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Silvana Sperati illustra il metodo Bruno Munari

Riporto qui un’intervista a Silvana Sperati, presidente dell’Associazione Bruno Munari, pubblicata sulla rivista online La vita scolastica.Bruno Munari fu artista, designer e scrittore tra i maggiori del secolo scorso. Dedicò un interesse particolare al mondo dell’infanzia e dell’educazione. Alla scuola di oggi consegna una proposta assai attuale: il laboratorio come luogo della migliore educazione, la creatività come “ricerca sincera di varianti”, un metodo che risiede nel “creare relazioni tra gli elementi conosciuti”. L’Associazione Bruno Munari ne prosegue ufficialmente il metodo e la ricerca che indicò l’artista. Promuove seminari, laboratori, eventi, mostre in Italia e nel mondo ed è l'unica deputata alla formazione sul Metodo Munari. Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito www.brunomunari.it.
Foto tratta da:
http://www.artribune.com/2014/03/munari-artista-politecnico-in-attesa-della-grande-mostra-a-milano/3-614/
  
Una sua intervista a Bruno Munari del 1997 si chiude con questa domanda: “Munari è per tutti o per pochi?”. E Munari risponde: “Mah, io direi per tutti”. Che cos’è oggi Munari per la scuola?

Intanto vorrei dire che, secondo me, questa risposta che diede Munari: “Mah, io direi per tutti” descrive in modo assolutamente chiaro il pensiero dell’artista. Ho motivo di credere che negli ultimi anni della sua vita Bruno Munari abbia riservato un’attenzione particolare al mondo dell’infanzia e all’educazione. Diceva lui stesso che quello che voleva restasse era il laboratorio. In questa sua affermazione, io riconoscevo l’accezione vera del laboratorio, come luogo, spazio, tempo, occasione per la costruzione della conoscenza a partire dalla sperimentazione. Lì, nel laboratorio, c’è Munari. E nel laboratorio c’è gran parte del futuro di tutti noi che si costruisce qui e ora attraverso la migliore educazione, proprio quella che ci venne insegnata da questo grande artista.
Pablo Picasso lo paragonò al genio di Leonardo da Vinci, perché si esprimeva con agilità in tanti settori (l’arte, la grafca, la scultura, la scrittura, la progettazione...) e per la tipologia di pensiero, così attenta alla conoscenza, che sempre espresse in tutti i campi. Nonostante questa poliedricità e intensità, Munari sente sempre, e lo ribadisce nell’intervista, di voler essere “per tutti”. Questo vuol dire che dalla lezione di Bruno Munari possiamo trarre anche delle indicazioni necessarie al mondo della scuola. Perché la scuola cos’è, se non il luogo deputato alla costruzione del sapere? Certo si va a scuola per imparare, ma soprattutto per scoprire, per aguzzare la curiosità, per conoscere. Ecco io credo che nell’approccio che Bruno Munari mostrò nei laboratori possiamo trovare indicazioni per portare in aula l’apprendimento, in senso pieno. E questo atteggiamento è quello richiesto proprio oggi dalla scuola, non solo italiana, ma anche europea, quando insiste su quello che viene defnito “imparare a imparare”: quindi fare in modo che l'individuo apprenda, fin da piccolo, a diventare fautore del proprio apprendimento.

Foto tratta dal sito http://www.labogattomeo.it/?page_id=279

L’Associazione di cui è presidente lavora per la comprensione e la diffusione del “metodo Munari”. Vuole illustrarlo ai nostri lettori?

