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Il mondo visto attraverso i giocattoli: incontro con Franco Palmieri*


Pubblico qui un articolo molto interessante del museologo Riccardo Rosati, dedicato al museo storico-didattico di Roma, "La memoria giocosa". Si tratta di un museo privato dalla storia affascinante e che merita veramente di essere maggiormente conosciuto.
 

Un sabato, andando oltre la ormai improponibile via del Pigneto, siamo tornati in un luogo poco conosciuto di Roma: Il Museo – La Memoria Giocosa. Ricordevoli della interessante conversazione col suo Direttore, Franco Palmieri, abbiamo deciso di intervistarlo.

Un personaggio abbastanza atipico è Palmieri, apparentemente un anarchico, e come tutti quelli veri, con alcune simpatie a Destra. Egli ci ha proposto una lettura del mondo attraverso i giocattoli; un qualcosa che non avevamo mai sentito prima. Dopo uno smarrimento iniziale, siamo entrati nella dimensione dei balocchi, accompagnati dalla interpretazione di una persona che si è anche rivelata preparata ben oltre l'argomento “giocattoli”. Palmieri è, infatti, pure un fine americanista, con alle spalle due borse di studio alla Columbia University, una delle università facenti parte della “Ivy League”: gli unici atenei che contino davvero in America.

La sua personale teoria museologica è totalmente strutturata. Non c'è da stupirsi di ciò. In due ore, il termine “studiare” è ricorso spesso. Prima di  porgli qualche domanda, raccontiamo sinteticamente di questo prezioso, benché piccolo museo.

La Memoria Giocosa nasce nel 2000, seguendo una indicazione museale didattica che ha la sua origine nel Museum of the City of New York.     Esso ha sede in un loft di circa 300 mq, nell'area dei villini del Pigneto, fiorita nell'epoca futurista e sviluppatasi poi nel Barocchetto Romano ad opera degli architetti del Ventennio. Il museo propone il giocattolo inteso come veicolo di comunicazione culturale e di conoscenza della realtà. È il primo museo in Italia ispirato alla filosofia dell'educatore tedesco Friedrich Fröbel (1782 – 1852), ideatore dei giardini d’infanzia. Lungo un itinerario museale composto di oltre duecento piani espositivi, i giocattoli e i giochi costituiscono una sorta di percorso parallelo alla evoluzione storica e sociale delle epoche che i medesimi riproducono.
 
Caro Palmieri quello da lei diretto è un museo non certo grande, però che ha una sua importanza, è così?

Lo può ben dire! Non tanto per la vastità della collezione, ma per completezza, La Memoria Giocosa racchiude una testimonianza assai rara. L'Italia è piena di importanti collezioni di bambole e di giocattoli, ma solo noi non abbiamo “buchi” storici o tematici in quello che esponiamo. Tanto per intenderci, il famoso Museo del Giocattolo di Zagarolo, ospitato nella bella sede di Palazzo Rospigliosi, l'ho inizialmente allestito io, e il primo nucleo della raccolta nasce con dei pezzi che gli vendetti a suo tempo, poiché quelli erano dei doppioni che avevamo. Comunque, il mio museo possiede dei pezzi unici. È il caso dei pupazzi di latta presi dai protagonisti dei comics americani; oltre che da noi, li si trovano solo nelle collezioni statunitensi.
 
Come è stato pensato il Museo?

Abbiamo voluto raccontare il periodo che va sotto il nome di “modernariato”. Dunque, la raccolta abbraccia un lasso temporale che va dal 1835, periodo di sviluppo del motore a vapore a opera di George Stephenson, fino al 1963, anno in cui il Premio Nobel Giulio Natta sintetizza il Moplen, con l'inizio della diffusione della plastica.
 
E sulla collezione di giocattoli – si dice la più importante al mondo, con 30 mila pezzi – facente parte della raccolta dello svedese P. Pluntky, poi acquistata dal Comune di Roma da Leonardo Servadio? Nel 2005, l'ex-Sindaco Walter Veltroni la volle comprare per farne un museo a Villa Ada. Il prezzo pagato fu esorbitante: cinque milioni e quattrocentomila euro! Il progetto non andò in porto e con l'avvento di Alemanno questi giocattoli sparirono. Si è successivamente scoperto che il Comune sborsa da allora le rate del mutuo per l’acquisto della collezione, nonché le spese mensili per la custodia dei giochi, che dal magazzino del venditore non si sono mai mossi. Uno scandalo tutto italiano?
 
