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Quale futuro per i musei civici e per i piccoli musei?

A proposito della creazione dei poli e dei sistemi museali regionali 

Un articolo di Ledo Prato del 26 febbraio scorso, comparso su Il Giornale delle Fondazioni, fa il punto sul futuro che potrebbe attendere i musei civici italiani a seguito della Riforma Franceschini. Vorrei esporre qui alcune mie considerazioni in merito all’argomento trattato. Quando si parla di politiche museali che propongono modalità di accentramento delle scelte gestionali e culturali, mi invade un vivo senso di preoccupazione in quanto il rischio è sempre quello di una perdita della capacità di produrre cultura in modo indipendente e senza i filtri di organi istituzionali sovrastanti. Non intendo dire, con questo, che i sistemi museali siano una scelta sempre negativa, ma dipende da che cosa si intende con questo termine. Se significa essere inquadrati in un rigido sistema gestionale che impone solo standard generali e che inibisce le iniziative dei singoli, allora ritengo che i sistemi museali siano una scelta negativa; se invece sono utili soprattutto per dare vita ad occasioni di confronto e a progetti comuni, nel rispetto delle individualità e delle autonomie di ciascuna istituzione museale aderente, allora ben venga questa soluzione. Nell’articolo di Prato si parla della possibilità di un accorpamento dei musei locali ai Poli regionali, i quali - si legge - “possono favorire le relazioni con le diverse forme di autonomia che hanno assunto i musei civici e porre le basi per la realizzazione di politiche museali territoriali che ricompongono l’offerta a vantaggio dei cittadini e dei visitatori”. I Poli, in realtà, saranno inevitabilmente organismi fortemente accentratori, "la cui costituzione sarà promossa e realizzata dai direttori dei poli museali regionali sulla base di modalità di organizzazione e funzionamento del sistema museale nazionale stabilite dal Direttore generale Musei, sentito il Consiglio superiore “Beni culturali e paesaggistici” (vedi decreto musei). Non sembra poi così improbabile che un museo locale, inglobato in una struttura così complessa, gestita da una tale pluralità di soggetti, avrebbe poco margine di manovra e vedrebbe fortemente ridotta la propria indipendenza scientifica, culturale e gestionale. Oltretutto non è chiaro se tale soluzione porterebbe effettivi benefici dal punto di vista finanziario dato che nell’articolo di Ledo Prato si legge espressamente che sarà opportuno il ricorso alle associazioni e al volontariato “per la gestione dei servizi destinati alla fruizione e valorizzazione dei beni culturali, attraverso lo strumento delle convenzioni”. Mi chiedo, allora: qual è la novità? I musei civici non sono forse quasi sempre gestiti in economia dagli enti locali con il supporto del volontariato? Se questo è ciò che prevede l’appartenenza ad un Polo, si deve pensare che i vantaggi da questo punto di vista sarebbero pari a zero. 

Si specifica, poi, che “con atti successivi è possibile che siano meglio definiti i “servizi strumentali comuni destinati alla fruizione e alla valorizzazione di beni culturali” e si capirà se in questo contesto si potranno immaginare accordi che contemplino l’affidamento congiunto fra musei statali e musei civici dei servizi al pubblico (ex legge Ronchey) o quali saranno le procedure attraverso le quali si potrà pervenire alla costituzione di uffici comuni, obiettivo già inseguito senza successo nelle riforme a cavallo fra i due decenni che ci hanno preceduto”. Questo è l’aspetto più preoccupante della visione che viene prospettata nell’articolo di Prato. Sebbene in ambito statale si sia constatato che l’affidamento a società esterne dei servizi al pubblico ha prodotto quella nefasta divisione tra tutela e valorizzazione e, in generale, un appiattimento delle proposte culturali ed educative dei singoli musei, si vorrebbe includere anche i musei locali in questa strategia che ha già mostrato molti lati negativi. Ciò è paragonabile a voler annullare le singole voci di un coro che può essere melodioso solo se ogni corista potrà esprimere le proprie specifiche vocalità e tonalità. Può esserci bellezza in un suono piatto e indifferenziato? 

