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Volontari e social media

I consigli di Mar Dixon anche per i piccoli musei




In un articolo del 16 settembre 2013 di Museum Practice, Mar Dixon, social media manager di Kids in Museums, ci spiega come i volontari possono essere una risorsa importante per una organizzazione no profit. 
In Kids in Museums (associazione che cerca di dare voce alle famiglie che visitano musei e gallerie della Gran Bretagna) i volontari operano in ogni settore. Mar Dixon ha iniziato a collaborare come social media manager circa tre anni fa. Quando ha iniziato, il principale account era Twitter, che allora contava circa 3.000 followers (ora ne ha 17.400). Il primo obiettivo che Dixon si è prefisso è stato quello di fare in modo che Kids in Museum diventasse più reattivo e aperto. Per costruire una strategia di social media che funzionasse e che si fondasse sulla collaborazione di volontari era necessario innanzitutto consolidare sia la fiducia nei confronti dei volontari che quella nei confronti dei followers. Dopo che gli altri canali (Facebook e Linkedin) furono attivati, Dixon cercò altri volontari affinché a loro volta promuovessero Kids in Museums attraverso quei social networks.
Il concetto era semplice: più voci che sostenevano i loro canali e più i followers avrebbero saputo che Kids in Museums era lì pronto a interagire con loro. Ma utilizzare dei volontari può comportare dei rischi per l'organizzazione?
Secondo Dixon la risposta è semplice: non sarebbero stati invitati a far parte di Kids in Museums se ci fossero state preoccupazioni al riguardo. "I volontari sono collaboratori favolosi ed essi stessi hanno un grande rispetto per il loro ruolo. Possono accadere errori? Si possono commettere degli sbagli? Naturalmente. Tutti noi siamo caduti vittime del senso dell'umorismo scatenato dalle “correzioni automatiche”. Ma invece di eliminarli, questi errori si tengono intenzionalmente. Almeno ciò dimostra che Kids in Museums è gestito da esseri umani e che i followers hanno a cuore la loro presenza online nonostante qualche piccola svista. Se un nuovo volontario commette un errore, gli viene fatto capire che è tutto ok e che non è solo. Viene messo al corrente degli sbagli più divertenti che sono stati commessi da altri in modo che superi il senso di inadeguatezza o il timore. Dixon ricorda quella volta che sbagliò l'indicazione del giorno, martedì al posto di venerdì, o quella volta che gli capitò di menzionare per errore un museo al posto di un altro. Dopo quelli errori il mondo non è finito e questo ha dato modo ai followers di uscire allo scoperto e di farsi sentire per correggerlo in modo ironico. La parte difficile, invece, è infondere fiducia nei volontari affinché capiscano che la loro voce merita di essere ascoltata. I corsi di formazione sono utili, ma non sono sempre i volontari hanno la possibilità di partecipare.
In certi casi si cerca di comunicare a distanza con loro per aiutare a costruire la fiducia in loro stessi e affinché comprendano che quell'account Twitter o Facebook appartiene anche a loro. E' importante che i volontari abbiano una certa autonomia perché Kids in Museums deve seguire molti differenti progetti, workshop ed eventi, e quindi non può seguire anche una pianificazione per quanto riguarda i tweets. 
Dixon è anche convinto che i social media debbano essere innanzitutto sociali prima che strumenti di promozione. Quando diversi progetti sono in lavorazione simultaneamente si cerca di coordinare e di equilibrare il volume delle condivisioni online. Per questo è stata studiata una strategia molto semplice da seguire che include i seguenti punti:

- Utilizzare sempre le proprie iniziali. Questo aiuta i followers a capire chi dei due o più utilizzatori principali sta usando l'account.  

- Verificare prima i tempi prima di condivisione per assicurarsi che non sia già in atto un'altra conversazione. Inserire un aggiornamento su uno workshop e subito dopo su un evento diverso confonde i followers.

- E’ giusto che i responsabili dei progetti di Kids in Museums desiderino promuovere il loro lavoro e farlo conoscere ai followers, ma dobbiamo anche ricordare che  i social media non devono essere utilizzati solo come strumento di pubblicità ispirato al marketing. 

  • Incoraggiare i followers a partecipare attivamente.

  • Ascoltare i volontari e fare in modo che le loro esigenze sia no ascoltate. Ad esempio, alcuni volontari preferiscono usare Facebook più di Twitter, allora si è fatto in modo che gli account Facebook e Twitter siano collegati in modo che tutto ciò che viene condiviso su Facebook sia postato automaticamente anche in Twitter


Altre linee guida fondamentali della strategia di Kids in Museum sui social media sono:  


  • Niente parolacce.
  • Controllare sempre i collegamenti prima della condivisione.
  • Non avviare una conversazione e lasciarla a metà.


La maggior parte di queste indicazioni è dettata dal comune buon senso e sembra quasi ovvia, ma all'atto pratico, in giro sui social media è più difficile vederle attuate di quanto si pensi. Affidare il proprio social media ai volontari dovrebbe essere, in ogni caso, una meravigliosa esperienza. In due anni Kids in Museums è riuscito a costruire la propria rete sui social media con Twitter che ha visto un aumento di oltre il 366% e Linkedin e Facebook ugualmente cresciuti in maniera esponenziale. E tutto questo grazie ai volontari. Penso, allora, ai piccoli musei, per esempio, che spesso lamentano che la mancanza di personale impedisce loro di essere sui social media. Ecco, questa può essere una soluzione. I consigli di Mar Dixon valgono quanto per le organizzazioni no profit quanto per quelle strutture museali che non hanno le risorse finanziarie per avere del personale destinato esclusivamente alla comunicazione sul web. In questo caso i volontari possono svolgere un ruolo importantissimo per dare visibilità e voce a quei musei.


