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Alcune osservazioni in merito alle linee programmatiche del ministro Bray


di Caterina Pisu


Il documento “Linee programmatiche dell’azione del ministro per i beni e le attività culturali”, esposto dal ministro Massimo Bray lo scorso 23 maggio, fa riferimento in vari punti al patrimonio museale. In particolare, al punto 4, “I Musei e gli altri luoghi della cultura. La destinazione dei proventi dei biglietti”, si legge:

“È assolutamente prioritario un intervento normativo finalizzato a modificare le disposizioni normative attualmente in vigore in virtù delle quali gli introiti derivanti dalla vendita dei biglietti di ingresso dei musei, dalla concessione dei servizi al pubblico (libreria, caffetteria, audioguide e simili) e dai canoni dovuti per la riproduzione dei beni culturali statali vengono introitati al bilancio dello Stato e riassegnati, ma solo in minima parte, al Ministero per i beni e le attività culturali. 
Se è già colpevole che il nostro Paese finanzi in misura nettamente insufficiente la cultura, è addirittura intollerabile che vengano sottratti al Ministero i proventi derivanti direttamente dagli introiti dei musei e degli altri luoghi della cultura. La ricchezza prodotta dalla cultura, in questo modo, viene sottratta proprio ai soggetti che la hanno generata”. 

Questo è un punto fondamentale ed è certamente uno degli errori che hanno “disattivato” per anni la capacità delle istituzioni museali di reinvestire su se stesse. Il rilievo fatto da Massimo Bray, dunque, se attuato, potrà portare cambiamenti che non tarderanno a produrre benefici, purché a ciò si congiunga la ricerca di nuovi modelli di gestione museale che non considerino i musei tutti uguali, ma tengano conto delle loro specifiche caratteristiche, delle dimensioni e delle varie realtà in cui essi operano.
A questo riguardo, un altro passo del documento ha attirato la mia attenzione. Si tratta del paragrafo 16, “La valorizzazione del patrimonio culturale. Una migliore fruizione dei luoghi della cultura. Una gestione efficace dei servizi accessori”. In questa parte si fa riferimento all’importanza di realizzare alcuni degli obiettivi più importanti che i musei devono perseguire: prima di tutto l’accessibilità, che è legata al diritto di tutti di fruire del patrimonio culturale, senza ostacoli architettonici che limitino la libertà di movimento o che, in vari modi, penalizzino le persone disabili; ma anche senza ostacoli culturali, cioè senza barriere che tengano lontane le persone per la loro razza, nazionalità, religione, sesso, cultura, età, ecc. ecc.. I musei devono mettere in atto nuove strategie di avvicinamento del pubblico che aiutino a superare le diversità e a favorire l’integrazione dei cittadini. Si legge, infatti:  “In tema di valorizzazione gli obiettivi che richiedono di essere perseguiti sono il miglioramento dell’accessibilità ai musei, non sempre assicurata a tutte le fasce di utenti e con orari di apertura spesso penalizzanti (…). Anche la scelta degli orari può essere sfavorente soprattutto se i musei non tengono conto che i propri visitatori non sono soltanto i turisti che hanno a disposizione un’intera giornata per accedere ai musei negli orari prestabiliti, ma sono anche i residenti, verso i quali bisogna realizzare programmi culturali specifici e per i quali bisogna pensare ad orari di visita più flessibili, che non coincidano con gli orari della scuola e del lavoro.

Prosegue, quindi, il documento:

(…)una qualità dei servizi nei Musei che sia adeguata agli standard internazionali, il rinnovo delle concessioni dei servizi al pubblico nei Musei, ampiamente scadute e che, a causa di contenziosi insorti rispetto alle procedure di gara avviate nel 2010, non è stato possibile rinnovare”. 
L’affidamento dei servizi aggiuntivi a società esterne, è stato, fin dall’inizio, molto problematico e non di rado anche conflittuale rispetto alla gestione primaria del museo. Questo è un punto che non è stato messo in luce nelle linee programmatiche del ministro Bray, ma che rappresenta un nodo da sciogliere per superare il dualismo tra conservazione e valorizzazione, che tuttora persiste. Senza una gestione più unitaria non si potranno neppure fornire servizi adeguati e conformi alle finalità che si prefigge il museo e al suo “concept”.

Nel passo successivo si legge:

“(…) è inoltre necessario favorire una maggiore integrazione tra i luoghi della cultura statali e non statali, presenti nelle stesse città, anche mediante la promozione degli itinerari culturali non inseriti nei principali circuiti turistici. Infine, è necessario stimolare e favorire una maggiore attenzione delle giovani generazioni per il patrimonio culturale”.
Porre l’attenzione sulla promozione degli itinerari culturali non inseriti nei principali circuiti turistici, è un obiettivo che mi auguro possa essere effettivamente portato a compimento, perché, sebbene non si faccia preciso riferimento alla miriade di piccoli musei che caratterizzano la vita culturale delle nostre province e dei nostri borghi, si comprende finalmente che il patrimonio culturale non è rappresentato soltanto dai grandi musei e dai monumenti più noti, ma anche e, direi, soprattutto, dall'espressione della cultura locale delle piccole e medie comunità e delle comunità periferiche delle grandi città. Se il 90% del patrimonio museale italiano è rappresentato dai piccoli musei, perché questa ricchezza è abbandonata a se stessa e, anzi, è spesso vista come un fardello o come uno spreco di risorse pubbliche? Secondo il museologo croato Tomilav Šola, il crescente neoliberismo ha diffuso l'idea che i musei siano un peso, ma essi, al contrario, possono produrre enormi benefici alla società; i nuovi metodi econometrici mostrano che le ricadute economiche che essi, indirettamente, riescono a produrre per la comunità superano quelli che provengono dalle attività commerciali abituali. Addirittura alcune ricerche hanno rilevato che un comprensorio in cui è attivo un museo, può disporre di quasi il doppio dei posti di lavoro come esito delle attività che si svolgono “per” e “intorno” al museo. Se non si demolisce la falsa opinione che i musei conducano allo spreco di risorse pubbliche e che siano enti inutili, si priverà la società di una potenziale e importantissima leva economica per il suo sviluppo economico, sociale e culturale. Ma questa convinzione deve essere smantellata a partire dalle istituzioni, dai soggetti decisori nelle pubbliche amministrazioni e negli enti locali.
E’ interessante rilevare che nelle linee programmatiche del ministro Bray, le necessità dei visitatori occupano un ruolo non secondario e, di conseguenza, i servizi sono descritti in funzione del benessere dei primi e non solo in funzione della ricerca di proventi, sebbene questo sia un aspetto cui si dà ancora un’importanza rilevante. 

Si legge, infatti:

“(…) è necessario impegnarsi per il miglioramento della pubblica fruizione dei siti culturali attualmente non aperti al pubblico o non adeguatamente valorizzati. I dati in possesso del Ministero dicono che numerosi siti culturali statali sono attualmente non visitabili o sono aperti solo in determinati giorni e orari. In questi luoghi della cultura – è quasi inutile aggiungerlo – sono del tutto carenti i servizi in favore del pubblico: dalle audioguide, alle librerie, ai servizi di ristorazione. Si tratta di un fenomeno molto grave, perché la mancata fruizione dei beni rappresenta un impoverimento per la collettività. Un impoverimento anzitutto culturale, ma anche economico, se si considerano le opportunità di lavoro che potrebbero derivare dall’apertura di quei siti e l’indotto che potrebbe essere generato”. 

Ma si aggiunge anche:

“Peraltro, l’attuale situazione dei conti pubblici non consente di ipotizzare l’effettuazione di assunzioni del grande numero di unità di personale, soprattutto di custodia, che sarebbe necessario a tal fine”.

