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Quando i musei funzionano: una mente aperta e buoni amministratori possono fare miracoli!

Il caso del Museo Civico di Castelbuono

Laura Barreca

Spesso ci si chiede perché i musei non funzionano, perché sono vuoti, perché non riescono a suscitare interesse nonostante le opere d’arte o le collezioni di grande interesse che contengono. Talvolta il motivo è l’assenza di motivazioni in coloro che li dirigono. Quando, invece, oltre alle competenze ci sono passione, entusiasmo e voglia di sperimentare, i risultati non tardano ad arrivare. Lo dimostra il caso del Museo Civico di Castelbuono, nel Palermitano, guidato ora da una mente aperta e che, grazie anche alla sensibilità e alla collaborazione del Comune, è riuscita a far decollare questo museo in modo impressionante. I giornalisti lo definiscono “il piccolo miracolo”. Lei è la curatrice e critica palermitana Laura Barreca, rientrata in Sicilia dopo vent'anni di prestigiosi incarichi di ricerca e lavoro all'estero. 

In un articolo su Meridione News, ha dichiarato: «Abbiamo una struttura che ci permette di funzionare a pieno ritmo e di accogliere in ogni stagione i turisti provenienti dall'America come dal nord Europa. La comunità di Castelbuono recepisce positivamente il progetto che stiamo portando avanti in quanto è abituata a maneggiare la cultura nelle sue diverse forme. Attraverso un management culturale, cerchiamo anche di intrecciare legami con il territorio, lavoriamo con le professionalità locali e raccontiamo il territorio attraverso progetti comuni agli altri attori del sistema culturale locale, come i ragazzi di Ypsigrock». 

Grazie alla Barreca oggi il museo ha 40mila visitatori l'anno. Eppure anche lei ha avuto le sue esperienze negative: «Non c'è traccia di redenzione per questa terra» - afferma duramente - «Ho avuto a che fare con funzionari e amministratori trogloditi. Il gap generazionale è inaccettabile. I giovani hanno le capacità, una velocità e un'abilità che la generazione precedente non possiede». Trovare spazio in ambito culturale e mettere a frutto le proprie competenze è un sogno irraggiungibile per tanti giovani e spesso l'unica soluzione è trasferirsi all'estero.

Nel caso della città siciliana c’è anche un progetto preciso portato avanti dal sindaco Antonio Tumminello che ha voluto svincolare il museo dalla politica, scegliendo di affidarne la gestione a chi ha veramente le competenze per farlo e la voglia di far crescere il museo. «Finché i musei saranno avamposti di politicanti senza competenza si va verso una morte. Inoltre è sotto gli occhi di tutti l'inaccettabile gap generazionale. I giovani hanno le capacità, una velocità e un'abilità che la generazione precedente non possiede e non può inventarsi, rimanendo incastrata in logiche anacronistiche e di spreco. Finché la Sicilia non decide di intraprendere un percorso di rilancio sarà sempre peggio» - ha dichiarato la Barreca. 


Mi piace soprattutto l’impostazione in chiave sociale che la nuova direttrice ha voluto dare al museo, evidentemente forte delle esperienze di cui si è arricchita all’estero:  «Il museo deve avere una funzione sociale.» - ha affermato - «Nel corso dei laboratori didattici i bambini hanno ad esempio utilizzato materiali di riciclo per creare dei manufatti oggi esposti al Museo dei piccoli. Abbiamo pensato inoltre ad una pubblicità ecologica e facciamo la comunicazione con gli asinelli che a Castelbuono vengono utilizzati per la raccolta differenziata». Si è parlato anche di immigrazione. La giornalista Imma Vitelli è stata nostra ospite al liceo di Castelbuono insieme ad alcuni sopravvissuti agli sbarchi per raccontare ai ragazzi la drammatica esperienza dei migranti del Mediterraneo. Una conferenza che ha permesso ai ragazzi di ascoltare una storia vera e contemporanea che appartiene alla nostra identità. Bisogna avere consapevolezza delle richieste del territorio, essere glocal è determinante per programmare attività».