Continuando la lettura dell’articolo, a un certo punto l’Autore fa riferimento ai piccoli musei affermando che “per lungo tempo è prevalsa l’idea che occorresse una specifica politica per i piccoli musei e, in qualche caso, si è sostenuto che fosse necessaria una legislazione speciale che ne rispettasse le specificità. Probabilmente poteva essere una strada utile. Ma in un Paese dove tutto si ritiene che possa essere affrontato e risolto con il ricorso alla produzione di nuove leggi, con tutto ciò che ne consegue, dubito che sarebbe stata o sia una strada efficace”. Ora, chi ha seguito il dibattito museologico di questi ultimi anni sulle tematiche che riguardano i piccoli musei, sa che l’Associazione Nazionale Piccoli Musei fondata da Giancarlo Dall’Ara è stata la prima a focalizzare l’attenzione generale sulla necessità di una specifica politica per i piccoli musei. Stiamo parlando degli ultimi sei anni e bisogna anche precisare che finora nulla è stato fatto, a livello ministeriale, per discutere le proposte avanzate dall’Associazione. Non si può dire, quindi, che si tratti di un argomento ormai superato perché, al contrario, chi segue i convegni nazionali dell’APM sa che è ancora molto vivo e sentito e che si è tuttora in attesa dell’auspicato, diretto confronto tra le Istituzioni e i musei di ogni forma giuridica. Finché tutto ciò non sarà attuato, dunque, non è lecito affermare che la questione è ormai vecchia e superata. Certamente ritengo che, per i motivi sopra espressi, la soluzione ai problemi di gestione non possa essere la creazione di “reti museali di area vasta” e l’istituzione di “forme consortili non imprenditoriali per la gestione di uffici comuni” perché, al contrario di quanto prevede Prato e nonostante le migliori intenzioni dei legislatori, temo che proprio questo potrebbe invece marginalizzare i piccoli musei, in particolare quei musei che risultano “poco produttivi” dal punto di vista economico, dimenticando che i risultati che un museo deve garantire, in particolare un piccolo museo situato in aree poco interessate da grandi flussi turistici, devono piuttosto riguardare non il numero di biglietti staccati ma l’efficacia della sua azione culturale, educativa e sociale in seno alla propria comunità. Ciò può essere assicurato solo da professionalità che siano fortemente integrate nel tessuto sociale in cui operano, che siano in grado di conoscere profondamente le problematiche e le aspettative della comunità e che quindi sappiano adeguare le finalità del museo alle specifiche situazioni socio-ambientali. 
A che cosa potrà servire, allora, l’appartenenza ad un polo museale e la conseguente imposizione di direttive a istituzioni museali completamente diverse tra loro per tipo, forma giuridica e dimensioni? Si finirà con il peggiorare le stesse difficoltà che finora sono emerse con l’applicazione di standard generali a modelli museali eterogenei, alla fine privilegiando sempre la grande dimensione rispetto alla piccola. Da ciò era nata l’esigenza di normative specifiche per i piccoli musei che è stata appunto rimarcata dall’Associazione Nazionale Piccoli Musei.

Ritengo, dunque, che non si possa fare una proposta di tale impatto per il futuro dei piccoli musei e liquidare le criticità che potranno presentarsi lasciando al dopo “tutte le questioni sul futuro dei musei, sul loro ruolo, sulle innovazioni possibili, sul rapporto con i territori e le comunità, sul ruolo dei visitatori e così via”. Tutto questo, invece, deve essere discusso prima di ogni tentativo di riforma in modo da non incorrere in errori che potrebbero essere fatali per il futuro delle piccole realtà museali del nostro Paese.

Kenneth Hudson non sbagliava quando diceva che i grandi musei dovrebbero comportarsi come un insieme di musei piccoli perché aveva intuito che un museo di piccole dimensioni presenta dei vantaggi che ancora oggi troppo spesso la politica tende non solo a sottovalutare ma, ancora peggio, a considerare un problema, indirizzando così le proprie decisioni non verso la valorizzazione dei piccoli musei ma verso una loro trasformazione in musei grandi, accorpando, centralizzando, snaturandone l’essenza stessa e la vocazione.
Ci sono ambiti che non possono essere gestiti con una mentalità da banchiere. Sono quegli spazi, come i musei, che appartengono di diritto alla comunità ed è principalmente in ragione di questo legame che devono essere studiate le soluzioni più idonee. Se molti musei rischiano la chiusura è perché non si è lavorato per “essere amici del pubblico”, per riprendere un’altra frase di Kenneth Hudson. Tutto il resto è secondario, a cominciare dal numero dei visitatori che sembra essere la preoccupazione maggiore delle politiche culturali di sempre. Quando si inizierà a parlare meno di numeri e più di progetti realizzati, saremo sulla buona strada.

T-Essere Memoria conquista Parigi

Musées (emportables) 2016: spazio ai progetti che favoriscono l'accessibilità


La mia ultima partecipazione a Musées (em)portables come membro della giuria mi ha regalato una bellissima soddisfazione: vedere nuovamente vincente un video italiano. Dopo la vittoria del 2014 del Museo Archeologico Virtuale di Ercolano che presentò il video di Raffaele Gentiluomo, "Vesuvius making of" e vinse il premio per il miglior short-film straniero, quest'anno il progetto “T-Essere Memoria”, realizzato dall'Ufficio Beni Archeologici della Provincia Autonoma di Trento, ha vinto un premio particolarmente importante: l'ICOM-Musée pour tous, il premio speciale voluto dall'Icom per promuovere l'accessibilità nei musei. La mia presenza alla premiazione in qualità di rappresentante dell'Associazione Nazionale Piccoli Musei è stata, pertanto, per me doppiamente importante in quanto nella mia collaborazione con l'APM ho potuto sviluppare due tematiche che quest'anno sono state, insieme, il filo conduttore anche del festival francese: la promozione visuale dei musei (dal documentario allo short-film, allo spot, al trailer) e l'accessibilità.  
I tre film che hanno ricevuto gli ambiti riconoscimenti Icom per le produzioni audio-visive che hanno descritto più efficacemente il rapporto tra i musei e il pubblico con ridotto accesso alla cultura (fasce sociali svantaggiate, persone con disabilità, nuovi immigrati, residenti nelle zone rurali, ecc.), sono stati:

T-essere Memorie, incentrato sul programma di attività per i malati di Alzheimer svoltosi nel 2015 presso il Museo delle Palafitte di Fiavé, in provincia di Trento. 