Sembrerebbe. Una delle tante trovate di Veltroni, il quale ha avuto la fortuna di avere al suo fianco un uomo della competenza di Gianni Borgna, che è stato un amico del mio museo. Non posso però dire molto su questo fatto, se non che si tratta sì di una raccolta davvero imponente, con numerosi pezzi antichi; tuttavia, anche questa è incompleta, non coprendo tutte le epoche. È fondamentale chiarire che per garantire la funzione didattica dei musei dei giocattoli avere 1 o 1000 pezzi non fa la differenza: mettere assieme decine di oggetti tutti uguali è una mania. È sufficiente un giocattolo per raccontare quello che è utile spiegare.  
 
Il suo museo è chiaramente visitato dalle scolaresche, che ci può dire in merito?

Io farei una piccola accusa al sistema scolastico italiano, con docenti che vogliono soltanto gli oggetti esposti, privi di un racconto. Se vai ai Vaticani e non hai studiato prima, cosa impari? Tutti parlano di “didattica museale”, ma quasi nessuno ci capisce qualcosa. È fondamentale contestualizzare. Il Museo deve essere una “narrazione universale”, e quello dei giocattoli è il museo didattico per antonomasia, diverso da  quello che io chiamo: “museo espositivo”. Con il primo, apprendi al momento della visita. Nel caso del secondo, se non hai cultura, serve a poco.
 
Come sempre la scuola ha dei problemi?

Mi limito a ciò che mi riguarda, i musei. Ritengo che la scuola abbia “subito” il Museo, non dandogli suggerimenti utili, né lo ha mai motivato. Si portano gli studenti in giro come dei branchi. Non ci si sofferma a guardare, così da capire cosa si stia osservando. Un giocattolo racconta la vita autentica della sua epoca, non la imita, né scimmiotta, sia chiaro. Esso è una testimonianza di mode e culture. Parliamo di un mondo che racconta un mondo. Fondamentale è, inoltre, il discorso sui materiali con cui sono fatti i giocattoli. In sintesi, io questo spiego ai visitatori, grandi e piccoli, che ci vengono a trovare.
 
Il giocattolo è un fatto nostalgico o una realtà educativa?

Ma che nostalgico, è educazione allo stato puro. La nostalgia riguarda i collezionisti – categoria di cui non faccio parte – che sono dei maniaci monotematici. Un museo del giocattolo è una sorta di iperuranio platonico, un mondo delle idee.
 
Allora, non è solo “roba per bambini”?

È per tutti. E non si confonda la produzione dei giocattoli, con ciò che essi testimoniano. Purtroppo, oggi i “modelli” si sono esauriti, tutto è stato rappresentato attraverso i giocattoli. Questa è la ragione per la quale l'esposizione qui si ferma al 1963. Alla plastica è stata destinata la serialità degli oggetti, di cose già fatte con altri materiali in precedenza.
 
Quindi, è stata una scelta “antimoderna” il non continuare a raccogliere pezzi appartenenti a periodi più vicini a noi?

Assolutamente no. Tematica, solo ed esclusivamente tematica. La mia è stata la predilezione per una determinata epoca, il modernariato, e non il rifiuto di un'altra. 
 
Quante cose si scoprono attraverso lo studio dei giocattoli. Qualche altra curiosità?

Ce ne sarebbero di infinite. Per quanto concerne l'Italia, abbiamo grandi collezioni sparse sul nostro territorio, ma non una importante storia “produttiva”. Il giocattolo, quasi nessuno lo sa, nasce in Germania. Successivamente, si è diffuso in Inghilterra, Francia e Stati Uniti. Da noi, l'industria in questo campo è nata durante il fascismo, copiando quello che si faceva proprio in Germania.
 
A proposito di America? Che ci dice di Barbie, alla quale sono state dedicate varie mostre ultimamente? Icona negativa come pensano taluni?

Per nulla. La Barbie rappresenta la donna liberata, ha una sua vita, la macchina, una casa di proprietà, un lavoro. Chi ha un problema con questa bambola ha una visione del mondo femminile problematica.
 
Ci viene da pensare che gli insegnanti e i genitori possano rimanere  sorpresi e, di conseguenza, messi in difficoltà dalla sua lettura dei giocattoli, dove tutta la storia umana moderna è presente.