Community engagement: un'analisi recente

Riporto qui un brano dell'articolo "COMMUNITY ENGAGEMENT NEI MUSEI PUBBLICI LOCALI" di Francesco Giaccari, Francesca Imperiale e Valentina Terlizzi, pubblicato in MANAGEMENT ARTI E CULTURE Resoconto del primo anno del GSA Accademia Italiana Economia Aziendale, a cura di Luigi Maria Sicca e Luca Zan, Editoriale Scientifica, Napoli, 2014. Gli autori analizzano la situazione italiana in riferimento all'effettiva attuazione di pratiche di coinvolgimento della comunità nella gestione del museo.
In base alle informazioni raccolte attraverso la consultazione dei siti web di 262 musei pubblici locali è possibile affermare come nella maggior parte dei casi l’apertura ai temi del community engagement abbia interessato solo le modalità di comunicazione esterna, specificamente la predisposizione di un’immagine più viva e aperta e l’adozione di strumenti online di interazione con gli utenti (email, social network, newsletter, etc.). Inoltre, nel 19% dei casi esaminati sono state riscontrate dichiarazioni di mission attente ai temi dell’inclusione del pubblico, alle quali tuttavia non sembrano corrispondere, in base alle informazioni pubblicate, pratiche concrete di coinvolgimento di cittadini e/o loro gruppi. Diversa è la situazione emergente dai sei casi di studio approfonditi mediante somministrazione ai direttori dei musei coinvolti di apposito questionario. In tutti e sei i casi esaminati, si tratta di musei che perseguono e programmano annualmente (5/6) chiari obiettivi di inclusione del pubblico, per esigenze legate a:
1.      condivisione di conoscenze e contenuti culturali (6/6);
2.      ampliamento del numero dei visitatori (5/6);
3.      promozione della diversità culturale (5/6);
4.      promozione della cittadinanza attiva e della coesione sociale (6/6);
5.      «miglioramento della qualità del programma di attività includendo le competenze e le energie del pubblico» (intervista C. Collu, Direttore MART).
Ognuno di questi musei include nelle proposte culturali i cittadini residenti nel proprio territorio oltre a rivolgersi, a seconda delle attività, a target specifici di utenza come gli studiosi, i turisti, le scuole, i disabili. Il museo di Rovereto ha dichiarato di programmare, ultimamente, attività finalizzate all’inclusione di minoranze etniche, il museo di Saluzzo di coinvolgere maggiormente le famiglie, quello di La Spezia di lavorare anche con le comunità religiose, e infine il museo del Finale di rivolgere parte della sua programmazione a disabili psichici. Interessante è però evidenziare anche “come” questi musei si attivano per includere il pubblico nelle proposte culturali: ben quattro musei su sei si limitano a fornire informazioni adeguate. Soltanto i musei di Rovereto e del Finale consultano il pubblico per ottenere dei feedback per la formazione delle proposte culturali, lo coinvolgono nel processo di formulazione al fine di conoscere e considerare le esigenze e le aspettative del pubblico. Il museo di Rovereto ha aggiunto inoltre di «modificare le proprie policy in risposta ad esigenze del pubblico» (intervista C. Collu, Direttore MART). I musei che attivano una relazione solo in termini di trasferimento di informazioni adeguate (4/6): • sono soliti raccogliere anche le opinioni del pubblico tramite la somministrazione di questionari e l’analisi dei commenti pubblicati dagli utenti sui social media attivati dal museo; • non consentono al pubblico di partecipare alle decisioni del museo, sebbene talvolta le stesse sono influenzate dalle preferenze ed opinioni espresse; • instaurano un rapporto di tipo collaborativo con alcuni target della comunità di riferimento, affinché si sentano partecipi fruendo di specifiche proposte culturali pianificate dal museo; • dichiarano, sulla base di una specifica attività di monitoraggio, che le attività di coinvolgimento del pubblico poste in essere hanno determinato un incremento dei visitatori, specificamente di target specifici e, a livello territoriale, un considerevole aumento della partecipazione ad attività culturali da parte di categorie sociali emarginate. In tali casi, non essendo ravvisabile alcun trasferimento di potere decisionale, si può dire che i musei hanno posto in essere un’attività di comunicazione con cittadini e gruppi sociali specifici, raggiungendo migliori performance