E’ chiaro che senza un piano finanziario che tenga conto della necessità di nuove assunzioni, anche le migliori intenzioni resteranno sulla carta. Pertanto si suggerisce:

“La via percorribile potrebbe, pertanto, essere quella di consentire la concessione dei siti, sulla base di un progetto di restauro e di valorizzazione condiviso dall’Amministrazione, a soggetti privati, sulla base di procedure selettive di evidenza pubblica e per un periodo di tempo determinato. Ove, poi, la gestione imprenditoriale dei luoghi della cultura interessati dovesse risultare non profittevole, potrebbe ipotizzarsi la concessione a soggetti non lucrativi, che sarebbero in grado di assicurare almeno l’apertura al pubblico”

In entrambi i casi si tratta di soluzioni che possono essere adottate con successo purché ciò non significhi la rinuncia da parte delle istituzioni pubbliche ad occuparsi della gestione dei luoghi culturali del nostro Paese, perché una privatizzazione generalizzata, affidata a soggetti che potrebbero anteporre il profitto alla conservazione, alla ricerca e ad una adeguata valorizzazione, potrebbe essere un’idea con esiti talora disastrosi. Bisogna insistere, invece, affinché lo Stato consideri il patrimonio culturale come un bene su cui investire, coinvolgendo sì i soggetti privati o il volontariato, ma non demandando ad essi l’intera gestione, compresa la tutela dei luoghi culturali, generando conflitti tra le parti, in particolare con le Soprintendenze, che, invece, anziché perdere potere d’azione, dovrebbero essere rinnovate, meglio finanziate e dotate di nuovo personale.
Nel documento, si prende atto anche di una attenzione decisamente accresciuta del Ministero nei confronti delle moderne tecnologie di comunicazione. Il ministro Bray, che utilizza normalmente i social networks, ha voluto dare ad essi la giusta rilevanza anche nel settore culturale, cercando di superare quelle reticenze che ancora sussistono, soprattutto tra i professionisti che appartengono alle generazioni meno “tecnologiche”. E Bray sembra anche aver tenuto nella debita considerazione il recente fenomeno delle Invasioni digitali, cui non fa espresso riferimento, ma del quale esprime i concetti di fondo, soprattutto in relazione ai diritti di riproduzione delle immagini:


“Le moderne tecnologie, internet, i social networks, la tendenza a una circolazione sempre più veloce delle informazioni e dei contenuti, prodotti oggi in modo diffuso, da soggetti non professionali, costituiscono fattori di crescita culturale, sociale ed economica e, soprattutto, di democrazia, e non possono non spingere verso l’aggiornamento anche dell’attuale disciplina in materia di riproduzione dei beni culturali. La normativa vigente, infatti, prevede che per riprodurre l’immagine di un bene culturale appartenente allo Stato, a una regione o a un comune sia sempre necessaria un’apposita autorizzazione e che sia inoltre ordinariamente dovuto un canone. La regola vale sia nel caso di riproduzione – per così dire – “dal vivo” del bene, sia ove si tratti di riproduzione di un’immagine già esistente, per esempio nel caso in cui si pubblichi una fotografia già esistente di un’opera d’arte sulla propria pagina di Facebook. Non solo, ma l’autorizzazione è rilasciata a titolo gratuito solo in caso di riproduzione “per uso personale o per motivi di studio”, senza che possa ritenersi del tutto chiaro se tale sia, ad esempio, la pubblicazione della foto su un blog o su un social network. Si tratta, con tutta evidenza, di una normativa che richiede di essere chiarita e messa al passo con i tempi, soprattutto ove si consideri che a un tale astratto rigore nel perseguire la pubblicazione di foto di beni culturali su internet da parte di privati cittadini non si associa, purtroppo, altrettanta capacità di trarre occasioni di introito, in favore dell’erario e, quindi, della collettività, dalle utilizzazioni commerciali dell’immagine dei beni culturali pubblici. Anche su tali aspetti, pertanto, è necessario e urgente un intervento normativo”.

ILLUSTRAZIONE DELLE LINEE PROGRAMMATICHE DELL’AZIONE DEL MINISTRO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI

Riporto, di seguito, il testo delle linee programmatiche dell'azione del Ministro per i beni e le attività culturali. Si fa riferimento ai musei al punto 4 e 16.


Commissioni congiunte VII^ Camera e 7^ Senato della Repubblica 
23 maggio 2013 

Premessa. La cultura come bene comune e come diritto. Il contesto europeo e lo  scenario mondiale. 

La tutela, lo sviluppo e la diffusione dei beni, delle attività, dei valori della cultura si collocano necessariamente al centro degli obiettivi di crescita civile, sociale ed economica del nostro Paese. Del resto, è ormai acquisita la convinzione secondo cui la cultura costituisce un bene comune di straordinaria ricchezza e complessità, che, in tutte le sue diverse manifestazioni, deve essere protetto e potenziato. Ma la cultura non è soltanto uno degli interessi pubblici essenziali, tutelato dalla Costituzione e dai Trattati internazionali. Rappresenta anche l’oggetto di un insieme di diritti fondamentali del cittadino, della persona, delle formazioni sociali: il diritto di accesso al sistema della produzione culturale; il diritto alla più ampia fruizione di tutti i beni culturali, dei prodotti delle attività culturali. 
Le linee programmatiche del Ministero sono definite partendo da queste premesse di fondo, tenendo conto del lavoro già compiuto nel corso degli ultimi anni. Occorre, però, compiere passi ulteriori, aumentando gli sforzi per affrontare con coraggio e convinzione le difficili sfide che il Ministero ora ha di fronte. Le nuove politiche per la cultura italiana dovranno muoversi nel contesto europeo in modo convinto, sottolineando con fermezza alcuni punti essenziali, incentrati sulla peculiarità dei “valori culturali”. Questi impongono di assegnare all’Italia il ruolo di capofila nella espressione di posizioni coerenti con questa impostazione in seno alle istituzioni dell’Unione europea.
Una prima importantissima manifestazione di questa precisa linea di azione è costituita dalla sottoscrizione di un documento, predisposto insieme al Ministro della cultura francese, incentrato sulla chiara enunciazione del principio della “eccezione culturale”, applicabile anche al livello delle scelte politiche dell’Unione europea. Nella elaborazione delle regole di libero scambio tra Europa e Paesi Terzi, quali gli Stati Uniti, i prodotti della cultura non possono essere disciplinati come “merci” comuni, ma vanno considerati nella loro esatta natura di espressioni di “valori”. 
Il ruolo attivo e dinamico della cultura italiana deve essere chiaramente riproposto nel contesto mondiale. Le trasformazioni dello scenario globale avvenute a cavallo del secondo e del terzo millennio non possono che accrescere la necessità di potenziare gli scambi culturali e di promuovere la conoscenza dell’immagine italiana nelle diverse aree geografiche. 
La cooperazione dell’Italia con altri Paesi, anche in realtà complesse, rappresenta un fattore importantissimo per agevolare i processi di pace e di ricostruzione. Inoltre, la dimensione internazionale delle politiche per la cultura attuate dall’Italia favorisce l’integrazione, anche all’interno del nostro Paese, tra realtà provenienti da diverse origini. 
In questa prospettiva, devono essere sviluppati i progetti di cooperazione per il restauro di siti culturali con Giordania, Israele, Palestina, Iraq, Iran, Libia, Tunisia. 
Gli indirizzi programmatici del Ministero devono tenere conto anche dei principi di sussidiarietà verticale e orizzontale. Va osservato, infatti, che i risultati più rilevanti nei campi della tutela e della promozione dei beni e delle attività culturali possono essere realizzati efficacemente solo attraverso un pieno e responsabile coordinamento con le politiche regionali e con le funzioni svolte dagli enti locali. 
Gli ambiti di svolgimento di questa cooperazione verticale sono diversificati e utilizzano strumenti molteplici, in relazione ai settori considerati. Ma è in ogni caso indispensabile individuare, allargandone lo spazio operativo, forme virtuose di coordinamento: la presenza di più attori pubblici nel campo della cultura deve rappresentare occasione di accrescimento dell’efficacia complessiva delle azioni istituzionali e non causa di conflittualità, come talvolta è avvenuto in passato. 
In questo ambito è necessario rafforzare il coordinamento con il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, per lo svolgimento di azioni congiunti con le regioni e con le istituzioni europee per la promozione della ricerca sul patrimonio culturale. 
Anche l’importanza, in alcuni casi l’insostituibilità, dei soggetti privati nell’attuazione delle politiche per la cultura deve essere ribadita e accompagnata da azioni concrete. 
Il mondo delle associazioni nazionali e locali attive nel campo dei beni e delle attività culturali è particolarmente ampio e ha contribuito in modo straordinario alla diffusione di valori condivisi di tutela e valorizzazione dei beni culturali. Non solo: anche i contributi offerti individualmente da soggetti privati impegnati nel campo della cultura hanno consentito spesso la realizzazione di iniziative culturali che il settore pubblico, da solo, non avrebbe potuto attivare. 
Occorre proseguire su questa strada, individuando ulteriori forme di sinergia tra pubblico e privato, senza sovrapposizioni di ruoli e senza “supplenze”, facendo convergere le forze e gli interessi dei diversi soggetti verso obiettivi determinati. In ogni caso, nella giusta prospettiva della trasparenza e della partecipazione dell’amministrazione e dei processi decisionali di maggiore spessore, vanno ampliate le occasioni di ascolto e di confronto dei soggetti privati, specie di quelli portatori di interessi collettivi e diffusi. Il ricorso a modalità di azione partecipate e, il più possibile, condivise con i cittadini, le categorie e i portatori di interesse potrà infatti, auspicabilmente, contribuire a ricostituire un clima di fiducia della collettività nei confronti delle Istituzioni. In questa cornice di riferimento si collocano, più specificamente, i punti essenziali delle linee programmatiche del Ministero, suddivisi in funzione dei settori più importanti in cui si esplica la missione istituzionale dell’amministrazione.