I docenti che accompagnano i ragazzi al Museo vengono “preparati”. Ovvero, si informano prima sulle mie idee e si comportano in modo collaborativo. In generale, le persone poco capiscono del senso di questo luogo. È il giocattolo il vero testimone del passato, altro che le foto! I musei sono in sostanza tutti uguali, la differenza sta nel progetto culturale che ne sta alla base. I giocattoli obbediscono alla realtà. Visitando questo museo non si fugge dal mondo; al contrario, lo si comprende un pochino meglio.

Riccardo Rosati
 
* Un sentito ringraziamento ad Annarita Mavelli per il suo prezioso aiuto nella supervisione di questo scritto.

I temi di Expo al Polo Museale dell'Atac tra il 19 e il 27 settembre

Ricevo e pubblico questa iniziativa che si svolgerà a settembre presso il Polo Museale dell'Atac, a Roma: 

SETTIMANA DELLA MOBILITA’ AL POLO MUSEALE EVENTO
TAG.GHIAMOCI - OFFICINA CREATIVA



Nell’ambito delle attività in calendario durante la “Settimana Europea della Mobilità”, all’interno dell’area Polo Museale di Atac, è in programma il progetto TAG.GHIAMOCI - Officina Creativa.

Tale progetto, destinato soprattutto ai giovani ed alle scuole, propone prioritariamente di affrontare le tematiche di EXPO2015 “Nutrire il pianeta, Energia per la Vita” attraverso azioni di divulgazione, informazione ed educazione alimentare sulle eccellenze dei prodotti agricoli e agroalimentari italiani.

Con questa iniziativa si intende informare soprattutto i giovani sui contenuti tecnici e socio- culturali con riferimento a tre macro tematiche individuate dal documento “Il Lazio e Roma verso EXPO 2015”:

− Crescere meglio (le produzioni di eccellenza laziali e la loro sostenibilità);

− L’origine e la qualità (coltivazioni biologiche e prodotti tipici, origine ed eco- sostenibilità! delle produzioni, ecc.);

− Mangiare sostenibile (consumo di prodotti alimentari a basso impatto ambientale e gestione! responsabile degli sprechi alimentari). Il!percorso verrà articolato all'interno e all'esterno dei vagoni storici presenti nel Polo Museale ATAC con possibilità di degustazioni alla luce delle conoscenze acquisite durante la visita. Inoltre, l’area museale sarà allestita con orti provvisori, piante, erbe aromatiche e fiori che consentiranno un percorso didattico sulle conoscenze ortofrutticole e floreali. L'evento proposto avrà corso nel periodo dal 19 al 27 settembre 2015 a Roma presso il Polo museale ATAC di Piramide (adiacente alla stazione Ostiense).

Apertura straordinaria la mattina su prenotazione per le scuole. 

L’azione di informazione avverrà attraverso tre principali strumenti:

 - Distribuzione di materiali informativi;
Presenza di personale qualificato (agronomi) affiancato da uno staff appositamente formato;
- Realizzazione di un’App con “realtà aumentata” fruibile con il semplice utilizzo di fotocamere (smart-phone; tablet) per poter acquisire informazioni sulle  eccellenze presenti nell’esposizione

Durante le visite guidate gli allievi, se in possesso di smart-phone, verranno invitati a scaricare l’App in modo da poter meglio seguire il docente durante le diverse spiegazioni. In un apposito spazio saranno disponibili sessioni formative sui contenuti del programma indicato.

Indirizzo evento: 

Polo Museale di Atac,Via Bartolomeo Bossi, 7

Presso Stazione Piramide Metro B-Roma Lido

in alternativa ingresso da Metro B Piramide - Stazione Roma Lido (solo per le scuole)

Per informazioni rivolgersi a:

Atac Polo Museale  tel. 06-46958212-8207, email: caterina.isabella@atac.roma.it

Associazione culturale Double, tel. 339 215 3546, email: infodouble@gmail.com; dupla106@gmail.com

Il nuovo Museu do Amanhã di Rio de Janiero, un ponte verso il futuro

La costruzione del grandioso edificio, progettato dall'architetto spagnolo Santiago Calatrava è ormai terminata e il museo sarà aperto a settembre


Fonte dell'immagine: https://www.youtube.com/watch?v=43XyEXzvYuI


Sta per essere aperto, a Rio de Janeiro, il Museu do Amanhã, il "Museo del Domani", opera dell'architetto spagnolo Santiago Calatrava, nell'ambito di un progetto di riqualificazione della zona portuale di Rio de Janeiro, promossa dal Comune.
Occuperà circa 15.000 metri quadri suddivisi in due piani e sarà dotato di un'area esterna di ben 30.000 metri quadri in cui troveranno posto uno specchio d'acqua, una pista ciclabile e varie aree ricreative.

