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I musei si aprono al territorio


Gli ecomusei come “radici del futuro” per la valorizzazione del patrimonio culturale e lo sviluppo dell’economia locale

Negli ultimi trent’anni il concetto di museo si è gradualmente trasformato, allontanandosi dal modello di museo statico, racchiuso entro le mura di un edificio, per avvicinarsi al concetto di un museo dinamico, espanso, legato al territorio e all’identità culturale locale: gli ecomusei.

Antesignana della creazione degli ecomusei in Europa è stata la Francia, grazie a un’idea dei museologi francesi Georges-Henri Rivière e Hugues de Varine tra gli anni ’50 e ’60, nell’ambito delle teorie che animavano la Nouvelle Muséologie e che tendevano, appunto, ad un museo aperto all’esterno, non più legato esclusivamente al recupero del passato ma attento ad “incrementare il senso del presente” (Francesca Muzzillo).

In seguito, durante gli anni ’70, gli eco-musei si sono estesi, oltre che sul territorio francese, anche in molti altri paesi europei ed extraeuropei.

La Carta Internazionale degli Ecomusei definisce l’ecomuseo “un’istituzione culturale che assicura in forma permanente, su un determinato territorio e con la partecipazione della popolazione, le funzioni di ricerca, conservazione, valorizzazione di un insieme di beni naturali e culturali, rappresentativi di un ambiente e dei modi di vita che vi si sono succeduti”. Lo stesso Hugues de Varine ha specificato ancora meglio il concetto, evidenziando il ruolo fondamentale della comunità e slegando definitivamente il patrimonio culturale dall’idea di museo-contenitore: l’ecomuseo “è un’azione portata avanti da una comunità, a partire dal suo patrimonio, per il suo sviluppo. L’ecomuseo è quindi un progetto sociale, poi ha un contenuto culturale e infine s’appoggia su delle culture popolari e sulle conoscenze scientifiche. Quello che non è: una collezione, una trappola per turisti, una struttura aristocratica, un museo delle belle arti etc. Un ecomuseo che sviluppa una collezione importante e ne fa il suo obbiettivo non è più un ecomuseo, poiché diventa schiavo della sua collezione” (“Piccolo dialogo con Hugues de Varine sugli ecomusei”, http://terraceleste.wordpress.com/).

Questa definizione esprime la vera rivoluzione introdotta dagli ecomusei che, se ben disciplinata, può portare enormi vantaggi non solo per la valorizzazione del patrimonio archeologico, etnografico, artistico, architettonico e naturalistico, ma anche per l’economia di un territorio, a partire dal turismo, dalla salvaguardia dell’artigianato e delle tradizioni locali, per arrivare alla rivalutazione degli stessi musei locali di tipo tradizionale, inseriti nel sistema degli ecomusei, e alla valorizzazione delle aree archeologiche e naturalistiche, dei musei all’aperto e di ogni altra forma di musealizzazione del patrimonio locale.

A differenza degli enti museali con una gestione “centralizzata”, in certo qual modo gli ecomusei partono dal basso, cioè sono creati dalla stessa comunità di appartenenza e mostrano una forte connotazione identitaria. Secondo Hugues de Varine gli ecomusei rappresentano le “radici del futuro”, ovvero le possibilità di sviluppo per le nuove generazioni, legate alla vita e alla ricchezza collettiva. La cultura, le tradizioni, il paesaggio, diventano, così,  un’importante fonte di progresso per la comunità.

Il concetto di ecomuseo è strettamente collegato a quello del paesaggio. Se giuridicamente l’accezione della valenza del paesaggio quale realtà etico-culturale non è usuale, se ne trova una descrizione puntuale nella Convenzione Europea del Paesaggio, sottoscritta il 20 ottobre del 2000, a Firenze, da un Comitato di Ministri della Cultura e dell’Ambiente di ventisette Stati europei. Nel documento si delinea il concetto di paesaggio, inteso come “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle persone, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni” (Convenzione Europea del Paesaggio, traduzione non ufficiale, Articolo 1). Nel preambolo, inoltre, si legge che “il paesaggio coopera all'elaborazione delle culture locali e rappresenta una componente fondamentale del patrimonio culturale e naturale dell'Europa, contribuendo così al benessere e alla soddisfazione degli esseri umani e al consolidamento dell'identità europea”. L’Art. 5 esprime l’impegno a “riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità”. E’ ben chiaro, quindi, il riferimento al paesaggio come facente parte del patrimonio culturale e, pertanto, tornando alla definizione di ecomuseo inizialmente formulata, si può affermare che l’ecomuseo rappresenta uno strumento essenziale per attuare quanto espresso e raccomandato dalla Convenzione Europea del Paesaggio.

Una ricerca del 1999 di Peter Davis ha calcolato non meno di 166 ecomusei in 25 paesi. Oggi,  l’Osservatorio degli Ecomusei (osservatorioecomusei.net), che dispone dell’archivio on-line più completo del mondo, ne ha recensiti 400 fra operativi e in cantiere. In Italia, la concentrazione maggiore si registra in Lombardia e in Piemonte. Possiamo dire che oggi il nostro Paese è all’avanguardia in questo settore con una organizzazione ampia e riconosciuta a livello regionale e provinciale; fenomeno, per esempio, non  riscontrabile in Francia che, pur essendo terra di origine degli ecomusei, tende ancora a privilegiare e a consolidare i musei di tipo tradizionale.