Il secondo premio è stato assegnato al film Quand l'art sert d'union, che descrive un progetto educativo presso il Museo Nazionale di Scultura di Valladolid, in Spagna, per persone affette da malattie mentali che hanno potuto lavorare come guide nel museo per un giorno. 

Il terzo premio è andato a Piquer une tête, realizzato da un gruppo di adolescenti in gravi difficoltà scolastiche e sociali di Marly, nel nord della Francia, durante una visita al Musée des Beaux-Arts di Valenciennes.

La premiazione si è svolta presso la Cité de la mode et du design, a Parigi, lo scorso 13 gennaio. Anne-Catherine Robert-Hauglustaine, direttore generale di ICOM, ha assegnato i premi ai tre film vincitori della sezione speciale. Per l'Italia hanno ritirato il premio Luisa Moser, dell'Ufficio beni archeologici della Provincia Autonoma di Trento, ed Emanuela Trentini della APSPMargherita Grazioli di Trento.

Anne-Catherine Robert-Hauglustaine, Icom

I premiati

I film vincitori del Premio Museés Emportables sono stati: 

- primo premio a "HDA", video realizzato dagli studenti del Liceo Saint Paul di Lille nelle sale del Palazzo delle Belle Arti.
- secondo premio a "Pourquoi le noir ?" di Zoé Tibloux e Ismael Mounime.
- terzo premio al video del museo cecoslovacco, Regionální muzeum a galerie di Jičíně, intitolato "Muséum spot 2".


La premiazione 

Musées (em)portables si svolge ogni anno in occasione del SITEM, il Salon des Musées des lieux de culture et de tourisme.
Ringrazio il Presidente di Museumexperts e commissario generale di SITEM, Jean François Grunfeld, per avermi voluta nella giuria per tre anni consecutivi. E' stata un'esperienza particolarmente bella e arricchente che ha accresciuto il mio interesse per il video making, gli short films e il cinema documentaristico. 

SITEM 2016

Il progetto T-essere memoria:

Il progetto “T-Essere Memoria”, attuato da febbraio a giugno 2015, ha coinvolto un gruppo di 12 malati di Alzheimer ospiti dell'Azienda Pubblica di Servizi alla Persona di Povo (dotata di un nucleo specializzato rivolta a questo tipo di pazienti). Il percorso sperimentale è stato proposto dai Servizi Educativi dell’Ufficio beni archeologici della Soprintendenza per i beni culturali nell'ottica di aprire le porte del Museo delle Palafitte di Fiavé ad un pubblico che difficilmente in questa fase della vita viene accompagnato in museo o partecipa a laboratori archeologici. Sono stati condotti sei incontri con laboratori pratici e un'uscita finale presso il museo. Il primo momento di confronto è stato finalizzato alla conoscenza reciproca, indispensabile per prendere confidenza ed instaurare un rapporto di fiducia sia con l'educatore che con gli altri partecipanti. Negli incontri successivi, partendo da copie di reperti appositamente selezionati, si è dato ampio spazio all'osservazione, alla manipolazione e alla discussione, in modo da mettere in atto la stimolazione cognitiva e la valorizzazione delle abilità residue. Ogni partecipante ha potuto toccare, osservare, riconoscere alcuni oggetti, fare supposizioni, cercare di portare a galla ricordi o antichi gesti. Reperti molto semplici, essenziali ma ricchi di significato, utili per stimolare la memoria dei partecipanti.
Attraverso l’interazione diretta con i reperti, si è cercato di sollecitare lo scambio di idee, di far scaturire ricordi ed esperienze personali e di mettere in relazione il proprio vissuto con i materiali e gli oggetti archeologici. Sono stati inoltre proposti, partendo dalle attività documentate dagli archeologi a Fiavé, laboratori di tessitura, lavorazione dell'argilla e preparazione del burro. Tutte le pazienti hanno partecipato volentieri (aspetto non scontato per chi soffre di Alzheimer), si sono messe in gioco, hanno saputo riprodurre, con estrema facilità e grande attenzione antichi gesti, dimostrando come alcune abilità, quali il "saper fare", la manualità e la creatività permangano nonostante la malattia, se adeguatamente sollecitate. I laboratori pratici sono risultati esperienze stimolanti, emotivamente coinvolgenti e piacevoli, che hanno permesso di accedere a personali memorie e saperi, di potersi mettere in gioco, sperimentare le proprie abilità e anche aumentare la propria autostima.
La visita al Museo delle Palafitte e all'area archeologica ha concluso il percorso: uscire dalla struttura protetta per andare in un posto nuovo e sconosciuto è stato un momento arricchente e ha assunto anche un valore particolare. Il museo si è dimostrato infatti un luogo ricco di stimoli dove le partecipanti hanno mostrato grande capacità di osservazione, anche di particolari che sfuggono ai più. Si sono sentite a loro agio, libere di muoversi, di esprimersi, di toccare, di fare domande e di veder esaudite le loro curiosità. Momenti dedicati a laboratori pratici, alla creatività e la visita ad un museo, possono dunque influenzare positivamente la qualità della vita di un paziente affetto da Alzheimer.
L’esperienza fatta ha confermato che il museo, se reso fruibile e “partecipativo” può avere un ruolo sociale e può aiutare nel decorso della malattia a migliorare la qualità di vita dei pazienti ma anche di chi si occupa di loro, i care giver, i quali si trovano a condividere questa devastante patologia.
Il Gruppo di lavoro che ha seguito il progetto è composto da Luisa Moser (responsabile dei Servizi Educativi dell’Ufficio beni archeologici, Soprintendenza per i beni culturali), Roberto Maestri, Alberta Faes e  Emanuela Trentini (animatore, fisioterapista e educatore della APSP di Povo).
I risultati positivi di questo innovativo percorso hanno consentito di coinvolgere altre APSP del Trentino (S.Croce nel Bleggio, S.Spirito a Pergine Valsugana, Pinzolo, Condino, Pieve di Bono e Storo) dove nei prossimi mesi sarà riproposto il progetto con incontri, laboratori e visite al sito archeologico e al Museo delle Palafitte di Fiavé.