Il Museu do Amanhã è un museo della scienza dove i visitatori saranno invitati a osservare il passato, a conoscere le trasformazioni in atto e a immaginare i possibili scenari che ci attendono nei prossimi 50 anni.
L'esposizione è caratterizzata da ambienti immersivi, installazioni audiovisive e interattive, giochi. 






Il museo renderà disponibili al pubblico tutta una serie di attività educative che spazieranno dagli esperimenti di laboratorio in materia di innovazione a un osservatorio che monitora i segni vitali del pianeta.
Sono stati progettati anche servizi per il pubblico come il bar, il ristorante e il museum shop.


Esposizione e contenuti


La parte principale del progetto, al secondo piano del museo, si basa su una proposta curatoriale del fisico e cosmologo Luiz Alberto Oliveira. Il pubblico sarà guidato attraverso una narrazione strutturata in cinque aree principali: Cosmo, Terra, Antropocene, Domani e Ora per un totale di 27 esperimenti e 35 sub-esperienze disponibili in portoghese, spagnolo e inglese.

Il Museu do Amanhã parte dal presupposto che nei prossimi cinque anni si dovrebbero condensare più cambiamenti che negli ultimi diecimila anni. Per questo motivo, i visitatori sono invitati a riflettere sull'impatto delle loro scelte di oggi che daranno forma ai diversi scenari possibili del domani. Dobbiamo pensare al futuro sulla base di sei principali tendenze che ci porteranno al domani: il cambiamento climatico; la crescita della popolazione e la longevità; la maggiore integrazione e la diversificazione; lo sviluppo della tecnologia; i cambiamenti della biodiversità e la diffusione della conoscenza.

L'Observatório do Amanhã funzionerà come un radar che intercetterà e trasmetterà le informazioni dei centri di produzione della conoscenza scientifica, culturale e tecnologica. Esso avrà anche la funzione di dare valore ai contenuti del museo, mantenendoli costantemente aggiornati grazie alle fonti affidabili delle informazioni. La domanda incessante che si porrà l'Osservatorio sarà: "quali sono le maggiori opportunità e quali le minacce per la nostra società nei prossimi 50 anni?"



Per definizione, gli osservatori rilevano segnali e fenomeni, naturali e sociali, ampliando le potenzialità visive dell'osservatore nel tempo e nello spazio. A queste funzioni si aggiungerà l'obiettivo, altrettanto importante, di avvicinare i vari gruppi sociali al dibattito su tali rilevanti questioni, in particolare sul tema della sostenibilità e della convivenza.


Fonte dell'immagine: http://ad009cdnb.archdaily.net/wp-content/uploads/2010/06/1277406492-100615--museodeamanha-fija-00-5.jpg

Silvana Sperati illustra il metodo Bruno Munari

Riporto qui un’intervista a Silvana Sperati, presidente dell’Associazione Bruno Munari, pubblicata sulla rivista online La vita scolastica.Bruno Munari fu artista, designer e scrittore tra i maggiori del secolo scorso. Dedicò un interesse particolare al mondo dell’infanzia e dell’educazione. Alla scuola di oggi consegna una proposta assai attuale: il laboratorio come luogo della migliore educazione, la creatività come “ricerca sincera di varianti”, un metodo che risiede nel “creare relazioni tra gli elementi conosciuti”. L’Associazione Bruno Munari ne prosegue ufficialmente il metodo e la ricerca che indicò l’artista. Promuove seminari, laboratori, eventi, mostre in Italia e nel mondo ed è l'unica deputata alla formazione sul Metodo Munari. Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.brunomunari.it.
Foto tratta da:
http://www.artribune.com/2014/03/munari-artista-politecnico-in-attesa-della-grande-mostra-a-milano/3-614/
  
Una sua intervista a Bruno Munari del 1997 si chiude con questa domanda: “Munari è per tutti o per pochi?”. E Munari risponde: “Mah, io direi per tutti”. Che cos’è oggi Munari per la scuola?

