenza scientifica nei diversi ambiti di intervento, garantendo organici adeguati allo svolgimento delle attività delle istituzioni culturali, come nei paesi europei più avanzati.
Promuovere la creazione di istituzioni culturali permanenti anche nelle aree del paese che ne sono prive – in particolare nelle regioni meridionali, dove permane un grave svantaggio di opportunità – attraverso programmi strutturali di finanziamento che mettano pienamente a frutto le risorse comunitarie; incentivare formule innovative per la loro gestione attraverso il sostegno all'imprenditoria giovanile.
Realizzare la cooperazione, favorire il coordinamento funzionale e la progettualità integrata fra livelli istituzionali che hanno giurisdizione sui beni culturali, riportando le attività culturali fra le funzioni fondamentali dei Comuni e inserendo fra le funzioni proprie delle Province la competenza sulle reti culturali di area vasta.
Ripensare le funzioni del MiBAC individuando quelle realmente “nazionali”, cioè indispensabili al funzionamento del complesso sistema della produzione, della tutela e della valorizzazione dei beni culturali, per concentrare su di esse le risorse disponibili. Riorganizzare e snellire la struttura burocratica del ministero, rafforzando le funzioni di indirizzo scientifico-metodologico e gli organi di tutela e conservazione, garantendone l’efficienza, l’efficacia e una più razionale distribuzione territoriale.
Inserire la digitalizzazione del patrimonio culturale fra gli obiettivi dell’agenda digitale italiana e promuovere la diffusione del patrimonio culturale in rete e l’accesso libero dei risultati della ricerca finanziata con risorse pubbliche.
Riconoscere l’insegnamento delle discipline artistiche e musicali tra le materie curriculari dell’insegnamento scolastico nelle primarie e secondarie e sviluppare un sistema nazionale di orchestre e cori giovanili e infantili.
Prevedere una fiscalità di vantaggio, compreso forme di tax credit, per l’investimento privato e per l’attività del volontariato organizzato e del settore non profit a sostegno della cultura, con norme di particolare favore per il sostegno al funzionamento ordinario degli istituti culturali. Sostenere la fruizione culturale attraverso la detraibilità delle spese per alcuni consumi (acquisto di libri, visite a musei e partecipazione a concerti, corsi di avviamento alla pratica artistica); uniformare l’aliquota IVA sui libri elettronici a quella per l’editoria libraria (4%); prevedere forme di tutela e di sostegno per le librerie indipendenti.

Per amore dei musei



Il volontariato museale: una risorsa per la comunità o un ostacolo per l’occupazione?