1. Il “Grande progetto Pompei”. Un’opportunità da tradurre in risultati concreti. 

Le notizie di cronaca degli ultimi anni, nel riportare numerosi episodi di cedimenti e danni alle domus di Pompei, hanno richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica sulla necessità di interventi urgenti per la tutela del sito archeologico, di cui è superfluo ricordare il valore inestimabile e l’assoluta unicità. 
Una prima risposta all’emergenza è stata data con l’emanazione del decreto legge n. 34 del 2011, che ha previsto l’adozione di un programma straordinario di interventi, alla cui realizzazione è stato anche destinato un importante finanziamento dell’Unione europea. 
Qualunque visitatore dell’area archeologica può, peraltro, rilevare immediatamente come – nonostante l’evidente ed encomiabile sforzo operato dall’Amministrazione per mettere celermente in cantiere i lavori più urgenti – molto, anzi moltissimo, rimanga ancora da fare. A distanza di due anni dal decreto legge, la piena e completa attuazione di quel Progetto rappresenta quindi una priorità assoluta per il nostro Paese e, verrebbe da dire, per la comunità mondiale. In favore di questo obiettivo occorre pertanto promuovere l’impegno condiviso di tutti gli attori istituzionali coinvolti.

2. La tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale. Il rafforzamento e il miglioramento del codice. 

La tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale costituiscono una delle missioni fondamentali del Ministero, identificandone la stessa ragion d’essere. È necessario, in primo luogo, dare ulteriore impulso e sostegno agli interventi di attuazione e di miglioramento del Codice dei beni culturali e del paesaggio, verificandone con attenzione la concreta applicazione nel corso degli ultimi anni. Il codice costituisce, indubbiamente, un approdo importante della legislazione, perché ha saputo definire efficaci livelli di protezione dei beni culturali e paesaggistici e della loro valorizzazione. Gli strumenti di tutela previsti vanno difesi e rafforzati, ma occorre semplificare alcune procedure eccessivamente burocratiche, scarsamente idonee a realizzare concreti obiettivi di tutela degli interessi culturali. Occorre ricordare, al riguardo, che il codice, entrato in vigore nel 2004, è stato oggetto di importanti correttivi nel 2006 e nel 2008. A distanza di oltre cinque anni dall’ultimo intervento legislativo, la prassi applicativa ha dimostrato l’esigenza della definitiva messa a punto del testo normativo, le cui disposizioni richiedono di essere integrate e chiarite su diversi punti, ferma restando l’architettura generale. Per fare un solo esempio, richiede una profonda revisione la normativa sui “monumenti nazionali”, che trae la propria origine storica dalle vicende successive all’incameramento dei beni della Santa Sede da parte del neonato Regno d’Italia. La scarsa chiarezza del quadro, su questo punto, è all’origine, purtroppo, di situazioni di mancanza di adeguato controllo, che hanno causato, di recente, fatti gravissimi come quelli occorsi presso la Biblioteca dei Girolamini.. Sarà presto attivato un apposito gruppo di lavoro incaricato di analizzare i profili di concreta criticità della normativa in materia di tutela e valorizzazione dei 
beni culturali e di formulare puntuali proposte di modifiche del codice. In tal modo, sarà possibile rimuovere incongruità e colmare lacune emerse nella prassi applicativa di una disciplina complessivamente condivisa e generalmente apprezzata dai cittadini, dagli enti territoriali e dagli operatori del settore. 

3. La fiscalità di vantaggio per i beni e le attività culturali. Uno strumento per il rilancio dell’economia e per la crescita del Paese. 

Raccogliendo i proficui contributi emersi dal dibattito sviluppatosi negli ultimi anni tra le forze politiche e gli attori sociali, deve essere rilanciata con forza la questione della fiscalità di vantaggio per i beni e le attività culturali. 
Tre sono le ragioni e, nel contempo, le linee di indirizzo di questa scelta:

- favorire un partenariato pubblico-privato, anche istituzionalizzato in fondazioni, più dinamico e vitale;

- assegnare una maggiore considerazione – nell’ambito della prossima riforma del regime fiscale degli immobili – della assoluta particolarità della posizione delle dimore storiche, in modo da aiutare i privati proprietari di beni culturali immobili a tenere in piedi questi beni e a garantire la minima manutenzione necessaria per loro conservazione; 

- sostenere il mecenatismo e le sponsorizzazioni, per aiutare lo Stato e gli enti pubblici a fare manutenzione programmata e restauri, da Pompei alla prevenzione del rischio sismico, fino al recupero e restauro di importanti monumenti che rischiano di crollare. 

Il principio del vantaggio fiscale per le attività di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, nonché per il sostegno alle attività culturali, è già attualmente presente nella legislazione tributaria. Si può fare riferimento, in particolar modo, alle ipotesi di detrazioni dall’imposta, per le persone fisiche, e di deduzione dall’imponibile, per le persone giuridiche, delle spese per il restauro di beni vincolati e delle erogazioni liberali, previste dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi, nonché alla recente disposizione che prevede l’abbattimento del cinquanta per cento della base imponibile dell’IMU per i fabbricati di interesse storico o artistico. 
Anche nel disegno di legge delega per il riordino del sistema fiscale approvato dal precedente Governo era prevista una menzione della “eccezione culturale”, ossia della necessità di tenere nel debito conto il tema della fiscalità di vantaggio per i beni e le attività culturali. 
Questa linea deve essere mantenuta, con la precisazione di ulteriori e più precise indicazioni e proposte operative. 
In questa prospettiva, occorre introdurre misure forti e chiare: 
l’IVA agevolata per il restauro di beni culturali; la riforma del regime delle detrazioni e deduzioni fiscali dall’imposta sui redditi, pensando magari al modello francese, che prevede la ben più incisiva misura della detraibilità del 60% dall’imposta dovuta dei versamenti effettuati dalle imprese in favore di opere o di organismi operanti nel campo della cultura; la riforma del regime IMU (ovviamente nel contesto generale della revisione del sistema impositivo sulla casa) per gli immobili sottoposti a vincolo storico e artistico, come forma di alleggerimento fiscale a vantaggio dei proprietari di immobili vincolati a fronte degli oneri legati al vincolo e delle connesse responsabilità per la conservazione imposte dalla legge di tutela. 
Queste proposte in tema di vantaggio fiscale per i beni e le attività culturali non servono solo a garantire la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale, ma servono anche a favorire la ripresa economica di un settore – quello del restauro – cui oggi si affacciano con interesse tanti giovani in cerca di occupazione. 

4. I Musei e gli altri luoghi della cultura. La destinazione dei proventi dei biglietti. 

È assolutamente prioritario un intervento normativo finalizzato a modificare le disposizioni normative attualmente in vigore in virtù delle quali gli introiti derivanti dalla vendita dei biglietti di ingresso dei musei, dalla concessione dei servizi al pubblico (libreria, caffetteria, audioguide e simili) e dai canoni dovuti per la riproduzione dei beni culturali statali vengono introitati al bilancio dello Stato e riassegnati, ma solo in minima parte, al Ministero per i beni e le attività culturali. 
Se è già colpevole che il nostro Paese finanzi in misura nettamente insufficiente la cultura, è addirittura intollerabile che vengano sottratti al Ministero i proventi derivanti direttamente dagli introiti dei musei e degli altri luoghi della cultura. La ricchezza prodotta dalla cultura, in questo modo, viene sottratta proprio ai soggetti che la hanno generata. 