"Muoia Sansone con tutti i Filistei"

L’amarezza per le situazioni critiche cui conduce una professione sfruttata e sottostimata come quella dell’archeologo o dello storico dell'arte non deve portare allo scontro con la cultura partecipativa: il caso della Notte dei Musei


di Caterina Pisu

In questo blog avevo già affrontato il tema del volontariato, per cui non ripeterò alcuni concetti fondamentali già espressi, che pure sono importanti per capire l’origine e l’importanza del volontariato come anche alcuni aspetti ambigui che riguardano non tanto il volontariato in sé quanto il suo utilizzo improprio, ma vi rimando, per questo, alla lettura del mio articolo.

L’argomento è diventato ancora più attuale da quando il MiBAC, dalla propria pagina Facebook,  tempo fa ha lanciato un appello alle organizzazioni di volontariato affinché si rendessero disponibili durante la Notte dei Musei 2013, che si svolgerà il prossimo 18 maggio.

La notizia ha provocato l’immediata reazione soprattutto di archeologi e storici dell’arte che hanno interpretato l’appello come l’ennesimo tentativo di sfruttare i professionisti della cultura.

In realtà l’apporto dei volontari in questa circostanza sarà unicamente di supporto al personale che, nei casi di afflusso di pubblico maggiore rispetto all’ordinario, potrebbe rivelarsi insufficiente, causando disagi soprattutto ai visitatori. 

Si tratta, quindi, di svolgere una semplice funzione di assistenza al pubblico, fornendo qualche spiegazione, così come fanno normalmente i custodi di un museo; niente che abbia a che fare con la professione dell’archeologo o dello storico dell’arte che, chiaramente, quando hanno la fortuna di lavorare, solitamente svolgono compiti completamente diversi e altamente specializzati.

Il primo aspetto negativo, dunque, è quello di ingenerare confusione nelle persone, le quali così accomuneranno la nostra professione ad altre che richiedono un minor grado di specializzazione. Certamente non tutti potranno capire come mai se gli operatori dei servizi di custodia non hanno avanzato vigorose proteste in questa circostanza, essendo i più diretti interessati all’impiego dei volontari nel loro ambito di lavoro, se ne siano preoccupati, invece, archeologi e storici dell’arte che normalmente svolgono compiti completamente diversi. Si tratta di una sorta di autogol, di una auto-dequalificazione del proprio ruolo professionale.

E allora da dove nasce la protesta? Certamente da un’onda emotiva. Il disagio dei professionisti della cultura è comprensibile: troppo spesso queste professioni sono sottostimate e sfruttate. Ma per mettere in atto una protesta che sia giustificata e, soprattutto, che sia chiara anche per il resto della comunità, non si poteva scegliere occasione peggiore. 

Innanzitutto, per quanto si sia cercato in vari modi di evitare di entrare in aperto contrasto con il mondo del volontariato, di fatto si vuole impedire che la cittadinanza possa compiere liberamente il proprio impegno civico, che è un diritto sancito dalla nostra Costituzione (Art. 2). Pertanto, in un periodo storico come l’attuale, in cui parole come “condivisione” e “partecipazione” sono sempre più sentiti come un’esigenza irrinunciabile, andare contro corrente è rischioso e attirerà antipatie verso la protesta di archeologi e storici dell’arte.

In secondo luogo, si è criticato perfino il modo con cui il MiBAC ha lanciato l’appello, cioè attraverso i social network. Questa affermazione sbalordisce ancora di più, soprattutto perché è pronunciata da chi, in genere, appartiene al “popolo del Web”, cioè da quelle generazioni che ormai sanno vivere con disinvoltura la comunicazione virtuale e ne conoscono i vantaggi in termini di veicolazione di contenuti e di notizie. Quali strumenti sono migliori e più democratici dei social network?

Il volontariato: in alcuni Paesi, come il Regno Unito, è uno "stile di vita" non in contrasto con il mondo professionale.

La sensazione è che questi professionisti, eterne vittime di una politica che ha sempre penalizzato le professioni culturali, vogliano trascinare nella “rovina” tutto il mondo della cultura. “Muoia Sansone con tutti i Filistei”, che importa se non ci saranno più eventi come la Notte dei Musei o altri simili, che hanno il pregio di coinvolgere tutti e di diffondere l’amore per il nostro patrimonio culturale?

Badate, non sono le motivazioni di base della protesta che sono sbagliate, ma lo è la circostanza! Su Twitter è stato lanciato l'hashtag #no18maggio che sarà interpretato come un veto ai volontari e come un tentativo di bloccare ogni forma di partecipazione attiva da parte della comunità.


Perché #no18maggio, ovvero “No alla Notte dei Musei”, un evento che si svolge in ogni parte del mondo con l’apporto prezioso dei volontari? Mi si spieghi che cosa c’entra questo con la causa degli archeologi e degli storici dell’arte. 



Ma attenzione, se non si sgombrerà il campo dagli equivoci e non si cercherà di essere più che convincenti, eliminando ogni rischio di confusione tra quelle che sono le reali funzioni di archeologi e storici dell’arte rispetto ai compiti di un volontario, sarà più difficile che in futuro i problemi della categoria possano essere compresi e condivisi dal resto della comunità.

Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

Fonte dell'immagine: The Federalist Negli Stati Uniti, presso l’Art Institute of Chicago (AIC) si è aperto un caso che potrebbe essere d...