Proverò, attingendo ai testi di Munari e in particolare al suo libro Fantasia (Universale Laterza, Bari, 1977). Qui Munari prova a defnire alcune parole molto spesso confuse tra di loro: fantasia, immaginazione, creatività, invenzione. Quando parla della fantasia, Munari dice che è la facoltà più importante di tutte, perché ci permette di fantasticare di cose e di oggetti che possono anche essere assolutamente irrealizzabili. Si parla di una fantasia che va a briglie sciolte, dunque, di una possibilità del pensiero in cui tutto può essere immaginato. Però, quando parla di fantasia, Munari dice anche che la fantasia usa lo stesso metodo, e sottolinea proprio la parola metodo, di altre facoltà: per esempio dell’invenzione, o della creatività. E dunque: che cos’è questo metodo? Questo metodo, dice Munari, risiede nel “creare relazioni tra gli elementi conosciuti”.
Dunque la persona, prima di tutto, è invitata a “costruirsi” delle informazioni attraverso la sperimentazione che avviene nel laboratorio e nel vissuto quotidiano. Nel laboratorio di Munari posso esplorare un materiale, una tecnica, per scoprire tutto quello che si può fare. Questo mi dà la possibilità di “costruirmi” delle informazioni. Ma se queste informazioni rimanessero ferme, non utilizzate in nessun progetto – Munari dice “come un magazzino di dati inerti” – non servirebbero a nulla. Dunque l’importante è creare una situazione, un'attività che inviti ciascuno a creare relazioni tra queste informazioni, relazioni che poi portano a progettare, costruire, immaginare un qualcosa di nuovo.
Questo “qualcosa di nuovo” non deve essere necessariamente finalizzato, perché può essere anche qualcosa di cui ancora non immaginiamo un uso possibile. Munari dice: quando un oggetto è così preciso, descritto, come un trompe-l’oeil, non stimola il soggetto come un’immagine che invece può essere tante cose, per esempio un ippopotamo o una cavalletta. Massima apertura, dunque, verso materiali “imperfetti”, semplici e più vari possibile, in modo che il bambino possa realizzare sperimentazioni diverse. A livello educativo, inoltre, occorre tempestività: se un bambino riceve un’educazione che lo invita a vedere quello che si può fare con le cose fin da piccolo, è verosimile che manterrà questa attitudine per sempre. Se, invece, già nei primi anni a un bambino si dice: “Stai attento, No!... Si deve fare così, si deve fare cosà!... Il cielo è sempre azzurro... Il pulcino è sempre giallo... La mela è sempre rossa...”, quel bambino avrà poche possibilità di emancipare i propri pensieri, di contemplare le infinite variabili, di costruire i propri apprendimenti...

Tornando all’intervista del 1997, Munari dice che la creatività è “ricerca sincera di varianti”. Come possiamo tradurre, anche per il mondo della scuola, questa definizione?

Questa frase sulla creatività è molto bella e mi permette di precisare la risposta sul metodo che ho dato prima, perché ogni parola della frase è un elemento di metodo. La parola “ricerca” ci porta all'approccio scientifco, così vicino all’attenzione di Munari, che ha sempre cercato di analizzare ogni aspetto, di non dare nulla per scontato. L’atteggiamento del ricercatore è l’atteggiamento di colui che con curiosità guarda a tutte le espressioni che il mondo gli presenta. E Bruno Munari aveva fatto suo questo atteggiamento, manifestato anche con la grande attenzione che ha sempre riservato al mondo della natura. Per tutta la vita Munari osservò la natura, i suoi processi, i suoi cambiamenti, le sue variabili e io credo che dalla lezione di Munari ci venga anche lo stimolo di tornare alla natura con uno sguardo di stupore per tutto quello che ci può insegnare.

Questa ricerca, dice Munari, deve essere “sincera”. Una ricerca sincera è una ricerca “vera”. Dal nido all’università proponiamo ricerche viziate, non vere ogni volta che si dà il risultato per scontato. Per esempio: se provo a fare un’esperienza di mescolamento dei colori, come il blu e il giallo, so bene che il risultato sarà il verde, ma non posso fermarmi lì. Infatti quante variabili ci possono essere in quell’esperienza, a partire dall’intensità e tipologia dei pigmenti, da quanto blu e quanto giallo metto, dal materiale su cui spalmo, spremo o stendo il colore? In questo senso la dimensione della ricerca deve essere “sincera”. Perché la dimensione della ricerca “sincera” coinvolge, appaga l’individuo e, soprattutto, diventa realmente generativa di nuovi saperi. La ricerca non deve essere millantata, su questo dobbiamo essere molto attenti. Come il laboratorio: deve essere il luogo della ricerca, non può essere il luogo del “facciamo finta che facciamo la ricerca”. Ormai anche intorno alla parola “laboratorio” è andato un po’ a perdersi questo elemento costitutivo della ricerca: dobbiamo rileggere il senso delle parole, ritornare al loro significato come definizione di azioni realmente congruenti. “Ricerca sincera di varianti”, dice Munari. Ecco, qui entriamo nell’orizzonte molto creativo del “quanti ce ne sono” e del “come sono”. Proviamo a immaginare delle domande: un sasso: quanti ce ne sono di sassi?; è rosso: quanti ce ne sono di rossi?; fino a quando questo materiale che è rosso è rosso, e quando invece da rosso diventa scuro scuro, e forse stiamo passando nel marrone? La ricerca delle varianti mi “apparecchia davanti” le possibilità del mondo, ma insieme mi descrive anche i suoi confini, portandomi in quel territorio dello “sfumato” dove posso descrivere un fenomeno con un’esattezza che non è solo mero dato, numero, definizione ma consapevolezza del mondo. Entrare in questo tipo di processo significa prendersi in mano il gusto, la gioia dell’apprendere. E sarà proprio ritornando a questa gioia che potremmo dare ai nostri studenti una grande chance. Si tratta di un movimento da compiere all’insegna del festina lente, dove l’investimento nell’educazione, oggi, è l’azione più importante che possiamo fare.