Arrivederci a Massa Marittima!

Il VI Convegno Nazionale dei Piccoli Musei sta per iniziare. Vi aspetto a Massa Marittima il 2-3 ottobre!


Tutte le informazioni a questo link. E se non potrete essere presenti e volete seguirci su Twitter, tenete d'occhio l'hashtag #convegnoapm!

In attesa del Sesto Convegno Nazionale dei Piccoli Musei



Mancano 32 giorni al Sesto Convegno Nazionale dei Piccoli Musei, il momento più atteso per tutti coloro che seguono l’attività dell’APM perché si tratta di una delle poche occasioni in Italia in cui si pone l’attenzione sulle realtà “minori” e “periferiche” del patrimonio museale nazionale. 
Si parla, però, non di un ambito minoritario, ma del 90% circa dei musei italiani; per questa ragione ci sorprende che di essi si discuta così poco: forse la causa è da individuarsi nel fatto che le politiche culturali sono in genere più orientate verso quelle istituzioni museali che meglio rispondono al bisogno di valorizzazione piuttosto che di tutela, di grandi numeri anziché di conservazione dei patrimoni locali. Allora forse noi siamo in controtendenza ma nonostante questo i nostri convegni attirano ogni anno un gran numero di uditori, fatto che dimostra che in realtà l’interesse intorno ai piccoli musei è molto alto.

Il nostro convegno è un’occasione di reciproco scambio perché non solo si discute di tematiche che riguardano la gestione dei piccoli musei, ma perché si cerca anche di dare voce a chi vi lavora. Conoscere questi che spesso definisco “casi studio” ma che forse sarebbe più corretto indicare come “storie di persone e di comunità”, sempre coinvolgenti e sorprendenti, è essenziale per comprendere la necessità di preservare questi luoghi, importanti non per il numero di visitatori ma soprattutto per la loro missione culturale e sociale.  

Gli esempi sono i più svariati: negli anni passati sono state presentate le esperienze di musei statali, regionali, civici, privati, gestiti da fondazioni e da associazioni; musei dislocati tanto in piccole città quanto in grandi centri. Il concetto di “piccolo museo” può essere applicato in molti casi e proprio su questo tema si sta svolgendo, ormai da due anni, una ricerca interna all’APM che condurrà alla definizione formale di “piccolo museo” e che potrà essere un punto di riferimento per gli studi futuri in questo ambito.

Grazie per i piccoli musei!” ha scritto un ex direttore di un piccolo museo americano, Frederick A. Johnsen, sul sito Museumerica. Si riferiva alla sua visita del Baker Heritage Museum, commentando così il suo entusiasmo: “Il Baker Heritage Museum esemplifica la gioia dei musei, puri e semplici. Le sue esposizioni e i diorami sono la prova che apprendimento e divertimento si possono trovare anche nei piccoli musei delle più piccole comunità. La mia visita mi ha ricordato di non trascurare musei come questo durante i miei viaggi attraverso il Paese”.

E’ lo stesso invito che anche noi dell’APM rivolgiamo a tutti coloro che ci seguono: non trascuriamo questi piccoli luoghi culturali perché molto spesso ci riservano emozioni ed esperienze non inferiori a quelle dei musei più noti e frequentati.

Vi aspettiamo a Massa Marittima, Palazzo dell’Abbondanza, il 2 ottobre dalle ore 15 e il 3 ottobre dalle 9.30.