5. Il patrimonio dei beni architettonici e monumentali. Il potenziamento del sistema informativo per la valorizzazione di una immensa ricchezza.

In questi anni il Ministero si è concentrato sull’obiettivo di una sempre più ampia conoscenza del patrimonio architettonico attraverso un’intensa attività diretta all’incremento dei provvedimenti di verifica dell’interesse storico artistico dei beni pubblici e una sempre più incisiva azione di catalogazione. Dal 2005, data di istituzione del sistema informativo “Beni Tutelati” ad oggi, sono stati verificati ben 10.905 beni. 
Questo lavoro ha non solo agevolato le iniziative previste dalle recenti leggi di bilancio relative alla razionalizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico attraverso idonei piani di dismissione, con indiscutibili vantaggi per la finanza pubblica, ma anche perseguito una più approfondita conoscenza dei beni stessi, presupposto primo per una efficace azione di tutela e di attuazione della prevenzione in caso di calamità. 
Occorre continuare questa attività, implementando le funzionalità del sistema informativo in modo da assicurarne l’accesso a tutti gli operatori e favorire con la conoscenza preventiva condotte da parte dei soggetti proprietari. 

6. Il patrimonio monumentale e il rischio sismico. La prevenzione e i progetti di restauro nelle aree dell’Abruzzo e dell’Emilia.

Tra gli impegni prioritari del Ministero vi è senz’altro quello di affrontare il tema della prevenzione del rischio sismico, tema sempre di grande attualità, come purtroppo hanno dimostrato i recenti eventi dell’Abruzzo e dell’Emilia. Su questo fronte occorre potenziare e affinare le sinergie che si sono già costituite tra Ministero, Protezione Civile e Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, attraverso la definizione di metodologie adeguate alla protezione dei beni culturali, puntando soprattutto sulla prevenzione. Dovrà essere se del caso arricchita la circolare del 2006 che ha introdotto le “Linee guida per la valutazione riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale”. 
Non si può sottacere, d’altra parte, il fatto che negli ultimi anni si è avuta una progressiva diminuzione delle opere di manutenzione programmata degli edifici in genere ed in modo particolare di quelli vincolati a causa della continua riduzione di risorse. Questo fatto ha profondamente inciso sullo stato di conservazione del patrimonio architettonico rendendolo molto più esposto alle calamità naturali, soprattutto per gli eventi sismici. Il dato diffuso dalla Direzione Regionale dell’Emilia di circa 1500 edifici danneggiati, monumenti di interesse culturale fra cui tantissime Chiese, è un dato significativo e di grande gravità. E’ indispensabile, quindi, operare un’inversione di tendenza e tornare ad investire nella manutenzione e nel restauro del patrimonio. Occorre sviluppare una cultura della sicurezza, anche in accordo con il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

7. I valori culturali specifici dei centri storici. Verso una nuova idea di città. Riguardo alla tutela e valorizzazione dei centri storici, deve essere proseguito, e sviluppato l’indirizzo di particolare attenzione già avviato con la Direttiva del 10 ottobre del 2012. Questa iniziativa andrebbe anzi arricchita e completata, con la collaborazione dell’ANCI e delle Regioni, per verificare la 
possibilità di trovare nuove soluzioni normative al problema della progressiva espulsione dai centri storici delle botteghe tradizionali, che pure ne costituiscono un aspetto caratterizzante meritevole di tutela. E’ inoltre necessario che le città riprendano a svolgere il ruolo di “capitali della cultura”. 

8. L’aggiornamento della disciplina sulla circolazione dei beni culturali al di fuori del territorio nazionale. 

Un tema che molto importante e sul quale è necessario intervenire è quello della circolazione dei beni storici, artistici ed etnoantropologici, che oggi presenta una disciplina lacunosa e datata (risalente ad alcune circolari del 1974). Ma anche la direttiva del gennaio 2008 esige un affinamento. Appare dunque necessario prevedere l’apertura di un nuovo tavolo di confronto per riesaminare sia i criteri oggi vigenti per le valutazioni in caso di prestiti sia i criteri per il rilascio o il diniego degli attestati di libera circolazione. Occorrerà inoltre implementare l’utilizzo dei sistemi informativi oggi operanti di GESMO (prestiti per mostre) e SUE (Uffici esportazione).

9. L’arte e l’architettura contemporanee. La qualità dell’architettura e del paesaggio. 

Una particolare attenzione dovrà poi essere assicurata per l’architettura e l’arte contemporanee. La strategia per il settore del contemporaneo, per la natura e la specificità di obiettivi e azioni, richiede una crescente attenzione alla ricerca della qualità e della innovazione creativa, in collegamento con l’operato delle diverse realtà nazionali e internazionali. Il principale strumento operativo di cui si avvale il Ministero per il potenziamento del patrimonio contemporaneo pubblico è il Piano dell’arte contemporanea, introdotto dalla legge n. 29 del 2001, finalizzato ad acquisizioni e arricchimenti di collezioni esistenti, a favorire la committenza di opere, a promuovere concorsi e premi e la conoscenza del settore. 
Un’ulteriore linea di azione del Ministero è quella rivolta alla qualità dell’architettura nel paesaggio attraverso una pluralità di attività dirette a favorire la crescita di una cultura che si estende anche al contemporaneo. 
In quest’ottica, è indispensabile riprendere e approfondire il tema della qualità architettonica, sul quale nelle precedenti legislature sono stati già presentati, anche dai miei predecessori, importanti disegni di legge, che costituiscono una prima traccia utile lungo la quale sviluppare il ragionamento e il confronto. La qualità dell’architettura si lega strettamente, come è evidente, al tema della riqualificazione del tessuto urbano e, soprattutto, delle periferie di tante città italiane: solo un profondo cambiamento del modo di pensare, progettare e dunque realizzare i nuovi interventi – che ponga al centro la qualità del costruire – può consentire il ridisegno 
di tante aree oggi degradate, brutte o, nella migliore delle ipotesi, amorfe, insignificanti, squallide, che avviliscono i nostri centri urbani e sono concausa di disagio sociale; solo la qualità del progetto architettonico potrà consentire di creare nuovo paesaggi urbani, che pongano le nostre reti urbane al livello delle più avanzate e vitali realtà metropolitane europee. Il Ministero non è contrario alle nuove costruzioni. E’ contrario alle nuove costrizioni “vecchie”, cioè a un modo di costruire che sembra rimasto agli anni ’70 del secolo scorso; è contrario all’idea antiquata di una certa imprenditoria del mattone che pensa ancora nella logica del secolo scorso dell’edilizia di espansione – i palazzoni di sette piani in mezzo alla campagna – tutta centrata sul consumo di suolo agricolo verde, che non ha ancora capito che la priorità nel terzo millennio è quella di ricucire e rigenerare i già troppo ampi e dispersivi agglomerati urbani compromessi e degradati. E per realizzare questo cambio di passo è necessario puntare sulla qualità del progetto architettonico, premiando i giovani architetti e incentivando (soprattutto gli enti pubblici) a privilegiare i concorsi di progettazione e gli altri strumenti giuridici capaci di promuovere e sostenere la creatività, la cultura, la novità del progettare. 
Va poi valutata, con il massimo approfondimento, la possibilità di introdurre modifiche giuridiche idonee a migliorare l’azione per la salvaguardia del patrimonio di architettura contemporanea, oggi sostanzialmente escluso dal codice di settore e tutelato solo in base alla legge sul diritto d’autore, ciò che rende di fatto impossibile una efficace azione di tutela.