L'attualità del metodo Bruno Munari nella didattica museale

Bruno Munari non fu soltanto un grande artista e designer italiano del XX secolo, formatosi nell’ambito del futurismo milanese e romano; a lui si deve anche l’ideazione di un metodo tuttora utilizzato nell’ambito della didattica museale, in particolare nei musei d’arte, e che da lui prende il nome. Munari, infatti, oltre che artista, è stato anche uno studioso, docente di psicologia dell’educazione presso l’università di Ginevra. Il suo primo laboratorio per i bambini fu creato nel 1977 nella Pinacoteca di Brera. La finalità che si proponeva era insegnare ai giovanissimi visitatori come guardare l’opera d’arte, vivendo questo momento come un’esperienza irripetibile.  Può sembrare un’impresa apparentemente ardua per un bambino, ma in realtà non è così perché il linguaggio usato è proprio il più simile a quello dei bambini. Essi esplorano per natura ogni cosa e così non è difficile aiutarli a scoprire materiali, caratteristiche e tecniche delle opere. In pratica è l’esperienza che porta il fanciullo alla comprensione e al discernimento. Il principio didattico su cui si basa il metodo Munari è dunque: "non dire cosa fare ma come". Esso, inoltre, trae ispirazione dalla pedagogia attiva di Maria Montessori ed anche dello psicologo e pedagogista svizzero Jean Piaget. Le «azioni didattiche» di Munari coinvolgono il bambino attivamente e globalmente soprattutto attraverso il principio dell’educazione al tatto. Gli operatori, pertanto, non suggeriscono alcun metodo perché sono gli stessi fanciulli che si costruiscono autonomamente il loro modo di osservare, capire, costruire, riprodurre, ispirandosi alle opere d’arte di ogni epoca. Il metodo Munari si basa su tre azioni successive: “osservare”, “fare” e “riflessioni sul fare”. Dopo aver osservato le opere, quindi, i bambini sperimentano essi stessi l’uso dei materiali e delle tecniche e infine, terzo e ultimo passaggio, creano delle storie ispirandosi ai loro stessi lavori. Basandosi su tale metodo, Munari creò numerosi altri laboratori dopo quello di Brera. Si ricordano i Laboratori Tattili realizzati in occasione della mostra Le mani guardano, nel 1979, e Giocare con l’arte, durante una mostra antologica dello stesso Munari, nel 1986/87, entrambe presso il Palazzo Reale di Milano; Giocare con la natura, al Museo di Storia Naturale di Milano, nel 1988; il Lab-Lib, ovvero il “laboratorio liberatorio”, presso il Museo Pecci di Prato, nel 1992. Le attività inizialmente proposte nel laboratorio di Brera ai bambini delle scuole elementari furono estese, in seguito, anche ai bambini delle materne, agli studenti delle medie e in alcuni casi a quelli delle superiori. Attualmente l’Associazione Bruno Munari, fondata nel 2001, tre anni dopo la scomparsa del Maestro, e che si propone di promuovere e di sviluppare ancora oggi il metodo Munari, rivolge i propri laboratori anche agli adulti. La principale attività resta quella di diffondere i principi ispiratori e le tecniche di questo metodo pedagogico nelle scuole, nei musei e nelle biblioteche. Poiché l’applicazione del metodo necessita di operatori specializzati, l’Associazione Bruno Munari svolge anche attività formative rivolte in primo luogo a insegnanti, educatori, formatori ed operatori culturali. A Milano è stato recentemente creato il “MunLab”, uno spazio permanente per conoscere e sperimentare il Metodo Bruno Munari, che collabora anche con la rivista Focus Junior. Un MunLab è stato istituito anche presso l’Ecomuseo dell’argilla, a Cambiano, in provincia di Torino. Ulteriori informazioni sono reperibili sul sito dell’Associazione Bruno Munari, www.brunomunari.it,  dove è possibile reperire anche una bibliografia completa, e in quello del MunLab, www.munlab.it.

Caterina Pisu (ArcheoNews, rubrica Musei e Biblioteche, febbraio 2011)

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