Un salotto nel museo: comfort e stress da visita

di Caterina Pisu 


Uno degli aspetti cruciali della fruizione museale è il comfort. Si tratta di una questione apparentemente semplice legata alla presenza di alcuni strumenti e servizi: posti a sedere, segnaletica, bagni, caffetterie.
Nina Simon ne parla nel suo blog Museum 2.0 (http://museumtwo.blogspot.it/2008/01/creature-comfort-where-are-couches-in.html) e fa un esempio illuminante: un bar nel centro di Santa Cruz è collocato proprio accanto al Museo di Arte e Storia. All'interno si sentiva musica funky, alcune persone lavoravano, altre mangiavano, chiacchieravano e leggevano. Sui muri erano appese riproduzioni delle stesse opere esposte nel museo. Allora Nina Simon si chiede, un po' perplessa, perché il Museo non ci fa sentire a nostro agio come il bar? Per rispondere a queste domande la Simon ha chiesto il parere di due esperti, Steve Tokar e Beth Katz, che si occupano di progettazione museale soprattutto in relazione al benessere dei visitatori. Nel 2003, Steve ha completato la sua tesi di master in Progettazione Universale (in inglese Universal Design, UD*) nei musei della scienza, e ha trascorso diversi anni lavorando sul design ergonomico per i musei.

Perché i musei ci mettono così maledettamente a disagio?

Entrambi (Steve e Beth) hanno svolto studi sui visitatori, riuscendo a raccogliere molti dati, soprattutto sui musei d'arte. La domanda che si sono posti è: come è possibile che i musei vengano progettati senza preoccuparsi di cosa vuol dire per un visitatore stare sempre in piedi, camminare di continuo, avere bisogno di un bagno o di una tazza di caffé?
Di solito, infatti, nei musei i posti per potersi sedere sono pochi e i visitatori sono costretti a contenderseli. Secondo alcuni curatori le panchine svolgerebbero azione di disturbo nella visione delle opere; in pratica sarebbero "distrazioni visive". Ma dal punto di vista del visitatore? Nella progettazione dei musei e delle gallerie d'arte in realtà nessuno si immedesima nel visitatore e, passeggiando nelle sale, si chiede: "dove andrei, ora, se fossi tanco?" La maggioramza dei musei, invece, è stata progettata con criteri rigidi che provocano molta fatica nel corso della visita e che inducono il visitatore a pensare solo di trovarsi un posto per stare seduto.
Non mancano gli esempi positivi. Al Museum of Fine Arts di Boston si sta allestendo un salotto come parte integrante di ogni progetto allestitivo. I posti a sedere sono conformi allo stile dell'arte esposta in modo da non disturbare esteticamente lo spazio in cui sono collocati. Nella Gemälde Gallerie di Berlino, invece, ogni galleria ha delle vetrate che si affacciano sulla strada con posti a sedere a ridosso delle finestre rivolti verso  la galleria: un sollievo per il corpo e per la vista. Le sedute, inoltre, sono state concepite in modo da non essere in concorrenza con le opere d'arte.

I bagni.

Beth osserva che i visitatori che cercano un bagno hanno spesso un'espressione a metà tra lo stress e il panico, come se avessero paura di non trovare il posto in tempo! Non ce ne sono mai abbastanza e, chissà perché, sembrano essere sempre nascosti e poco segnalati.

Punti di ristoro.

Perché di solito c'è un solo punto di ristoro in tutto il museo? Perché bisogna andare fuori dal museo o dalla galleria per godersi un caffè o bere un bicchiere d'acqua? Perché abbandonare  lo spazio museale per fare uno spuntino? Il visitatore dovrebbe poter decidere da solo il momento in cui ha bisogno di fare una pausa e non essere costretto in percorsi obbligati che lo conducono a potersi riposare soltanto alla fine della visita, dopo che la stanchezza lo ha ormai prostrato.

Segnaletica. Le persone si aggirano chiedendosi: "Dove sono...?"

Il Metropolitan Museum of Art di New York ha fatto un ottimo lavoro. Lo spazio è vasto ma ci sono sempre degli atrii nei quali sono collocati dei piccoli Caffè.  La segnaletica è ottima, ce n'è dappertutto: un'esperienza che sarebbe potuta essere confusa, è stata invece resa piacevole e fruibile.