10. La tutela del paesaggio. Il ruolo della pianificazione territoriale e il rapporto con le Regioni.

Nell’ottica di una politica seria, coerente ed efficace di governo del territorio, che coniughi intelligentemente e oculatamente le istanze dello sviluppo e della tutela, la pianificazione paesaggistica si pone, da sempre, come impegno prioritariamente strategico nell’attività del Ministero. Le finalità che il Codice delinea a carico della pianificazione paesaggistica, 
sono del tutto in linea con la Convenzione Europea del Paesaggio e prevedono una complessa ricognizione di varie centinaia di provvedimenti di tutela dei quali vengono verificate, congiuntamente con le Regioni, le perimetrazioni e messi a punto i criteri di gestione. E’ un’operazione questa particolarmente significativa in termini di certezza del diritto e chiarezza procedurale, giacché è finalizzata a mettere a disposizione del cittadino e degli operatori economici un quadro chiaro e incontrovertibile degli ambiti territoriali di valenza paesaggistica. Al momento i tavoli di co-pianificazione sono particolarmente attivi con le regioni Calabria, Marche, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria e Veneto. 
Pertanto, si deve proseguire nell’attività di co-pianificazione, sia per la conclusione dei lavori nelle Regioni sopra segnalate e l’approvazione del piano, sia per l’attivazione o l’incentivazione della partecipazione nei confronti di quelle regioni oggi in fase di stallo. 

11. La tutela del paesaggio e le energie rinnovabili. Per un equilibrio razionale tra gli interessi in gioco. 

Un tema molto importante e delicato è quello relativo allo sviluppo delle energie rinnovabili, per le complesse implicazioni di carattere paesaggistico. Nell’attuale quadro normativo si registra l’assenza di una chiara regolamentazione di settore, insieme alla mancanza di adeguati indirizzi di programmazione e di valutazione della collocazione delle infrastrutture su scala vasta. Da ciò consegue che si assiste alla disseminazione di impianti sul territorio senza idonei e coordinati criteri di localizzazione. Appare urgente, allora, un’iniziativa anche legislativa da parte del Ministero ripartendo dall’attività già svolta nell’ambito del gruppo di studio a suo tempo promosso dall’Ufficio Legislativo e cogliendo le opportunità insite nella recente attivazione, presso il Ministero dello Sviluppo Economico, dell’Osservatorio per le energie rinnovabili. 

12. La salvaguardia del paesaggio attraverso il contenimento del consumo del suolo. 

Per rafforzare ulteriormente la tutela del paesaggio risulta particolarmente utile l’introduzione di una disciplina legislativa per il contenimento del consumo del suolo e per favorire il prioritario riuso del suolo già edificato, secondo un modello già sperimentato con ottimi risultati in altri Paesi europei. E’ sotto gli occhi di tutti il degrado delle nostre periferie urbane, dove ai capannoni industriali dismessi, alle aree agricole trasformate in depositi di materiali a cielo aperto, vanno aggiungendosi continuamente nuovi centri commerciali e nuovi piccoli agglomerati urbani, completamente scollegati dalla parte rimanente della città. Il fenomeno del consumo incontrollato di suolo agricolo ha ormai assunto, in Italia, soglie allarmanti. Se l’attuale andamento non dovesse essere immediatamente arrestato ci ritroveremmo, in pochi anni, ad aver definitivamente e irreparabilmente compromesso il nostro territorio. E ciò genera una serie di effetti sui quali la nostra società, che – purtroppo vede ancora in un certo modo di fare edilizia l’unico motore dell’economia – non ha ancora riflettuto abbastanza, primi fra tutti la definitiva perdita di aree agricole pregiate e l’irreparabile compromissione del nostro paesaggio agrario, che è elemento caratterizzante del nostro territorio, della nostra identità e 
della nostra cultura. Tutto ciò senza contare che la c.d. “dispersione urbana”, producendo centri abitati privi di servizi o centri commerciali in aree non antropizzate, genera di per sé situazioni di disagio abitativo, e determina, nel medio periodo, l’ulteriore consumo di suolo per dotare quelle aree delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria di cui sono prive. 
Al riguardo, va segnalata la risoluzione adottata , nella precedente legislatura, dalla 13^ Commissione del Senato, che impegnava il Governo “ad attivarsi, in collegamento con il Parlamento e con le Regioni, per la predisposizione di nuove norme di indirizzo in materia urbanistica, che assumano pienamente l’obiettivo di limitare il consumo di suolo libero anche attraverso l’individuazione di obiettivi quantitativi da perseguire nel corso del tempo e l’introduzione di un sistema bilanciato di incentivi e disincentivi fiscali (...)”. 
Mi è altresì noto il disegno di legge presentato dal Governo nella scorsa legislatura volto alla tutela e alla valorizzazione delle aree agricole. Quell’esperienza dovrebbe essere utilmente ripresa e approfondita, mediante l’elaborazione di un nuovo atto di iniziativa legislativa, con l’obiettivo di affinare gli strumenti giuridici allora ipotizzati, per pervenire all’obiettivo della riduzione del consumo del suolo, mettendo, in primo piano, accanto alla salvaguardia degli usi agricoli del suolo, la finalità di tutela e valorizzazione del paesaggio agrario, quale elemento qualificante e identitario della forma del territorio italiano. 

13. Colosseo, Domus Aurea, Appia antica: un rinnovato impegno in favore della tutela e della valorizzazione del patrimonio archeologico. 

Il patrimonio archeologico rappresenta uno dei più importanti fattori di unicità del nostro territorio, della nostra cultura e della nostra identità. La conservazione di questa inestimabile ricchezza, soprattutto al fine di tramandarla alle future generazioni, richiede un impegno assiduo e costante, che non può soffrire di interruzioni a causa di questioni burocratiche o di carenza di fondi, pena il rischio di perdite non più rimediabili. 
Sono, quindi, fondamentali un rinnovato impulso e una celere conclusione delle iniziative già in corso, come quella concernente il restauro del Colosseo, nonché il potenziamento delle attività di tutela e di valorizzazione di altri importantissimi beni archeologici, quali la Domus Aurea e la via Appia antica; e ciò anche ricorrendo all’apporto finanziario di soggetti privati. 
Al riguardo, il Ministero ha recentemente varato le Norme tecniche e le Linee guida per le sponsorizzazioni di beni culturali, con le quali è stato dettato un quadro chiaro delle regole applicabili. Si tratta, adesso, di valersi opportunamente di questo strumento, ed eventualmente anche di migliorarlo, sulla base dell’esperienza applicativa, in modo da avviare in tempi brevi nuove iniziative di collaborazione tra soggetti pubblici e privati in favore della piena tutela e valorizzazione del patrimonio archeologico. 

14. L’archeologia. L’attuazione della Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico. 

Sempre con riguardo all’archeologia, va rapidamente proposto il disegno di legge per l’autorizzazione alla ratifica e per l’esecuzione della Convenzione 16 gennaio 1992. E’ noto a tutti gli operatori del settore il colpevole ritardo dell’Italia che, pur caratterizzata da un patrimonio archeologico unico al mondo, e pur essendo tra gli Stati primi firmatari della Convenzione, non ha poi, per oltre vent’anni, provveduto alla ratifica del Trattato, collocandosi, oggi, tra i pochi rimanenti Paesi che non hanno ancora reso operativo l’Accordo sul proprio territorio. Pertanto, è assolutamente prioritario colmare questa grave lacuna del nostro ordinamento. 

15. La tutela rafforzata dei beni culturali. Il controllo della circolazione di beni archeologici. La riforma dei reati contro il patrimonio culturale. 