Intanto vorrei dire che, secondo me, questa risposta che diede Munari: “Mah, io direi per tutti” descrive in modo assolutamente chiaro il pensiero dell’artista. Ho motivo di credere che negli ultimi anni della sua vita Bruno Munari abbia riservato un’attenzione particolare al mondo dell’infanzia e all’educazione. Diceva lui stesso che quello che voleva restasse era il laboratorio. In questa sua affermazione, io riconoscevo l’accezione vera del laboratorio, come luogo, spazio, tempo, occasione per la costruzione della conoscenza a partire dalla sperimentazione. Lì, nel laboratorio, c’è Munari. E nel laboratorio c’è gran parte del futuro di tutti noi che si costruisce qui e ora attraverso la migliore educazione, proprio quella che ci venne insegnata da questo grande artista.
Pablo Picasso lo paragonò al genio di Leonardo da Vinci, perché si esprimeva con agilità in tanti settori (l’arte, la grafca, la scultura, la scrittura, la progettazione...) e per la tipologia di pensiero, così attenta alla conoscenza, che sempre espresse in tutti i campi. Nonostante questa poliedricità e intensità, Munari sente sempre, e lo ribadisce nell’intervista, di voler essere “per tutti”. Questo vuol dire che dalla lezione di Bruno Munari possiamo trarre anche delle indicazioni necessarie al mondo della scuola. Perché la scuola cos’è, se non il luogo deputato alla costruzione del sapere? Certo si va a scuola per imparare, ma soprattutto per scoprire, per aguzzare la curiosità, per conoscere. Ecco io credo che nell’approccio che Bruno Munari mostrò nei laboratori possiamo trovare indicazioni per portare in aula l’apprendimento, in senso pieno. E questo atteggiamento è quello richiesto proprio oggi dalla scuola, non solo italiana, ma anche europea, quando insiste su quello che viene defnito “imparare a imparare”: quindi fare in modo che l'individuo apprenda, fin da piccolo, a diventare fautore del proprio apprendimento.

Foto tratta dal sito http://www.labogattomeo.it/?page_id=279

L’Associazione di cui è presidente lavora per la comprensione e la diffusione del “metodo Munari”. Vuole illustrarlo ai nostri lettori?

Proverò, attingendo ai testi di Munari e in particolare al suo libro Fantasia (Universale Laterza, Bari, 1977). Qui Munari prova a defnire alcune parole molto spesso confuse tra di loro: fantasia, immaginazione, creatività, invenzione. Quando parla della fantasia, Munari dice che è la facoltà più importante di tutte, perché ci permette di fantasticare di cose e di oggetti che possono anche essere assolutamente irrealizzabili. Si parla di una fantasia che va a briglie sciolte, dunque, di una possibilità del pensiero in cui tutto può essere immaginato. Però, quando parla di fantasia, Munari dice anche che la fantasia usa lo stesso metodo, e sottolinea proprio la parola metodo, di altre facoltà: per esempio dell’invenzione, o della creatività. E dunque: che cos’è questo metodo? Questo metodo, dice Munari, risiede nel “creare relazioni tra gli elementi conosciuti”.
Dunque la persona, prima di tutto, è invitata a “costruirsi” delle informazioni attraverso la sperimentazione che avviene nel laboratorio e nel vissuto quotidiano. Nel laboratorio di Munari posso esplorare un materiale, una tecnica, per scoprire tutto quello che si può fare. Questo mi dà la possibilità di “costruirmi” delle informazioni. Ma se queste informazioni rimanessero ferme, non utilizzate in nessun progetto – Munari dice “come un magazzino di dati inerti” – non servirebbero a nulla. Dunque l’importante è creare una situazione, un'attività che inviti ciascuno a creare relazioni tra queste informazioni, relazioni che poi portano a progettare, costruire, immaginare un qualcosa di nuovo.
Questo “qualcosa di nuovo” non deve essere necessariamente finalizzato, perché può essere anche qualcosa di cui ancora non immaginiamo un uso possibile. Munari dice: quando un oggetto è così preciso, descritto, come un trompe-l’oeil, non stimola il soggetto come un’immagine che invece può essere tante cose, per esempio un ippopotamo o una cavalletta. Massima apertura, dunque, verso materiali “imperfetti”, semplici e più vari possibile, in modo che il bambino possa realizzare sperimentazioni diverse. A livello educativo, inoltre, occorre tempestività: se un bambino riceve un’educazione che lo invita a vedere quello che si può fare con le cose fin da piccolo, è verosimile che manterrà questa attitudine per sempre. Se, invece, già nei primi anni a un bambino si dice: “Stai attento, No!... Si deve fare così, si deve fare cosà!... Il cielo è sempre azzurro... Il pulcino è sempre giallo... La mela è sempre rossa...”, quel bambino avrà poche possibilità di emancipare i propri pensieri, di contemplare le infinite variabili, di costruire i propri apprendimenti...