Il Brasile dei musei: una primavera di iniziative su tematiche sociali

Ogni anno, dal 2007, in Brasile viene lanciata la Primavera dos Museus, la “Primavera dei Musei”, coordinata dall’Ibram – Instituto Brasileiro de Museus con la collaborazione di tutte le istituzioni museali del Paese che vorranno aderire. Quest’anno si svolgerà la nona edizione (i musei potranno registrarsi fino a domani, 21 agosto). 
Durante questo periodo si svolgeranno seminari, mostre, laboratori, spettacoli, tavole rotonde, visite guidate, proiezioni di film. 
L’immagine utilizzata quest’anno per pubblicizzare la Primavera dos Museus raffigura lo sciamano Itsaltako dell’etnia Waura, dal villaggio di Wuará Piyulaga in Alta Xingu (MT), fotografato da Renato Soares nel 2013.



Nel corso delle otto edizioni precedenti, la partecipazione dei musei brasiliani ha avuto una crescita media del 18% l'anno, così come il numero di eventi registrati è aumentato del 21%. Già la prima edizione del 2007 riscosse un ottimo successo, registrando l’adesione di 300 musei e la segnalazione di 874 eventi.

Ogni anno, l’Ibram propone un tema diverso intorno al quale vengono progettate le attività dei musei. Quest’anno il tema sarà "Musei e Memorie indigene". Gli eventi avranno luogo tra il 21 e il 27 settembre.

L’obiettivo di questa iniziativa è promuovere, diffondere e valorizzare i musei brasiliani, aumentare la partecipazione del pubblico, migliorare il rapporto dei musei con la società.

Nell’ambito dei musei brasiliani c’è una particolare attenzione per le tematiche sociali. Il Paese, infatti, ha sempre convissuto con le problematiche legate alle enormi disuguaglianze sociali nella distribuzione della ricchezza e del territorio: penso, per esempio, alle condizioni di vita critica nella favelas sorte intorno ai grandi agglomerati urbani, ai meninos de rua o all’oppressione degli Indios. I programmi di inclusione sociale, quindi, permettono di creare migliori condizioni di vita, favorendo non solo un più facile accesso alla cultura ma anche la conservazione delle culture proprie delle minoranze e delle tradizioni locali, ponendo l’accento anche su temi difficili, come i diritti umani e la lotta alla povertà e alle discriminazioni. 
I musei possono svolgere un compito fondamentale per il raggiungimento di questo obiettivo in quanto, essendo ambienti educativi informali, possono aiutare più facilmente le persone ad avvicinarsi alla cultura e all’istruzione senza timore, primo passo per il riscatto sociale e per accendere la speranza di costruire un futuro migliore. (Vedi Guilherme Cordeiro da Graça de Oliveira , Cássia Curan Turci , Brunno Martins Teixeira , Ediléa Mendes de Andrade Silva , Ivie Soares Garrido and Rafael Silva Moraes , « Social inclusion through access to heritage culture and education in an informal environment », Field Actions Science Reports [Online], Special Issue 3 | 2011, Online since 19 April 2013, connection on 20 August 2015. URL : http://factsreports.revues.org/2534).

Già tra il 2003 e il 2006, Il Ministero della Cultura brasiliano aveva elaborato le prime iniziative concrete per una politica nazionale del settore dei musei orientata verso i temi sociali. Nel Maggio 2003 è stato presentato un dossier su “I Musei Nazionali, la Memoria e la Cittadinanza”.  Lo scopo di questa nuova politica dei musei era quello di “promuovere il riconoscimento, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale brasiliano”.  Oggi questo dossier è considerato uno dei più importanti strumenti per la promozione dell’inclusione sociale e della cittadinanza attraverso lo sviluppo e le rivitalizzazione delle istituzioni museali esistenti (Julio Francisco, “Brazilian Museology and the sustenable museum management, https://www.academia.edu/4956743/BRAZILIAN_MUSEOLOGY_AND_THE_SUSTENABLE_MUSEUM_MANAGEMENT).

Il tema che quest’anno è stato proposto ai musei partecipanti alla Primavera dos Museus continua su questa linea e spinge per l’integrazione delle fasce sociali più povere e per il rispetto delle minoranze.

Sono molto felice di poter avere l’occasione, a ottobre, di conoscere più da vicino un museo brasiliano molto interessante, il Museu de Favela – MUV, di Rio de Janeiro,  in occasione della prossima edizione di #smallmuseumtour, su Twitter, l’iniziativa che ho ideato nell’ambito dell’AssociazioneNazionale Piccoli Musei e che ho il piacere di coordinare insieme alla collega Ilenia Atzori. Sarà una preziosa occasione per dare seguito alle relazioni con i musei brasiliani, iniziate nel 2013, a seguito dell’incontro con José do Nascimento Jr., allora Presidente dell’Ibram, e proseguita lo scorso anno con la partecipazione al Quinto Convegno dell’Associazione Nazionale Piccoli Musei della delegazione brasiliana composta dagli amici Vanessa De Britto, funzionaria dell’Ibram, Cinthia Maria Rodriguez Oliveira (responsabile del coordinamento di Museologia sociale ed educazione), e da Ricardo Alfredo de Carvalho Rosa (direttore del Museu do Ouro di Sabará). 