Un settore che richiede una particolare attenzione è quello dell’attività di controllo della circolazione di beni archeologici a livello internazionale. Il traffico illegale di opere d’arte rappresenta un business significativo da parte della criminalità organizzata e colpisce l’Italia ad altri Paesi del Mediterraneo particolarmente ricchi di opere apprezzate dal mercato antiquario; in particolare, il patrimonio archeologico è il settore maggiormente a rischio di distruzione e dispersione a causa del fenomeno degli scavi clandestini. Negli ultimi anni, è stata potenziata dal MiBAC una forte sinergia tra le Istituzioni preposte a vario titolo alle attività di prevenzione e di contrasto del traffico illegale di beni culturali. Intendo dunque favorire la presenza di rappresentanti dell’Italia nei tavoli internazionali che trattano tematiche connesse alla tutela e al controllo della circolazione di beni culturali (UNESCO, UE, UNODC, UNIDROIT). 
In questo contesto, la Direzione Generale delle Antichità, in stretta collaborazione con le Soprintendenze periferiche e con il Comando CC TPC, è impegnata in una costante opera di verifica su materiale archeologico segnalato in case d’asta o alle frontiere, anche quando non sia di provenienza italiana. In quest’ottica, va promossa un’iniziativa legislativa finalizzata al 
conferimento di una delega al Governo per la riforma della disciplina dei reati contro il patrimonio culturale. L’inasprimento del trattamento sanzionatorio di queste fattispecie penali risponde invero all’esigenza di valorizzare la particolare oggettività giuridica dei fatti di reato che, oltre a ledere la proprietà pubblica o individuale dei beni, offendono altresì il patrimonio culturale e, quindi, l’interesse primario ad esso inerente, consegnatoci dall’articolo 9 della nostra lungimirante Costituzione. 
D’altra parte, l’inasprimento delle pene è anche funzionale alla necessità – sempre più drammaticamente segnalata dal Comando dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio culturale – di disporre di strumenti processuali e investigativi più incisivi rispetto a quelli attualmente utilizzabili dalla magistratura e dalle forze dell’ordine. Un intervento legislativo di questo segno risponderebbe a un’esigenza largamente condivisa, che ha dato vita, nella scorsa legislatura, alla promozione di un disegno di legge di delega di iniziativa governativa. Quel testo, poi rielaborato e migliorato dalla Commissione giustizia, costituisce un buon punto di partenza per riprendere e condurre celermente a termine l’iniziativa legislativa. Al riguardo, 
emerge una significativa condivisione su tale priorità anche da parte di un cospicuo numero di Senatori della presente Legislatura, poiché un disegno di legge sul medesimo argomento è stato recentemente presentato dal Senatore Giro e vede tra i propri firmatari numerosi Senatori della 7^ Commissione del Senato. 

16. La valorizzazione del patrimonio culturale. Una migliore fruizione dei luoghi della cultura. Una gestione efficace dei servizi accessori. 

In tema di valorizzazione gli obiettivi che richiedono di essere perseguiti sono il miglioramento dell’accessibilità ai musei, non sempre assicurata a tutte le fasce di utenti e con orari di apertura spesso penalizzanti, una qualità dei servizi nei Musei che sia adeguata agli standard internazionali, il rinnovo delle concessioni dei servizi al pubblico nei Musei, ampiamente scadute e che, a causa di contenziosi insorti rispetto alle procedure di gara avviate nel 2010, non è stato possibile rinnovare. 
Occorrerà poi incrementare e migliorare il materiale informativo e gli apparati illustrativi nei Musei, spesso realizzati solo in italiano; è inoltre necessario favorire una maggiore integrazione tra i luoghi della cultura statali e non statali, presenti nelle stesse città, anche mediante la promozione degli itinerari culturali non inseriti nei principali circuiti turistici. Infine, è necessario stimolare e favorire una maggiore attenzione delle giovani generazioni per il patrimonio culturale. Per queste finalità, sarà presto costituito un gruppo di studio, cui sarà demandato il compito di approfondire le forme e le modalità più efficaci per l’esplicarsi del rapporto tra soggetti pubblici e privati nella gestione delle attività di valorizzazione, in modo da individuare soluzioni che consentano di coniugare le esigenze della migliore fruizione pubblica degli istituti e dei luoghi della cultura con la sostenibilità economica delle gestioni e la valorizzazione della progettualità degli operatori economici. Sul piano normativo, è necessario impegnarsi per il miglioramento della pubblica fruizione dei siti culturali attualmente non aperti al pubblico o non adeguatamente valorizzati. I dati in possesso del Ministero dicono che numerosi siti culturali statali sono attualmente non visitabili o sono aperti solo in determinati giorni e orari. In questi luoghi della cultura – è quasi inutile aggiungerlo – sono del tutto carenti i servizi in favore del pubblico: dalle audioguide, alle librerie, ai servizi di ristorazione. Si tratta di un fenomeno molto grave, perché la mancata fruizione dei beni rappresenta un impoverimento per la collettività. Un impoverimento anzitutto culturale, ma anche economico, se si considerano le opportunità di lavoro che potrebbero derivare dall’apertura di quei siti e l’indotto che potrebbe essere generato. Peraltro, l’attuale situazione dei conti pubblici non consente di ipotizzare l’effettuazione di assunzioni del grande numero di unità di personale, soprattutto di custodia, che sarebbe necessario a tal fine. 
La via percorribile potrebbe, pertanto, essere quella di consentire la concessione dei siti, sulla base di un progetto di restauro e di valorizzazione condiviso dall’Amministrazione, a soggetti privati, sulla base di procedure selettive di evidenza pubblica e per un periodo di tempo determinato. Ove, poi, la gestione imprenditoriale dei luoghi della cultura interessati dovesse risultare non profittevole, potrebbe ipotizzarsi la concessione a soggetti non lucrativi, che sarebbero in grado di assicurare almeno l’apertura al pubblico. 
Le moderne tecnologie, internet, i social networks, la tendenza a una circolazione sempre più veloce delle informazioni e dei contenuti, prodotti oggi in modo diffuso, da soggetti non professionali, costituiscono fattori di crescita culturale, sociale ed economica e, soprattutto, di democrazia, e non possono non spingere verso l’aggiornamento anche dell’attuale disciplina in materia di riproduzione dei beni culturali. La normativa vigente, infatti, prevede che per riprodurre l’immagine di un bene culturale appartenente allo Stato, a una regione o a un comune sia sempre necessaria un’apposita autorizzazione e che sia inoltre ordinariamente dovuto un canone. La regola vale sia nel caso di riproduzione – per così dire – “dal vivo” del bene, sia ove si tratti di riproduzione di un’immagine già esistente, per esempio nel caso in cui si pubblichi una fotografia già esistente di un’opera d’arte sulla propria pagina di Facebook. Non solo, ma l’autorizzazione è rilasciata a titolo gratuito solo in caso di riproduzione “per uso personale o per motivi di studio”, senza che possa ritenersi del tutto chiaro se tale sia, ad esempio, la pubblicazione della foto su un blogo su un social network. Si tratta, con tutta evidenza, di una normativa che richiede di essere chiarita e messa al passo con i tempi, soprattutto ove si consideri che a un tale astratto rigore nel perseguire la pubblicazione di foto di beni culturali su internet da parte di privati cittadini non si associa, purtroppo, altrettanta capacità di trarre occasioni di introito, in favore dell’erario e, quindi, della collettività, dalle utilizzazioni commerciali dell’immagine dei beni culturali pubblici. Anche su tali aspetti, pertanto, è necessario e urgente un intervento normativo.

17. La tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale attraverso le nuove tecnologie.

Le nuove tecnologie possono e devono fornire un contributo importante per la valorizzazione del patrimonio culturale, favorendone la conoscenza e migliorandone la pubblica fruizione. In questo senso, assume certamente rilievo prioritario la promozione e il costante aggiornamento di applicazioni tecnologiche finalizzate a comunicare e a rendere fruibile il patrimonio culturale. 
Attraverso un sistema mirato di azioni da parte del Ministero, in stretta collaborazione con l’Agenzia per l’Italia digitale, è possibile e necessario individuare e sperimentare soluzioni innovative nel campo della comunicazione digitale, in particolare attraverso i social networks, in modo da mettere a disposizione di un pubblico sempre più vasto e con modalità semplici e accessibili l’enorme quantità di informazioni e di contenuti relativi al patrimonio culturale oggi in possesso del Ministero. 

18. La valorizzazione del patrimonio culturale quale fattore dello sviluppo territoriale.

Va segnalata, tra le azioni di prioritaria importanza che il Ministero è chiamato ad attuare nell’immediato, la realizzazione del Programma Operativo Interregionale “Grandi attrattori naturali, culturali e del turismo”, previsto nell’ambito dell’ASSE I “Valorizzazione e integrazione del patrimonio culturale” nelle regioni dell’obiettivo Convergenza (ossia Campania, Calabria, Puglia e Sicilia). Al riguardo, si rende necessaria la stipulazione degli accordi di programma con le regioni e l’adozione dei bandi di gara per i progetti programmati entro il 2013. 
Per la stessa finalità di valorizzazione del patrimonio culturale quale fattore dello sviluppo territoriale, occorre rafforzare la collaborazione con il Ministro per la coesione territoriale; ciò, in particolare, allo scopo di realizzare quattro/cinque progetti-pilota di sviluppo territoriale imperniati su risorse culturali emergenti e diffuse, attraverso azioni sistemiche volte a sollecitare una domanda qualificata di “territori culturali integrati”. 

