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#MuseumWeek 2016: dialogare con musei vicini e lontani


Si è conclusa da una settimana la MuseumWeek 2016 e i risultati di quest’ultima edizione dimostrano che l’evento sta diventando di anno in anno una straordinaria occasione d’incontro e di confronto soprattutto tra i professionisti museali e gli analisti del settore. I dati statistici rilevati durante la settimana di svolgimento della MuseumWeek sono eccezionali: 3.500 i musei partecipanti da 75 paesi nel mondo (di cui 355 musei italiani), 664 mila i tweet con hashtag #museumweek, visti 294 milioni di volte. Un traguardo notevole se si considera che lo scorso anno a partecipare erano in 2800 e che i musei italiani erano 259, numero peraltro quadruplicato rispetto al 2014.

Ogni giorno della settimana (dal 28 marzo al 3 aprile) è stato contraddistinto da un hashtag diverso corrispondente ad un tema da seguire: l’hashtag che ha raccolto il maggior numero di commenti è #LoveMW (domenica 3 aprile) con un totale di 22.5k post pubblicati su Twitter. Al secondo posto c’è #ZoomMW (sabato 2 aprile).
Ben cinque i musei presenti nella top ten mondiale dei musei più attivi durante la #MuseumWeek: l’account dell'area archeologica di Massaciuccoli romana(@MassaciuccoliRo), il Museo Corona Arrubia (@Coronarrubia), il Museo Bergallo (@museobergallo), il Museo Tattile di Varese (@museotattile_VA) e il Museo Archeologico del Distretto Minerario Rio nell'Elba (@MuseoRioElba).

In Italia, oltre agli account già presenti nella classifica mondiale, gli altri musei più attivi sono stati il Museo Archeologico di Cagliari (@MuseoArcheoCa), l’Ufficio Beni Archeologici della Provincia Autonoma di Trento (@BeniArcheo), Musei in Comune Roma (@museiincomune), il Museo della Navigazione nelle Acque Interne (@MuseoPiroga), il Museo del Setificio Monti (@Museo_Setificio), Trasimeno Lake (@TrasimenoLake) e il Museo e Pinacoteca Civica Palazzo Mazzetti (@PalazzoMazzetti).

Al di là di questi dati, l’aspetto più importante è sicuramente il coinvolgimento di un così elevato numero di musei nel mondo e, in particolare, in Italia. 

MuseumWeek non è una gara, non è una vetrina per i musei che vi partecipano, sebbene non si possa negare che la visibilità guadagnata sia un grande vantaggio, ma è soprattutto un dialogo. 

Personalmente considero di fondamentale importanza insistere su questo aspetto perché nei giorni scorsi ho avuto occasione di leggere critiche soprattutto nei confronti di musei più piccoli che spesso hanno maggiori difficoltà ad organizzarsi ed anche a produrre contenuti con maggiore frequenza rispetto ai grandi musei. 


Dovrebbe essere chiaro che un piccolo/medio museo non può vantare la collezione del Louvre né avere il suo repertorio fotografico, ma se i dati statistici servono a qualcosa, sicuramente sono utili per dimostrare che le competenze, l’entusiasmo e il desiderio di comunicare non sono mancati nemmeno a quei musei italiani che, pur potendo contare su pochi mezzi e risorse, abbiamo poi visto affiancare il British Museum, il Louvre, il Prado e l’Hermitage nella classifica mondiale dei musei più attivi. 

Se la MuseumWeek può essere considerata un dialogo - o meglio ancora, un insieme di dialoghi - allora è ragionevole immaginare che in una manifestazione che è durata dalle 6 alle 10 ore giornaliere, se non di più, durante l’arco di un’intera settimana, il registro formale abbia dovuto ogni tanto cedere il passo a quello colloquiale. 
Se nei dialoghi sono sortiti dei “buongiorno” o “buonanotte” ai colleghi dei musei co-partecipanti e ai propri followers, o qualche frase rimarcante l’entusiasmo di essere parte di una grande manifestazione, questo non dovrebbe essere disapprovato, ma visto, piuttosto, come l’espressione di un coinvolgimento reale e appassionato. Sarebbe ingiusto, però, non vedere il grande lavoro che i musei italiani hanno compiuto durante la MuseumWeek, twittando contenuti di grande interesse. 
E’ stato molto bello leggere i dialoghi, osservare la formazione di piccole “reti” e di collegamenti sia con realtà vicine che con quelle più lontane. Ciascuno ha cercato di trovare un modo di essere nella MuseumWeek nel modo più adatto alle proprie esigenze, al tipo di istituzione, ai risultati che si è cercato di ottenere. 


Se ad un osservatore esterno la MuseumWeek è sembrata caotica è perché non ha recepito che questo tipo di manifestazione non si può vivere da “osservatori” ma solo da partecipanti. Non potrebbe essere altrimenti, trattandosi di un evento mondiale che coinvolge milioni di voci, ma lo scopo della MuseumWeek, lo ripeto, non è la produzione collettiva di un contenuto, ma piuttosto la creazione di dialoghi basati sui contenuti, sullo scambio di opinioni e sul confronto, a beneficio prima di tutto del settore dei musei e della categoria dei professionisti museali che, senza alcun dubbio, da questa manifestazione hanno ottenuto un rafforzamento del senso di appartenenza alla categoria. Mi è sembrato ottimo anche il dialogo con i followers e con gli analisti del settore che hanno partecipato all’evento. Non ci si può aspettare che al di fuori di questo ambito ci possa essere una partecipazione di massa. Mi sembra improbabile che questo possa avvenire e quindi si dovrebbe anche smettere di ripetere ogni anno che è mancata la partecipazione del pubblico. Non è questo il tipo di manifestazione che può catturare una platea di non specialisti, prima di tutto per la sua durata: nessuno che non sia professionalmente coinvolto avrebbe la costanza di seguire un evento lungo un’intera settimana per molte ore al giorno. Inoltre Twitter è considerato ancora un social network di nicchia che, tra l’altro, è in continuo calo e ultimamente gli accessi sono scesi del 28%. E’ normale che non si riesca a intercettare il “cittadino medio” che probabilmente preferisce altre piattaforme social.

E’ necessario, piuttosto, utilizzare tutte le potenzialità della MuseumWeek per creare reti virtuali tra i musei, così come è avvenuto soprattutto a partire dalla scorsa edizione, migliorando notevolmente la comunicazione, un settore che solo fino a tre anni fa ci vedeva tra i musei meno attivi d’Europa. Ora possiamo con orgoglio dimostrare che la situazione è decisamente cambiata!

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