Associazione Nazionale Piccoli Musei e Artribune insieme per dare voce ai piccoli musei




L’APM ha stipulato un accordo con Artribune, importante testata di arte e cultura contemporanea, con la più ampia e diffusa redazione culturale del Paese (conta 250 collaboratori in tutto il mondo), per dare vita ad una partnership che prevede le seguenti azioni:
- Artribune sarà il referente editoriale dell’APM per il Convegno Nazionale del 2015 e per quello del 2016;
- pubblicazione su Artribune di notizie che riguardano l’attività istituzionale dell’APM;
- promozione di ‪#‎smallmuseumtour‬, diffusione delle date e dei nomi dei musei partecipanti;
- pubblicazione settimanale su Artribune di notizie selezionate ed innovative attinenti i piccoli Musei Italiani;
- pubblicazione mensile di un servizio, in esclusiva editoriale, su un piccolo Museo con immagini e con una intervista.
Invitiamo, pertanto, i Piccoli Musei, soci e non soci, che seguono le attività dell’APM, a collaborare, inviandoci settimanalmente notizie che riguardano i propri musei (mostre, convegni ed altre attività culturalmente rilevanti e significative) a questo indirizzo di posta elettronica.
Vi invitiamo, inoltre, a iscrivervi alla Newsletter e a seguire la Pagina Facebook di Artribune per rimanere sempre aggiornati.

Musées (em)portables per raccontare i musei in video



Al via la quinta edizione di Musées (em)portables, il festival francese ideato da Museumexperts, che invita chiunque lo desideri a realizzare dei video di non più di tre minuti con un dispositivo mobile (un cellulare, un tablet, qualsiasi strumento di ripresa non professionale).
Perché Musées (em)portables? Perché in un mondo in cui le mode che hanno invaso i nuovi canali di comunicazione sociale (vedi flashmobs, selfies, etc.) sembrano limitare fortemente la creatività personale, indirizzandola verso azioni di gruppo omologate e standardizzate, far emergere la creatività e l’intelligenza dei singoli appare come un autentico rinnovamento culturale.
Negli ultimi decenni, inoltre, si è esaltato molto il ruolo della tecnologia nella nostra vita quotidiana, forse troppo, anche se è vero che molti strumenti, come il telefono cellulare, i tablet e i pc, hanno portato indubbi benefici (e anche qualche effetto negativo). Tuttavia, dobbiamo sempre ricordarci - come si legge nel sito di Museumexperts - che “l’intelligente non è il cellulare, ma la persona che lo utilizza”. Quindi tutto deve essere ricondotto alla persona. Non facciamoci “guidare” dalle tecnologie, ma “guidiamo” noi le tecnologie: questo è il concetto che è alla base di Musées (em)portables, di cui ho il piacere e l’onore di far parte ormai da tre anni in rappresentanza dell’Associazione Nazionale Piccoli Musei, e in cui da due anni faccio anche parte della giuria che seleziona e attribuisce i premi ai migliori video partecipanti.

La quinta edizione – come è stato annunciato dagli organizzatori – vede una importante novità che renderà il festival un evento pubblico mondiale: ICOM, in collaborazione con Louvre pourtous, ha creato un premio speciale, il Premio ICOM-Musée pour tous, destinato alle creazioni audio-visive di quelle fasce sociali che solitamente sono penalizzate a causa di un ridotto accesso alla cultura (fasce sociali deboli, persone con disabilità, nuovi immigrati, residenti nelle zone rurali, etc.). Una decisione di grande importanza che aumenterà il già alto valore di Musées (em)portables.

Le modalità di partecipazione al festival restano le stesse degli anni passati. Il concorso è aperto a tutti, ai singoli come ai gruppi, senza alcun limite. Possono partecipare coloro che semplicemente amano i musei, coloro che vi lavorano o semplicemente coloro che desiderano trarre spunto da un museo per lanciare il proprio messaggio per immagini e suoni.
Invito vivamente a partecipare anche dall’Italia con le vostre creazioni, ma ricordo che i video (chi ha seguito il festival negli anni passati, se ne è reso conto) non dovrebbero avere la finalità di promuovere un museo, o almeno non dovrebbero farlo in un modo privo di originalità, ma essere, piuttosto, delle opere veramente creative, cioè dei piccoli film che raccontano delle storie, che trasmettono dei messaggi. 
Prima di cimentarvi in qualsiasi realizzazione suggerisco di vedere qui i video che sono stati presentati negli anni scorsi. 





Qui, invece, per chi è profano in materia di sceneggiatura, qualche consiglio su come realizzare un video efficace.