di Caterina Pisu



Il volontariato culturale fa parte della storia recente, sebbene le prime esperienze si possano far risalire al XIX secolo, con la nascita delle Società di Mutuo Soccorso. Queste società, espandendosi rapidamente in molti Paesi europei, hanno presto aggiunto agli obiettivi prettamente sociali anche quelli ricreativi, culturali e sportivi. Tuttavia non si potrà ancora parlare di volontariato inteso in senso moderno almeno fino agli anni Settanta del secolo scorso, quando, grazie al clima di rivoluzione culturale di quel particolare periodo storico, si affermerà una presa di coscienza sempre più forte e diffusa dell’importanza dei beni culturali e, nello specifico, delle istituzioni museali. Ai giorni nostri, il volontariato museale costituisce, senza ombra di dubbio, una delle risorse più importanti per garantire la piena fruizione dei musei e la loro integrazione nel tessuto sociale. Da tempo si sono costituite associazioni nazionali ed internazionali che hanno lo scopo non solo di riunire coloro che si sono messi al servizio delle istituzioni museali di piccole e grandi città, ma anche quello di tracciare le linee guida e un codice etico dei volontari che ne uniformi e ne indirizzi correttamente l’attività, favorendo, nel contempo, anche le indispensabili occasioni formative all’interno delle istituzioni museali. Negli ultimi anni, inoltre, si sono moltiplicate le iniziative internazionali di promozione del volontariato: fra tutte cito il progetto biennale “VoCH - Volunteers for Cultural Heritage”, finanziato nell’ambito del Programma Europeo Lifelong Learning, che ha avuto inizio nel novembre del 2007. Il volontariato, tuttavia, se da una parte incontra l’attenzione delle istituzioni e il favore prima di tutto del pubblico dei musei, che può così contare sul supporto di personale adeguato, dall’altra è oggetto di diffidenza se non di aperta ostilità soprattutto da parte dei giovani laureati e dei lavoratori precari, a causa della convinzione che a un aumento dei volontari corrisponda una diminuzione delle opportunità di lavoro. Non sempre questa equazione corrisponde alla realtà ed è necessario, allora, fare una distinzione tra “lavoro gratuito” e volontariato, affinché non si creino rischi di confusione: un conto è il professionista che è “costretto” ad erogare i suoi servizi gratuitamente (come tanti direttori di musei locali, per esempio; mentre questo incarico, poiché comporta responsabilità elevate, dovrebbe essere sempre retribuito), un altro è il cittadino, semplice appassionato o professionista qualificato, che si mette al servizio della comunità per garantire una maggiore efficienza a determinati settori di un museo e che, quindi, può fregiarsi a pieno titolo della qualifica di volontario. Dunque sarebbe meglio dire, molto più correttamente: no allo sfruttamento del lavoro professionale. Il lavoro del volontario, non è una forma di sfruttamento dei lavoratori ma è sempre un servizio offerto a favore della comunità; in alcun caso dovrebbe sostituirsi o sovrapporsi a quello del personale inserito nell’organico del museo, ma dovrebbe essere sempre complementare ad esso, come recita, al punto 5.3, il Codice etico degli Amici e Volontari dei musei adottato in occasione del IX Congresso Internazionale degli Amici dei Musei, tenutosi a Oaxaca, in Messico, dal 21 al 25 ottobre 1996: Evitare sovrapposizioni. Gli amici e i volontari possono trovare negli ambiti d’intervento non affidati al personale permanente del museo un terreno privilegiato in cui esercitare le loro iniziative e devono prestare attenzione onde evitare che le loro attività non si sovrappongano a quelle esercitate dal personale responsabile. E’ vero che esistono ambiti, come quello archeologico, per esempio, in cui l’azione dei volontari è andata oltre l’impegno solidaristico, invadendo il settore della ricerca scientifica e della tutela (problema che è stato ben analizzato nel dossier “Il volontariato nel settore dei beni culturali” contenuto in “La laurea non fa l’archeologo”), ma nel caso del volontariato museale questo rischio è minore, tranne, forse, nell’ambito dei servizi didattici, dove la possibilità di una deprofessionalizzazione - cioè dell’impiego, al posto di specialisti retribuiti, di volontari senza adeguata preparazione nella materia - è un rischio concreto e necessita di una vigilanza costante (ricordo che per la Carta Nazionale delle Professioni Museali, approvata dalla II Conferenza dei musei italiani nel 2006, il responsabile dei servizi educativi e l’educatore museale sono due figure professionali che fanno parte dell’organico dei musei, pertanto i volontari possono affiancare e supportare questi ruoli ma non sostituirli). In ogni caso, l’esistenza di un codice etico che impone dei limiti ben precisi al volontariato museale è già un traguardo notevole anche se esso, da solo, non è sufficiente; è necessario anche alimentare il dibattito e il confronto tra le istituzioni e le forze sociali coinvolte, e sensibilizzare la comunità sull’importanza del volontariato e sul suo ruolo effettivo. In conclusione, più che volere, irragionevolmente, la soppressione del volontariato, bisognerebbe piuttosto esigere la vigilanza delle istituzioni su eventuali irregolarità. Vorrei anche ricordare che uno degli aspetti più importanti di questa forma di servizio pubblico è l’accrescimento del senso civico dei cittadini, il quale, in una società emancipata, non può in alcun modo essere inibito. E certamente chi ne invoca l’abolizione forse non si rende conto del reale significato che tale azione comporterebbe, impedendo la libera e attiva partecipazione dei cittadini alla vita culturale della propria comunità. Azione degna dei peggiori regimi autocratici! E’ giusto, invece, che questo diritto, espressione della libertà personale e dell’impegno civico di ciascuno (Art. 2 della Costituzione della Repubblica Italiana), sia sempre assicurato, e che, nel contempo, le istituzioni e gli enti locali favoriscano con eguale impegno il lavoro dei professionisti e quello dei volontari in un clima di reciproca e proficua collaborazione.


I musei delle favelas del Brasile: l'esempio del riscatto sociale attraverso la valorizzazione delle culture locali.

In Brasile, in questi ultimi anni, stanno avvenendo cambiamenti importanti per la pacificazione sociale attraverso la nascita dei musei del territorio. Nel 2008 è stato fondato il Museu de Favela-MUF,  un'organizzazione non governativa, creata dagli stessi abitanti delle favelas di Pavão, Pavãozinho e Cantagalo. 
Si tratta di un primo museo del territorio rivolto alla conservazione della memoria e del patrimonio culturale delle favelas, e infatti le collezioni di questo museo sono i circa 20 mila abitanti delle favelas e il loro modo di vivere e di esprimersi culturalmente, spesso sconosciuto al resto dei residenti della città di Rio de Janeiro.
Il museo del territorio delle favelas è situato sulle pendici scoscese del massiccio Cantagalo tra i quartieri di Ipanema, Copacabana e Lagoa, nella parte meridionale di Rio de Janeiro, in Brasile. Dispone di 12 ettari di terreno e di una grande ricchezza culturale. Sono 5300 gli edifici collegati tra loro da un dedalo impressionante di vicoli e scalinate. Dal punto di vista paesaggistico gode di una delle viste più affascinanti della meravigliosa città.
L'obiettivo della musealizzazione di quest'area della città è una grande sfida che attraverso il museo diffuso creerà i presupposti per uno sviluppo del turismo culturale, i cui azionisti saranno gli stessi residenti. 
Il MUF difende la dignità delle condizioni di vita locale e combatte la segregazione sociale delle baraccopoli che fino a pochi anni fa rappresentava un'emergenza sociale gravissima per il Brasile.
L'esempio del Brasile sarà importante anche per tante altre zone depresse e "ghettizzate" del mondo che potranno ritrovare la propria dignità riscoprendo dapprima essi stessi la propria cultura e facendola conoscere al resto del mondo. Solo così si potrà sperare nella fine dei conflitti sociali, donando la speranza in un futuro migliore.


Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

Fonte dell'immagine: The Federalist Negli Stati Uniti, presso l’Art Institute of Chicago (AIC) si è aperto un caso che potrebbe essere d...