Tornando all’intervista del 1997, Munari dice che la creatività è “ricerca sincera di varianti”. Come possiamo tradurre, anche per il mondo della scuola, questa definizione?

Questa frase sulla creatività è molto bella e mi permette di precisare la risposta sul metodo che ho dato prima, perché ogni parola della frase è un elemento di metodo. La parola “ricerca” ci porta all'approccio scientifco, così vicino all’attenzione di Munari, che ha sempre cercato di analizzare ogni aspetto, di non dare nulla per scontato. L’atteggiamento del ricercatore è l’atteggiamento di colui che con curiosità guarda a tutte le espressioni che il mondo gli presenta. E Bruno Munari aveva fatto suo questo atteggiamento, manifestato anche con la grande attenzione che ha sempre riservato al mondo della natura. Per tutta la vita Munari osservò la natura, i suoi processi, i suoi cambiamenti, le sue variabili e io credo che dalla lezione di Munari ci venga anche lo stimolo di tornare alla natura con uno sguardo di stupore per tutto quello che ci può insegnare.

Questa ricerca, dice Munari, deve essere “sincera”. Una ricerca sincera è una ricerca “vera”. Dal nido all’università proponiamo ricerche viziate, non vere ogni volta che si dà il risultato per scontato. Per esempio: se provo a fare un’esperienza di mescolamento dei colori, come il blu e il giallo, so bene che il risultato sarà il verde, ma non posso fermarmi lì. Infatti quante variabili ci possono essere in quell’esperienza, a partire dall’intensità e tipologia dei pigmenti, da quanto blu e quanto giallo metto, dal materiale su cui spalmo, spremo o stendo il colore? In questo senso la dimensione della ricerca deve essere “sincera”. Perché la dimensione della ricerca “sincera” coinvolge, appaga l’individuo e, soprattutto, diventa realmente generativa di nuovi saperi. La ricerca non deve essere millantata, su questo dobbiamo essere molto attenti. Come il laboratorio: deve essere il luogo della ricerca, non può essere il luogo del “facciamo finta che facciamo la ricerca”. Ormai anche intorno alla parola “laboratorio” è andato un po’ a perdersi questo elemento costitutivo della ricerca: dobbiamo rileggere il senso delle parole, ritornare al loro significato come definizione di azioni realmente congruenti. “Ricerca sincera di varianti”, dice Munari. Ecco, qui entriamo nell’orizzonte molto creativo del “quanti ce ne sono” e del “come sono”. Proviamo a immaginare delle domande: un sasso: quanti ce ne sono di sassi?; è rosso: quanti ce ne sono di rossi?; fino a quando questo materiale che è rosso è rosso, e quando invece da rosso diventa scuro scuro, e forse stiamo passando nel marrone? La ricerca delle varianti mi “apparecchia davanti” le possibilità del mondo, ma insieme mi descrive anche i suoi confini, portandomi in quel territorio dello “sfumato” dove posso descrivere un fenomeno con un’esattezza che non è solo mero dato, numero, definizione ma consapevolezza del mondo. Entrare in questo tipo di processo significa prendersi in mano il gusto, la gioia dell’apprendere. E sarà proprio ritornando a questa gioia che potremmo dare ai nostri studenti una grande chance. Si tratta di un movimento da compiere all’insegna del festina lente, dove l’investimento nell’educazione, oggi, è l’azione più importante che possiamo fare.

Master internazionale in "Standards for museum education"




E' uscito il bando per la nuova edizione del master internazionale in "Standards for museum education" organizzato dal Centro di Didattica Museale dell'Università Roma Tre. Si tratta di un'occasione di formazione internazionale sui museum studies. Sono previsti seminari e workshop con docenti da musei e centri di ricerca europei (V&A, Tate Modern, Leicester University, Delft University, University College London) e progetto di stage in un'istituzione museale per svolgere una ricerca sul campo. 
Scadenza 15 gennaio 2016. Maggiori informazioni a questa pagina.

Learning in Museums and Young People

a NEMO - LEM Working Group study



NEMO’s LEM Working Group (Learning Museums) is happy to present its recently published study on Young People in Museums.
Learning in Museums and Young People” focuses on museums informal and non-formal learning opportunities for young people, particularly aged 14-25. It was conducted in the context of current issues for young people in Europe and the challenges they are faced with, in the social field, as well as concerning their employment opportunities. Based on an outline of this "frame" the more-than-ever important role of museums is discussed.