Certamente l’Italia, rispetto ad altri paesi, può vantare un’incredibile ricchezza e varietà di testimonianze culturali profondamente radicate nei territori e distribuite in modo così capillare da dare impulso quasi spontaneamente a questa forma di musealizzazione. Ciò spiega il notevole incremento degli ecomusei registrato in Italia questi ultimi anni, molti dei quali sono anche già in rete (una lista completa degli ecomusei e dei siti web loro dedicati può essere consultata su www.ecomusei.net).

La possibilità di creare un collegamento tra  le varie manifestazioni della cultura locale, cioè l’attuazione di un sistema di raccordo che ne faciliti la conoscenza e la fruizione, prospetta un modello di investimento nel proprio territorio che coinvolge molti soggetti: regioni, province, enti locali, associazioni, fondazioni. Il gestore dell’ecomuseo, infatti, può essere non solo un soggetto pubblico ma anche un soggetto privato; sono poi le varie leggi regionali che specificano quale conformazione giuridica può essere prevista per il soggetto gestore. Un’apertura al privato in questo caso non sarebbe in alcun modo negativa, in quanto faciliterebbe il contributo diretto di soggetti non pubblici in una logica di effettiva cultura della partecipazione. Oltre alle associazioni e alle fondazioni, negli ultimi anni si sta considerando una terza forma giuridica, rappresentata dalle Fondazioni di partecipazione. Si tratta di un istituto senza scopo di lucro, a metà tra l’associazione e la fondazione, cui è possibile iscriversi sia contribuendo finanziariamente o con la donazione di beni materiali, sia mettendo a disposizione professionalità o servizi. A differenza delle fondazioni, possono entrare nuovi membri anche successivamente alla sua costituzione e ciò la rende uno strumento molto più flessibile e più simile alle associazioni. In pratica la Fondazione di partecipazione è il frutto dell’interpretazione giuridica tesa ad innestare l’impianto della fondazione nella dinamicità associativa. Tale soluzione permetterebbe meglio di altre la collaborazione tra pubblico e privato, introducendo alcuni importanti vantaggi nella gestione, come l’autonomia (soprattutto da eventi di natura politica che spesso condizionano le pubbliche amministrazioni) e l’efficienza operativa, dato il concorso di varie professionalità. Chiaramente, il rapporto tra la comunità locale di riferimento e la Regione/Provincia autonoma, rappresenta sempre il livello organizzativo principale, mentre il rapporto tra gli enti pubblici ed il gestore del progetto costituisce il secondo livello. 

Il rapporto tra Regione/Provincia autonoma e soggetto gestore è di norma regolato da un accordo o da una convenzione. Quasi sempre è richiesta espressamente la presenza di un soggetto responsabile del progetto e l’utilizzo di personale competente. Notevole importanza è data alla figura del Direttore dell’ecomuseo che dovrà essere in possesso di requisiti tecnici adeguati allo svolgimento del suo ruolo, in grado di coordinare e dirigere tutti i soggetti di diritto pubblico e privato che partecipano al progetto (dal 2004 la Regione Toscana considera la figura del direttore obbligatoria nei musei anche per accedere ai contributi regionali e statali).

Per il resto è garantita l’autonomia dei soggetti partecipanti, data l’eterogeneità dei progetti ecomuseali, legati a realtà culturali e territoriali molto diverse tra loro, difficili da ricondurre a ben definiti modelli standardizzati, anche se una proposta di classificazione, in realtà, è stata avanzata da Andrea Del Duca in occasione dell’Incontro Nazionale Ecomusei, (Biella 9-12 ottobre 2003); essa si basa sulla suddivisione degli ecomusei in quattro principali modelli organizzativi a seconda che gli ecomusei siano più o meno strutturati oppure che siano a carattere spontaneistico e, inoltre, a seconda che siano dotati di personale specifico per il progetto ecomuseale, con una organizzazione autonoma che coinvolga varie realtà culturali locali o, invece, di personale già impiegato per altri compiti.

In ogni caso, qualunque siano le caratteristiche dell’ecomuseo, è fondamentale che la sua realizzazione e la sua gestione prevedano sempre “la partecipazione della popolazione che trova in esso uno strumento di presa di coscienza ed espressione del suo patrimonio culturale e del suo sviluppo…” (Georges Henri Rivière).

Le modalità di questa partecipazione si potranno definire di volta in volta in base alle esigenze e alle peculiarità del territorio, per esempio anche attraverso il prezioso apporto del  volontariato che in Italia vanta una tradizione esistente dalla fine del XIX secolo. Fra le varie organizzazioni sono da citare il Gruppo Archeologico Romano (GAR, 1963), l’Archeoclub d’Italia (1971), il Fondo Ambiente Italiano (FAI, 1975), l’Associazione dimore storiche (1977), gli Amici dei Musei (FIDAM, 1975), Italia Nostra (1955), Legambiente (1980), WWF (1966) e Touring Club (1894) che da molti anni operano con successo in tutto il territorio nazionale e il cui ruolo come supporto nella gestione degli ecomusei  potrà essere sempre più significativo.

Caterina Pisu, ArcheoNews (settembre 2010)

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