Esempi di musei accoglienti e attenti al comfort dunque ce ne sono. Nina Simon ricorda il Denver Art Museum in cui la struttura più antica è stata integrata con molti spazi interessanti. In occasione di una mostra di James Turrell è stato allestito un salotto esterno con sedie comode e materiali da condividere per approfondire le proprie riflessioni sulla mostra. Il relax è favorito dalla luce soffusa e dalla possibilità di ascoltare musei tramite iPod; i visitatori possono anche usufruire di  una libreria progettata come una biblioteca britannica con armadi contenenti libri e divani per sedersi.
Il problema, in definitiva, non è solo creare spazi per il ristoro o per la riflessione, ma cercare di integrare questi spazi nell'ambiente-museo, in modo che il visitatore possa godere della più ampia libertà e del maggior comfort possibile. Ciò vale per i grandi musei, dove queste strategie sono indispensabili a causa dell'ampiezza degli spazi, per limitare lo stress da visita, come per i piccoli musei, dove la visita è più breve ma si possono ricercare ugualmente forme di comfort e di rispetto dell'autonomia del visitatore con altrettanta attenzione. In questo caso lo scopo da perseguire non è tanto l'attenuazione della stanchezza quanto la ricerca di un ambiente accogliente e coinvolgente che contribuisca a rendere unica e positiva l'esperienza di visita.



* Il termine "Universal design", è stato coniato dall'architetto Ronald L. Mace, dell'università dello stato americano del Nord Carolina, a cui si è dedicato per lo studio, la ricerca e la fattibilità, assieme ad un gruppo di collaboratori, per descrivere il concetto di progettazione ideale di tutti i prodotti e degli ambienti artificiali, tali che siano piacevoli e fruibili, per quanto possibile da tutti, indipendentemente dalla loro età, capacità e/o condizione sociale (tratto da Wikipedia alla voce Universal Design).

Aurélie Filippetti: la cultura è libertà


Madame Culture, il nuovo ministro francese della Cultura e delle Comunicazioni, porta una ventata di rinnovamento e nuove energie per superare il difficile momento della cultura in Francia

di Caterina Pisu


La Francia di Hollande saprà dare nuovo impulso alla cultura nazionale? Non è ancora possibile saperlo con certezza ma la scelta del nuovo ministro della cultura, la giovane Aurélie Filippetti, sembra indicare un orientamento verso lo svecchiamento e l’innovazione, sempre che si riescano a superare le difficoltà di budget che limiteranno sicuramente i grandi progetti culturali anche in Francia (sono previsti consistenti tagli al settore cultura). La buona dose di entusiasmo e di combattività della giovane Filippetti, nipote di un immigrato italiano di Gualdo Tadino, potrà essere la ricetta giusta. Laureata all’École normale supérieure de Fontenay-Saint-Cloud, la Madame Culture francese è stata insegnante di Lettere classiche prima di dedicarsi alla politica. Per lei, come ha dichiarato in una recente intervista a L’Unità, «la cultura è un investimento e non una spesa» in quanto, continua, «la cultura, le arti, lo spettacolo possono essere creatori di ricchezza. La crescita, poi, non può essere misurata solo su parametri economici»; ma non solo, la cultura deve essere considerata soprattutto per la sua valenza etico/sociale: «la cultura è libertà collettiva», afferma.
Stupisce l’età del ministro: appena 39 anni. Se pensiamo all’età media dei nostri ministri della cultura, non solo ora che ci siamo affidati ad un governo tecnico, ma anche in precedenza (fatta eccezione per Giovanna Melandri che però non ha lasciato un segno indelebile nella politica culturale italiana), è scoraggiante constatare che la politica culturale del nostro paese è sempre stata guidata da politici “anziani”, forse non solo in senso anagrafico ma anche per la mancanza di un “fervore” più tangibile che conducesse a reali e coraggiosi cambiamenti. Certo, a parte la scelta della Filippetti, non tutte le idee di inizio insediamento di Hollande sono state eccezionali e per fortuna è stato scongiurato il progetto di unione dei ministeri dell’istruzione e della cultura che probabilmente avrebbe rischiato di appesantire tutto il sistema culturale francese. E’ ancora presto, in ogni caso, sia per poter esprimere un giudizio sul governo Hollande sia sul ministro della cultura. Alcuni passi fatti finora sembrano non deludere, specialmente la proposta che la Storia dell’Arte sia insegnata dall’”asilo all’università” perché, secondo la Filippetti, bisogna superare quella barriera psicologica che separa la gente dall’arte, soprattutto dall’arte contemporanea. In tal senso anche la sua politica museale prevederà strategie volte a richiamare l’interesse dei visitatori verso i musei, in collaborazione con le associazioni culturali e gli enti locali. L’obiettivo è attirare tutti i pubblici, perché per Aurélie non basta che i musei siano gratuiti dai 18 ai 25 anni (disposizione in vigore dal 2009), è necessario fare di più.  La nuova ministra  è preoccupata anche per il degrado dei beni culturali, causato dai tagli ai finanziamenti degli ultimi anni. C’è bisogno di nuovi investimenti ma un ostacolo non facile da superare è già sulla strada della Filippetti: è proprio dei giorni scorsi la notizia di una sua opposizione al progetto di ridimensionamento del meccanismo fiscale a favore delle sponsorizzazioni alla cultura; la riduzione del beneficio fiscale porterebbe automaticamente, secondo la Filippetti, a «una drammatica interruzione del finanziamento di associazioni, musei, ricerca». Sarebbe un passo falso per la cultura francese ma speriamo che la giovane Aurélie abbia l’energia e l’influenza necessaria per scongiurarlo.
tratto da ArcheoNews, luglio/agosto 2012