in termini di incremento del numero dei visitatori ed aumento dell’inclusione sociale a livello territoriale. Diversa è la situazione per il MART di Rovereto e il Museo del Finale, per i quali si configurano rapporti rispettivamente di tipo diverso. Il Museo del Finale pone in essere un’attività di co-creazione con cittadini e target specifici (scuole e disabili psichici), di tipo informativo e consultivo sul piano dei processi decisionali, ma maggiormente coinvolgente sul piano dell’attuazione delle proposte pianificate, giacché il museo fa sì che il suo pubblico partecipi attivamente alla realizzazione delle proposte e si senta a proprio agio nel perseguire i propri interessi ed obiettivi utilizzando il museo. Si tratta tuttavia di un’apertura in senso ospitale e di mutuo scambio di risorse nel rispetto delle regole del museo, e non in senso deliberativo, poiché non influente sulla politica culturale e sulle relative attività attuative, che rimangono in capo al museo. In termini di risultati e impatti raggiunti, si aggiungono, rispetto alle situazioni precedenti, un aumento della soddisfazione del pubblico e la sostenibilità delle proposte attivate dopo sei mesi dalla loro conclusione.
In tale situazione, il museo ha attuato di fatto un trasferimento di potere operativo. Il MART di Rovereto aggiunge un ulteriore tassello alla discussione del tema oggetto di indagine, poiché instaura un rapporto con le comunità di riferimento più pregnante sul piano dei processi decisionali di governo. Nello specifico l’attività di coinvolgimento di cittadini e gruppi sociali specifici può dirsi di tipo deliberativo poiché: • consulta il pubblico utilizzando apposite tecniche di facilitazione (workshop deliberativi) e modifica le proprie policy in risposta ad esigenze del pubblico; • il pubblico partecipa alle decisioni del museo attraverso un rappresentante con diritto di voto negli organi decisionali del museo; • il museo elabora e diffonde al pubblico un report annuale sulle attività svolte. È interessante osservare come le attività di coinvolgimento del pubblico poste in essere dal MART abbiano consentito il raggiungimento di ulteriori risultati. Non solo un incremento del numero dei visitatori e della relativa soddisfazione, ma anche l’acquisizione di nuove collezioni e l’incremento delle risorse finanziarie del museo. In termini di impatto territoriale, invece, si rileva in aggiunta un aumento dell’iniziativa culturale dei cittadini, la nascita di nuove reti sociali, lo sviluppo di nuove idee, servizi e modelli per affrontare meglio le questioni sociali. Il MART ha dunque optato per un trasferimento di potere di governo e la condivisione della responsabilità culturale. Infine, ad eccezione di un caso, si può osservare come il principale cambiamento attuato dai musei esaminati rispetto ai propri assetti di management abbia riguardato l’inserimento di figure professionali specializzate in mediazione culturale. Rispetto al dibattito internazionale sul tema, il contesto esaminato consente di giungere a conclusioni già rilevate in altri contesti, ovvero che: il community engagement non possa considerarsi una pratica omogenea; sono identificabili tre possibili archetipi di comportamento strategico, in relazione al ruolo di cliente, fornitore o imprenditore riconosciuto dall’istituto museale al suo interlocutore, in termini di tipologia di potere decisionale posto in relazione; le pratiche poste in essere producono benefici anche per chi le attua. In relazione a tale ultimo aspetto, il contesto esaminato consente di osservare in aggiunta una certa relazione di tipo incrementale tra risultati e intensità della relazione. Rispetto al dibattito nazionale sui temi del management dei beni culturali pubblici, i risultati dello studio aprono nuove prospettive in tema di assetti di governance partecipata dei musei locali, allargando il novero dei soggetti da coinvolgere nella gestione a coloro che idealmente sono proprietari e fruitori dei beni culturali musealizzati, ciò in coerenza con la genesi della loro istituzione a livello locale e tenuto conto dei potenziali effetti in termini di risultati aziendali.

Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

Fonte dell'immagine: The Federalist Negli Stati Uniti, presso l’Art Institute of Chicago (AIC) si è aperto un caso che potrebbe essere d...