In the course of this 4 sections deal with the following related topics:

  • the relation between museums and young people with regard to motivations and methodologies to improve and increase access and engagement in culture
  • the role of museums in the digital era and use and particularly potential of new technologies
  • the challenges of social exclusion, especially for those considered NEET.
  • the multi-facetted concept of accessibility and disadvantage referred to young people with disabilities
In order to give specific references to EU context, all themes are introduced related to some of the Europe 2020 priorities, targets and flagship initiatives.

The study is avalaible on NEMO’s website. NEMO and the LEM Working Group hope that you will find the study useful in your further work and are looking forward to discuss these topics further with you.

Un progetto didattico museale per la Scuola Elementare Ellera di Viterbo.


Si è concluso ieri, martedì 31 maggio, il progetto didattico da me organizzato con la Scuola Elementare “Ellera” di Viterbo in collaborazione con la Soprintendenza per i beni archeologici dell’Etruria Meridionale e la supervisione di Maurizio Pellegrini, responsabile del Laboratorio di didattica e promozione visuale della Soprintendenza. Il progetto didattico è stato articolato in tre distinti percorsi incentrati sui temi:


-         Gli oggetti degli Etruschi


-         Il cibo degli Etruschi


-         Come scrivevano gli Etruschi (l’alfabeto e gli strumenti di scrittura)


Il primo percorso, “Gli oggetti degli Etruschi”, è stata incentrato sul metodo del confronto tra gli oggetti antichi, utilizzati dagli Etruschi, e altri oggetti, più familiari agli alunni, utilizzati quotidianamente in ambito domestico.  


Stimolando i ragazzi all'individuazione di uguaglianze o diversità tra gli oggetti,  confrontandoli sia rispetto alla loro  collocazione cronologica (passato/presente) sia alla loro specifica funzione (oggetti per bere, per contenere, per cuocere i cibi, ecc.), si è cercato di sviluppare la loro attenzione “selettiva” e quindi la capacità di osservare le cose in maniera analitica, classificandole in modo ordinato e acquisendo nel contempo i termini specifici relativi ai tipi vascolari e agli strumenti di uso domestico di epoca etrusca.


Dopo una lezione preliminare in classe, dove il confronto tra gli oggetti è stato effettuato portando all’osservazione diretta alcuni oggetti moderni in plastica, come brocche, piatti, bicchieri, colini, imbuti, etc. e i corrispondenti oggetti antichi, rappresentati da copie di reperti per uso didattico, le classi sono state condotte al museo per esaminare gli oggetti esposti e riconoscerne le forme, le funzioni e i nomi.


Il secondo percorso, “Il cibo degli Etruschi” è stato dedicato all’analisi dei cibi e delle abitudini alimentari degli Etruschi. Gli alunni hanno confrontato l’alimentazione moderna con quella antica, cercando analogie e diversità, scoprendo i cibi che ancora oggi utilizziamo e quelli che ancora non esistevano all’epoca degli Etruschi.


Nel Museo Nazionale Etrusco, Rocca Albornoz, è stato possibile osservare l’allestimento di una cucina e  di un triclinio, ricostruiti nella sezione “Architettura etrusca nel Viterbese” (piano terreno del Museo di Viterbo).


L’ultima proposta, “Come scrivevano gli Etruschi”, è stata particolarmente interessante perché ha permesso ai ragazzi di riconoscere i segni grafici dell’alfabeto etrusco, di leggerli e di riprodurli, componendo anche una semplice frase. Durante la visita al museo, gli alunni hanno individuato scritte etrusche su vasi e sarcofagi.


Al termine dei tre percorsi didattici, i ragazzi hanno realizzato a scuola alcuni cartelloni con disegni e fotografie che hanno riassunto quanto appreso e alcuni modellini di vasi etruschi realizzati con materiali di riciclo e decorati con la tecnica del decoupage. Tutti i lavori sono stati quindi trasportati al Museo Nazionale Etrusco di Viterbo dove è stata allestita una piccola mostra aperta al pubblico.


Hanno partecipato al progetto i bravissimi alunni delle sezioni A, B, C, D della Va classe della Scuola Elementare “Ellera” di Viterbo. Un ringraziamento particolare alle insegnanti della Scuola e alla Dirigente scolastica, la Dott.ssa Anna Maria Cori.