"I musei" di Vittorio Falletti e Maurizio Maggi

Recensione di Caterina Pisu





Un testo che non può mancare nella biblioteca del museologo è "I musei" di Vittorio Falletti e Maurizio Maggi, edito nel maggio 2012 da Il Mulino nella collana Universale Paperbacks.
Il volume offre una vasta e completa panoramica dei dibattiti, delle problematiche e delle contraddizioni che hanno animato la scena museologica negli ultimi anni. I sette capitoli spaziano dalla definizione di museo (tratteggiata mediante un’analisi storica, etica e funzionale che lascia aperte varie possibilità) alla storia del museo (in un percorso cronologico che incominciando dal primo museo moderno giunge ai musei contemporanei), dalla descrizione delle funzioni, dei ruoli e della natura giuridica dei musei, fino ai temi più scottanti che riguardano le politiche e le sfide del futuro.
Il libro di Falletti e Maggi è il frutto di una ricerca sull’innovazione museale, svolta a partire dal 1998, per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, e che ha portato i due autori a girare il mondo per cercare verifiche e confronti con i professionisti museali di altri Paesi. I risultati di tale ricerca ci permettono, quindi, attraverso le comparazioni che ci vengono offerte di volta in volta, di uscire da una visione a volte troppo localistica delle problematiche museali per proiettarci in un ambito europeo ed extra-europeo.
Ciò che emerge da queste pagine con molta chiarezza è la convinzione che il museo sia un organismo ancora vitale e che sia in grado di cogliere le metamorfosi delle società, adattandosi ad esse ma riuscendo anche a non snaturarsi: questo è il problema di fondo che i museologi si sono posti e che continuano a porsi, cercando di rispondere alle sfide attuali, economiche ma anche etiche che stanno coinvolgendo il mondo museale. Il momento attuale rappresenta il punto di svolta forse più importante nella storia dei musei: la crisi economica mondiale ha fatto crollare molte certezze e nello stesso tempo ha aperto la strada all'innovazione. In questo volume ha uno spazio importante di approfondimento la questione del marketing le cui regole sono state spesso accettate con molta riluttanza dai museologi ma che ha cominciato a trovare maggiori consensi quando al centro dell’attenzione è stato posto non il prodotto, ma l’utilizzatore, cioè il visitatore, nel caso dei musei. Il museo si muove lungo una linea che ha come traguardo il raggiungimento dei propri obiettivi e che cerca di mantenersi in equilibrio tra quadratura dei conti, conservazione, esposizione, studio e richiamo dell’interesse del pubblico. Come affermano i due autori nell’introduzione al libro, “sotto i cambiamenti superficiali che interessano i musei si muovono correnti profonde. Sono lente e forti e non si curano dell’interesse contingente dei media, non si fanno condizionare dalle liste di priorità della politica, sembrano segnate dalle singole specificità nazionali ma hanno invece molto in comune tra loro, ovunque avvengano”. Nel futuro potremo fare assegnamento, quindi, nelle radici forti e sane su cui poggia il concetto stesso di museo moderno, il quale potrà continuare ad evolversi restando sempre al servizio della comunità e rispondendo alle sue esigenze. 

Gli autori

Vittorio Falletti insegna Economia dell’Arte all’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino. È socio fondatore dell’Associazione Italiana di Studi Museologici e membro dell’Icom Italia. Tra le sue pubblicazioni si ricorda: «Ecomusei: cosa sono e cosa possono diventare», scrito con M. Maggi ed edito da Allemandi nel 2001.

Maurizio Maggi è dirigente di ricerca all’Ires, ente di ricerca della Regione Piemonte, e membro dell’Icom Italia. Una delle sue pubblicazioni è «Musei alla frontiera» edito nel 2009 da Jaca Book.

Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

Fonte dell'immagine: The Federalist Negli Stati Uniti, presso l’Art Institute of Chicago (AIC) si è aperto un caso che potrebbe essere d...