19. Gli archivi e la conservazione delle memorie digitali. 

Gli archivi di Stato, spesso percepiti come strutture antiquate e che operano in favore di una ristretta cerchia di studiosi, sono, oggi, candidati a costituire strutture di eccellenza e all’avanguardia, in considerazione del ruolo fondamentale che essi sono chiamati ad assumere rispetto alla conservazione delle memorie digitali. Occorre ricordare che lo sforzo sempre maggiore della pubblica amministrazione nei confronti della dematerializzazione dei documenti e della digitalizzazione del patrimonio documentario già esistente pone oggi nuove sfide, poiché si rende necessario studiare e applicare strumenti, regole e prassi completamente nuovi, in grado di assicurare il perdurare nel tempo e la fruibilità a lungo termine dei documenti digitali, nonostante l’inevitabile obsolescenza delle tecnologie impiegate per produrli, riprodurli e conservarli. 
Assume quindi importanza strategica per il Ministero, nell’ambito del quale già oggi operano esperti di indiscussa professionalità nel settore dell’archivistica digitale, partecipare all’elaborazione e adozione di regole per la conservazione a lungo termine dei documenti digitali e dei relativi archivi, contribuendo all’iniziativa già avviata da parte dell’Agenzia per l’Italia digitale. In questa prospettiva, è necessario anche operare in raccordo con il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri al fine di attuare iniziative volte a rafforzare il ruolo degli Istituti archivistici nei confronti degli archivi correnti delle Pubbliche Amministrazioni nonché di quelli nativi digitali, secondo quanto previsto dal Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD). 
Sul piano normativo, va invece evidenziata l’opportunità, allo scopo di favorire la pubblica fruizione del patrimonio archivistico, di abrogare la norma che oggi esclude dalla consultazione tutti i documenti (anche non riservati) che siano stati versati agli archivi di Stato anticipatamente   rispetto al termine ordinario dei 40 anni dalla conclusione delle pratiche. 

20. Le Biblioteche, gli istituti culturali e il diritto d’autore. 

Va avviata la riforma dei principi e dei criteri che regolano il finanziamento delle istituzioni culturali, sulla base di una riflessione congiunta con i rappresentanti delle istituzioni stesse, al fine di abbandonare la logica assistenziale e dei finanziamenti a pioggia. Occorre favorire, invece, un sistema inclusivo che sostenga la capacità delle istituzioni di fare rete e che valorizzi in particolare quegli enti che siano in grado di dimostrare l’utilizzazione intensiva delle nuove tecnologie e l’erogazione di servizi avanzati, con particolare riferimento al prestito di documenti in digitale, al collegamento a banche dati, alla presenza su web con siti leggibili e 
regolarmente aggiornati. Appare, inoltre, necessario avviare una riflessione sull’opportunità 
dell’allineamento del valore dell’IVA per l’e-book e per le pubblicazioni in formato elettronico (attualmente al 21%) a quello previsto per le pubblicazioni in formato cartaceo (4%). Inoltre, in materia di diritto d’autore, è occorre prendere in considerazione la necessità di un intervento di normazione primaria per la tutela del format, non espressamente menzionato dalla legge sul diritto d’autore e la cui protezione è oggetto di decisioni giurisprudenziali non univoche. 

21. La cultura e lo spettacolo dal vivo. 

Per quanto attiene al settore dello spettacolo dal vivo, è noto che l’intervento statale – attuato attraverso il Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS) – vive un momento critico, in relazione alla più generale condizione di difficoltà di bilancio dello Stato. Il Fondo Unico per lo Spettacolo ha visto costantemente diminuire il proprio valore in termini reali. Dal 2001, anno in cui si attestava intorno ai 530 milioni di euro, si è ridotto costantemente fino ad arrivare quest’anno a meno di 390 milioni di euro (passando dallo 0,083 del PIL del 1985 allo 0,029 del 2011). 
Tra gli obiettivi prioritari non può, dunque, non annoverarsi quello del reperimento di risorse aggiuntive pubbliche, anche eventualmente a mezzo di incentivi fiscali. Questa richiesta non può andare disgiunta da una forte proposta di riforma finalizzata a dare maggiore efficacia ed efficienza al sistema. 

22. Il completamento della riforma delle fondazioni lirico-sinfoniche. 

Le 14 fondazioni lirico-sinfoniche sono state interessate dall'avvio della riforma del settore iniziata con il decreto-legge n. 64 del 2010. Il quadro normativo vigente applicabile alle fondazioni lirico-sinfoniche è infatti assai articolato componendosi di un insieme frastagliato di norme che, già di per sé, rende difficile l’operatività degli enti. E’ a tal proposito in corso di esame – nella fase di richiesta di parere del Consiglio di Stato – uno schema di regolamento di riforma approvato in primo esame dal precedente Governo nello scorso mese di dicembre. Questa proposta tende a rendere più efficiente l’organizzazione delle fondazioni lirico-sinfoniche e a definire la loro nuova struttura ordinamentale. Prevede in particolare l’ampliamento dell’autonomia statutaria delle al fine di consentire alle Fondazioni di dotarsi di una struttura organizzativa più rispondente ai propri bisogni. Gli obiettivi prioritari perseguiti da questo schema di riforma sono la razionalizzazione dei costi di gestione, anche attraverso l’introduzione di un unico livello di contrattazione aziendale, l’elaborazione di nuovi criteri e percentuali di ripartizione del contributo a favore delle Fondazioni lirico-sinfoniche al fine di incentivare un aumento dell'offerta al pubblico di spettacoli con contenimento dei costi di gestione, l’introduzione di adeguate semplificazioni normative. 

23. L’assegnazione dei contributi per lo spettacolo. Verso la definizione di nuove procedure semplici e trasparenti. 

Un altro settore di intervento riguarda la ridefinizione dei decreti ministeriali che dettano i criteri di assegnazione dei contributi alle attività musicali, teatrali, di danza, circensi e dello spettacolo viaggiante. Si tratta di atti risalenti al 2007 che richiedono un opportuno aggiornamento. La Direzione generale per lo spettacolo dal vivo ha già avviato un proficuo colloquio con le categorie interessate nell’intento di raccogliere le esigenze operative e di semplificare le modalità di assegnazione dei contributi. Il fine perseguito da questa riforma è quello del rilancio della centralità dello spettacolo dal vivo per l'innovazione della cultura italiana, anche mediante il reperimento di fondi pubblici e privati, l’ottimizzazione delle risorse e l’individuazione di criteri per l'assegnazione nel rispetto del principio della trasparenza; l’introduzione di idonee semplificazioni normative, la chiarificazione sull'adeguamento al settore dello spettacolo dal vivo tutto degli adempimenti in tema di trasparenza e di monitoraggio dei conti pubblici. Un altro tema importante, sul quale sarebbe utile un approfondimento in questa sede parlamentare, riguarda l’assoggettamento degli enti lirici e teatrali alle norme sulla spending review, ciò che spesso è avvenuto in base a un’acritica e discutibile collocazione di tali enti all’interno dell’elenco ISTAT, con effetti inconciliabili con 
l'ambito produttivo di riferimento. Tale scelta dell’amministrazione finanziaria ha generato diffuso contenzioso e ha obbligato molti enti a riversare all'Erario parte delle risorse già assegnate. Inoltre, con riferimento al settore dello spettacolo dal vivo, è necessario dare spazio e riconoscimento adeguato anche alle forme espressive e musicali diverse 
rispetto alla musica lirica e sinfonica.

24. La “Biennale della Cultura popolare”. Un impegno in favore del patrimonio culturale immateriale. 

E’ noto che le espressioni di identità culturale collettiva sono oggetto di due Convenzioni UNESCO, recepite dall’Italia: quella del 3 novembre 2003 per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e quella del 20 ottobre 2005 per la protezione e la promozione delle diversità culturali. Tuttavia, fino ad oggi, il nostro Paese non ha dedicato una particolare attenzione ai beni culturali immateriali, limitandosi a proteggere – attraverso la disciplina di tutela del Codice dei beni culturali e del paesaggio – le testimonianze materiali legate alle espressioni di identità culturale collettiva, ossia gli oggetti che costituiscono lo strumento o l’oggetto del manifestarsi di quelle espressioni. E’ quindi evidente la necessità di un maggiore impegno in questo ambito, anzitutto dando spazio e visibilità alle espressioni di identità culturale in quanto tali, e non soltanto in relazione alle cose con cui e su cui si esplicano. In questo senso, un’iniziativa certamente da varare è l’inaugurazione di una “Biennale della cultura popolare”, che rappresenti un’occasione di rappresentazione, sperimentazione, studio 
e divulgazione della cultura immateriale, quale fondamentale fattore identitario e, al contempo, di crescita culturale della collettività. 