Il regolamento è disponibile in inglese e in francese. Il termine per l’invio dei filmati quest’anno è il 1 Dicembre 2015. Attenzione, perché dopo questa data i video non saranno più presi in considerazione!

Come ogni anno, tutti i film selezionati dalla giuria saranno proiettati ininterrottamente durante il Sitem, il salone internazionale dei musei, delle esposizioni e delle tecniche museografiche, in programma dal 12-14 gennaio 2016, a Parigi, presso il centro di moda e design Les Docks. Saranno poi resi disponibili, in tutto o in parte, sul sito di Museumexperts.

Non è necessaria alcuna registrazione preventiva. E’ sufficiente unire il modulo http://www.museumexperts.com/pdf/BulletinInscription2016.pdf al vostro video e inviarlo al seguente indirizzo:

Museumexperts
18 rue de la Michodière - 75002 Paris

Ricordarsi di unire anche i moduli firmati per le autorizzazioni relative ai diritti d’autore:

La cerimonia di consegna dei premi avverrà il 13 gennaio 2016.

Il Grand prix du jury ammonta a €2000. Il secondo e terzo classificato avranno ciascuno un premio di €1000.

Il premio speciale di ICOM-Musée pour tous, che godrà, tra l’altro, di una vasta distribuzione attraverso i vari canali internazionali di ICOM, ammonterà a €1000 per il miglior film e €500 per il secondo e terzo classificato.

Vinum, storia del vino nell'Italia antica

In occasione dell'edizione speciale di #smallmuseumtour, dedicata al tema "I musei, il cibo, l'alimentazione", patrocinata da Expo Milano 2015, Maurizio Pellegrini, responsabile del Laboratorio di Didattica e Promozione visuale della Soprintendenza Archeologia del Lazio e dell'Etruria meridionale ci ha fatto omaggio del suo documentario "Vinum, Storia del vino nell'Italia antica", espressamente ridotto e adattato per la visione su Twitter durante #smallmuseumtour.
Buona visione!

Les petits musées italiens durant la #MuseumWeek: un modèle de communication active et interactive



 Après la conclusion de #MuseumWeek 2015 il y a un mois, il me semble opportun de faire un bilan de cet important événement qui, comme beaucoup d’experts et de médias ont largement souligné, a connu un plus grand essor par rapport à la première édition de 2014, intéressant plus de 2800 musées dans 77 pays différents. Voire 259 adhésions sont arrivées de l’Italie, soit quatre fois plus qu’en 2014. Dès la première édition de #MuseumWeek on avait relevé un intérêt accru des musées italiens pour la communication 2.0 et les données de cette année ont confirmé cette tendance. Il s’est agi d’une présence remarquable non seulement numériquement mais aussi, bien souvent, très incisive. Les données diffusées par les organisateurs de #MuseumWeek au cours de cette manifestation ont mis en évidence les dix musées qui ont tweeté, rétweeté et répliqué le plus ; parmi ceux-ci il y a quatre musées italiens : à la première place le Site Archéologique de Massaciuccoli Romana, à la deuxième place l’Antiquarium de Porto Torres, à la huitième place le Musée de l’Horlogede Bergallo, à la dixième place le Musée Archéologique du District Minier de Rio nell’Elba. L’Association Nationale des Petits Musées (APM – qui l’année dernière était l’une des trois premières institutions culturelles les plus actives de cette manifestation), cette année, grâce au dédoublement de son compte en @piccolimusei et @piccolimusei2, a joué également un rôle important, surtout d’impulsion et de dialogue, pour s’établir même comme l’un des comptes les plus mentionnés (http://www.socialmeteranalysis.it/museum-week-2015-twitter-contagia-i-musei/).

Il est intéressant de remarquer que trois des quatre musées du top dix, c’est-à-dire le Site Archéologique de Massaciuccoli, l’Antiquarium de Porto Torres et le Musée Archéologique du District Minier de Rio nell’Elba, avec d’autres musées très productifs durant la semaine des musées sur Twitter ou avec ceux qui ont également fait remarquer leur présence, ont été les protagonistes des deux éditions de #smallmuseumtour,  une initiative qui a été conçue par l’APM l’année dernière pour Twitter et qui a eu, parmi ses meilleurs résultats, celui d’avoir donné naissance à une communauté virtuelle de musées, de professionnels des musées, d’experts et d’amateurs, qui est encore très dynamique.

Lors de #MuseumWeek il n’a fallu donc mettre en place aucune stratégie commune. Le dialogue entre les musées s’est déclenché spontanément grâce à l’existence de ce « réseau » virtuel déjà consolidé. L’APM s’est donné comme objectif de jouer un rôle actif dans le dialogue en introduisant d’une part ses propres contenus et en relançant, d’autre part, les contenus produits par les musées eux-mêmes. Dans une manifestation de longue durée comme #MuseumWeek, à laquelle ont participé plus de 76.000 utilisateurs avec un flux d’environ 270.000 tweets, obtenir une visibilité était important. Sur les réseaux sociaux il ne suffit pas de poster des contenus, mais il faut interagir aussi. Cette forme de communication n’a de sens que si elle est bidirectionnelle/multidirectionnelle, sinon on risque de transférer sur les réseaux sociaux le même « modèle de gestion autoritaire » qui empêche la « communication et l’interaction culturelle et sociale » et surtout « la participation collective à la production d’une valeur culturelle » (Elisa Bonacini, v. http://piccolimusei.blogspot.it/2013/11/il-museo-partecipativo-sintesi-della.html).