Durante l’inaugurazione della Mostra, la direttrice  del Museo, funzionario archeologo della Soprintendenza per i beni archeologici dell’Etruria Meridionale, Dott.ssa Valeria D’Atri, e Maurizio Pellegrini, hanno consegnato un attestato di partecipazione a ciascuna classe in ricordo dell’esperienza trascorsa. La Mostra dei ragazzi resterà aperta al pubblico fino al 5 giugno.














L'attualità del metodo Bruno Munari nella didattica museale

Bruno Munari non fu soltanto un grande artista e designer italiano del XX secolo, formatosi nell’ambito del futurismo milanese e romano; a lui si deve anche l’ideazione di un metodo tuttora utilizzato nell’ambito della didattica museale, in particolare nei musei d’arte, e che da lui prende il nome. Munari, infatti, oltre che artista, è stato anche uno studioso, docente di psicologia dell’educazione presso l’università di Ginevra. Il suo primo laboratorio per i bambini fu creato nel 1977 nella Pinacoteca di Brera. La finalità che si proponeva era insegnare ai giovanissimi visitatori come guardare l’opera d’arte, vivendo questo momento come un’esperienza irripetibile.  Può sembrare un’impresa apparentemente ardua per un bambino, ma in realtà non è così perché il linguaggio usato è proprio il più simile a quello dei bambini. Essi esplorano per natura ogni cosa e così non è difficile aiutarli a scoprire materiali, caratteristiche e tecniche delle opere. In pratica è l’esperienza che porta il fanciullo alla comprensione e al discernimento. Il principio didattico su cui si basa il metodo Munari è dunque: "non dire cosa fare ma come". Esso, inoltre, trae ispirazione dalla pedagogia attiva di Maria Montessori ed anche dello psicologo e pedagogista svizzero Jean Piaget. Le «azioni didattiche» di Munari coinvolgono il bambino attivamente e globalmente soprattutto attraverso il principio dell’educazione al tatto. Gli operatori, pertanto, non suggeriscono alcun metodo perché sono gli stessi fanciulli che si costruiscono autonomamente il loro modo di osservare, capire, costruire, riprodurre, ispirandosi alle opere d’arte di ogni epoca. Il metodo Munari si basa su tre azioni successive: “osservare”, “fare” e “riflessioni sul fare”. Dopo aver osservato le opere, quindi, i bambini sperimentano essi stessi l’uso dei materiali e delle tecniche e infine, terzo e ultimo passaggio, creano delle storie ispirandosi ai loro stessi lavori. Basandosi su tale metodo, Munari creò numerosi altri laboratori dopo quello di Brera. Si ricordano i Laboratori Tattili realizzati in occasione della mostra Le mani guardano, nel 1979, e Giocare con l’arte, durante una mostra antologica dello stesso Munari, nel 1986/87, entrambe presso il Palazzo Reale di Milano; Giocare con la natura, al Museo di Storia Naturale di Milano, nel 1988; il Lab-Lib, ovvero il “laboratorio liberatorio”, presso il Museo Pecci di Prato, nel 1992. Le attività inizialmente proposte nel laboratorio di Brera ai bambini delle scuole elementari furono estese, in seguito, anche ai bambini delle materne, agli studenti delle medie e in alcuni casi a quelli delle superiori. Attualmente l’Associazione Bruno Munari, fondata nel 2001, tre anni dopo la scomparsa del Maestro, e che si propone di promuovere e di sviluppare ancora oggi il metodo Munari, rivolge i propri laboratori anche agli adulti. La principale attività resta quella di diffondere i principi ispiratori e le tecniche di questo metodo pedagogico nelle scuole, nei musei e nelle biblioteche. Poiché l’applicazione del metodo necessita di operatori specializzati, l’Associazione Bruno Munari svolge anche attività formative rivolte in primo luogo a insegnanti, educatori, formatori ed operatori culturali. A Milano è stato recentemente creato il “MunLab”, uno spazio permanente per conoscere e sperimentare il Metodo Bruno Munari, che collabora anche con la rivista Focus Junior. Un MunLab è stato istituito anche presso l’Ecomuseo dell’argilla, a Cambiano, in provincia di Torino. Ulteriori informazioni sono reperibili sul sito dell’Associazione Bruno Munari, www.brunomunari.it,  dove è possibile reperire anche una bibliografia completa, e in quello del MunLab, www.munlab.it.

Caterina Pisu (ArcheoNews, rubrica Musei e Biblioteche, febbraio 2011)

Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

Fonte dell'immagine: The Federalist Negli Stati Uniti, presso l’Art Institute of Chicago (AIC) si è aperto un caso che potrebbe essere d...