25. Il cinema. La necessità di nuovi interventi ordinamentali. 

L’attuale situazione del cinema italiano, con riferimento a tutte le componenti artistiche, tecniche e imprenditoriali, richiede – sotto l’aspetto del rapporto con lo Stato, ed in particolare del MiBAC – una serie di interventi immediati, di tipo “ordinamentale” e di tipo economico-finanziario. Al riguardo, è necessario promuovere il coinvolgimento, accanto alla Direzione 
generale per il cinema del Ministero, anche di esperti e operatori del settore, attraverso l’indizione degli “stati generali del cinema”, in modo da favorire il contributo di idee e di soluzioni che possano effettivamente rilanciare sia l’industria cinematografica che la fruizione pubblica delle opere cinematografiche. Vi sono, peraltro, una serie di iniziative la cui necessità e urgenza sono, già oggi, evidenti e universalmente condivise. Si rende necessario, anzitutto, il rinnovo del tax credit per il triennio 2014-2016. Attualmente, il beneficio fiscale ha una scadenza prevista al 31 dicembre 2013. 
Si rende, quindi, necessaria e urgente una disposizione di proroga. L’urgenza è legata al fatto che quella cinematografica, soprattutto con riferimento alle produzioni internazionali interessate a girare in Italia, è un’attività con cicli di programmazione lunghi che, pertanto, necessita di avere con sufficiente anticipo un quadro certo delle risorse e opportunità a disposizione per operare sul mercato. E’, inoltre, indispensabile un intervento straordinario per favorire la digitalizzazione degli schermi delle piccole e piccolissime sale cinematografiche, 
urgentissimo in quanto, a partire dal 1° gennaio 2014, la diffusione delle copie di film 
in sala diverrà (a causa della fine della produzione di pellicola su scala mondiale) solo digitale, e ciò significa che circa 1000 sale (il 25-30% del “parco” italiano), che non hanno le risorse finanziarie sufficienti per gli interventi tecnici, potrebbero venire tagliate fuori dal mercato, con grave danno per la diffusione del cinema, in particolare d’autore, soprattutto nei piccoli centri del Paese. E’, parimenti, necessario e urgente che il Ministero per i beni e le attività culturali promuova, in accordo con il Ministero degli affari esteri, azioni in ambito europeo al fine di escludere il settore audiovisivo dal “Transatlantic trade and investment partnership agreement” tra Unione europea e Stati Uniti, in modo, così, da evitare che l’industria culturale cinematografica e l’intero settore audiovisivo europeo possano essere progressivamente marginalizzati dalle grandi compagnie statunitensi. Tra gli interventi di medio periodo, si rendono, inoltre necessari: l’allargamento del campo d’azione del Ministero dal mero settore cinematografico a tutto il settore delle produzioni audiovisive, come ad esempio i film e le serie per le tv e per il web; il riordino del comparto audiovisivo, mediante un intervento normativo che chiarisca gli ambiti di competenza dello Stato rispetto a quelli delle Regioni e 
degli altri enti territoriali; il potenziamento della lotta alla pirateria, in particolare quella digitale; l’approfondimento del tema dei rapporti tra cinema e televisione, anche al fine di valutare la necessità di un intervento normativo finalizzato a favorire la nascita di produttori indipendenti; l’elaborazione di una nuova disciplina della revisione cinematografica, incardinata sulla tutela dei minori; la razionalizzazione del sistema normativo e amministrativo concernente l’autorizzazione per l’apertura di nuove sale cinematografiche; il miglioramento dell’utilizzo delle risorse comunitarie in favore del settore cinematografico; l’introduzione di un nuovo meccanismo di finanziamento degli strumenti di intervento nel settore cinematografico ed audiovisivo, in particolare valutando la possibilità di introdurre un sistema di prelievo sulla filiera che alimenti fondi destinati a sostenere la produzione di cinematografica ed audiovisiva e che includa, tra i soggetti da considerare, oltre alla sala e alle televisioni, anche le Telecom e gli aggregatori di contenuti in internet; la messa a punto di una strategia per incentivare ed esaltare le sinergie fra cinema/audiovisivo e turismo, nell’ottica della promozione dell’immagine dell’Italia attraverso il cinema italiano e, soprattutto, attraverso il cinema internazionale girato in Italia. 

26. L’organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali. Il recupero di efficienza delle strutture e dei processi.

26.1 Ripristino degli organismi collegiali soppressi a seguito della spending review.

Tra le priorità vi è poi il ripristino della piena funzionalità degli organismi collegiali di altissimo profilo scientifico del Ministero. Alcuni di essi, come i Comitati tecnico scientifici, sono infatti già cessati a seguito dell’entrata in vigore della spending review, mentre il prestigioso e autorevolissimo Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici si trova oggi ad operare i n una composizione incompleta, in quanto i Presidenti dei soppressi Comitati dovrebbero farne parte quali membri di diritto. Inoltre – e soprattutto – il regime introdotto dal decreto legge n. 95 del 2012, prevede che, in ogni caso, gli organismi collegiali o peranti presso le Pubbliche Amministrazioni siano tutti, indistintamente, soppressi alla prossima  scadenza, con assegnazione delle relative competenze agli uffici delle amministrazioni presso cui operano. Si tratta di un regime troppo rigido e cieco, perché l’operatività di questi Organi è indispensabile, considerato che essi sono chiamati per legge a esprimere pareri obbligatori. In assenza del ripristino degli organismi cessati l’Amministrazione si vedrebbe verosimilmente costretta a ricorrere a consulenti esterni, con aggravio dei costi per la collettività e garanzie di professionalità e indipendenza certamente non maggiori. 
Questo tema riveste, peraltro, un’importanza particolare per il settore dello spettacolo dal vivo. Infatti, ove gli organismi operanti in questo ambito dovessero cessare definitivamente alla scadenza, la Direzione generale del Ministero si troverebbe a dover esercitare tutte le relative competenze. Ciò comporterebbe in alcuni casi la devoluzione all’Amministrazione di attività caratterizzate da notevole discrezionalità tecnica, che uffici di per sé amministrativi non hanno finora mai svolto, con notevole rischio, tra l’altro, di un aumento del contenzioso in materia di assegnazione dei contributi a decorrere dal 2014, e anche a discapito dei principi di trasparenza e terzietà che hanno ispirato le ultime riforme in materia di Pubblica Amministrazione. Anche con riferimento alla Commissione per la revisione cinematografica (c.d. “Commissione censura”) non è seriamente ipotizzabile la devoluzione delle competenze alla Direzione generale per il cinema, a meno di non dotare quest’ultima delle risorse necessarie per valersi di specialisti ed esperti in grado di valutare tecnicamente l’idoneità delle opere cinematografiche alla visione da parte dei minori. 

26.2 Riorganizzazione del Ministero a seguito della riduzione delle dotazioni organiche. 

L’attuazione delle disposizioni della spending review ha determinato, anche per il Ministero per i beni e le attività culturali, la riduzione della dotazione organica, passata da 21.232 a 19.132 unità. Nell’ambito di tale complessiva riduzione, si segnala, inoltre, che i posti di funzione dirigenziale generale sono passati da 29 a 23 e i posti di funzione dirigenziale non generale da 194 a 162. Si rende, a questo punto, necessaria una accurata ridefinizione dell’assetto organizzativo del Ministero, in funzione dei tagli già apportati alla dotazione organica. 
In questa prospettiva, un apposto gruppo di lavoro procederà a indicare le proposte per un più efficace assetto strutturale degli Uffici, anche mediante la modernizzazione dei procedimenti e dei flussi informativi e amministrativi. È indispensabile, infatti che l’elevata professionalità dellerisorse umane del Ministero possa esplicarsi con piena funzionalità, secondo moduli operativi agili e veloci.

Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

Fonte dell'immagine: The Federalist Negli Stati Uniti, presso l’Art Institute of Chicago (AIC) si è aperto un caso che potrebbe essere d...