Par conséquent, à mon avis et à la lumière de ces considérations, le type de communication adopté par les petits musées italiens a été bien conçu car il a favorisé le dialogue musée-musée et musée-followers, il a renforcé la communauté virtuelle préexistante et l’a élargie en incluant de nouveaux musées. Comme cela a été dit ici, la participation de beaucoup de followers aussi a été intense ; il s’est agi, pour la plupart, d’experts/connaisseurs de cette matière ou, quand même, de personnes qui sont très actives dans le domaine culturel et, en particulier, dans le secteur des musées.

J’ai déjà mis en évidence que les tweets et les répliques ont été vraiment nombreux, ainsi que les retweets, une fonction de Twitter qui n’est tout à fait pas banale et qui est extrêmement nécessaire dans une manifestation comme celle de #MuseumWeek, où l’on voulait d’un côté « amplifier » l’importance d’un tweet et, de l’autre côté, maintenir l’union et la participation de tout le réseau dans le dialogue en cours. La visibilité obtenue a été récompensée par l’attention de nouveaux followers qui se sont ajoutés au réseau existant. Il a été important de maintenir constant le flux de tweets et de retweets ; cela a entraîné un engagement considérable, puisqu’il a fallu couvrir jusqu’à 14 heures par jour. Des contenus, des dialogues informels, des images et des activités variées ont été distribués dans ce laps de temps considérable ; on a toujours maintenu un haut niveau d’intérêt général, la conversation a été agréable et jamais ennuyeuse, parfois amusante ; et il doit d’ailleurs en être ainsi dans un événement ayant les caractéristiques de  #MuseumWeek, qui a obtenu, en effet, une grande popularité auprès de ses followers. Les musées ont donné une nouvelle image de soi, plus proche des personnes, plus capable de dialoguer et donc moins « encadrée » dans leur rôle institutionnel.

Il est important de souligner que l’avantage des petits musées par rapport aux grandes institutions muséales (qui confient souvent la communication aux sociétés internes), c’est que la gestion des médias sociaux est mise en place, dans de nombreux cas, par le personnel des musées sans aucun type de médiation extérieure. Cela entraîne une communication plus libre, plus familière et plus immédiate dans l’interaction. Par conséquent, on peut affirmer que cette année un résultat exceptionnel a été atteint, non seulement en termes de participation mais surtout pour le grand changement que les petits musées en particulier sont en train d’apporter dans le but de s’ouvrir vers l’extérieur et de devenir des lieux de production culturelle et d’exploitation active et interactive.

L’aspect qu’on devra essayer d’améliorer, c’est la participation du public qui est plus en dehors du monde des musées : il s’agit d’un défi qui n’est pas facile, mais que les petits musées sont capables de relever par les stratégies appropriées, en commençant, par exemple, par une utilisation accrue des réseaux sociaux dans les relations avec les écoles.  

Compte tenu de la grande ouverture des musées vers la communication des réseaux sociaux, comme l’édition 2015 de #MuseumWeek a montré, les perspectives pour l’avenir sont sans aucun doute prometteuses.

Caterina Pisu
coordinatrice national de l'Association nationale des petits musées italiens

Anteprima di #smallmuseumtour speciale #EXPO Milano 2015

Domani, lunedì 4 maggio, alle ore 15, appuntamento su Twitter per l'anteprima di #smallmuseumtour, l'iniziativa social promossa da Associazione Nazionale Piccoli Musei: parleremo dei musei che parteciperanno, delle tematiche, della ultimazione del calendario in relazione ai mesi di giugno e luglio.
Ci sarà del materiale da vedere e soprattutto faremo in modo che anche l'anteprima si trasformi in un bel dialogo tra professionisti museali, studiosi e pubblico.

Come si salva un museo?

Dalla lettura di un post di Claire Madge, dal blog Tincture of Museum, alcune riflessioni sulla crisi dei musei




In questi giorni mi è capitato sotto gli occhi un articolo di Claire Madge, laureata in storia, bibliotecaria e volontaria in alcuni musei di Londra, tratto dal suo blog Tincture of Museum. In questi anni, Claire, già convinta sostenitrice dell’importanza dei musei per lo sviluppo intellettivo e psicologico dei bambini, quando è diventata mamma di una bambina autistica si è molto interessata alle tematiche che riguardano la cura dei bambini autistici con il supporto delle attività museali. Dopo aver lasciato il suo lavoro di bibliotecaria, ha scelto di entrare come volontaria in tre musei: il Museum of London l’Horniman Museum, come volontaria in progetti rivolti a migliorare l’accessibilità del museo per vari tipi di disabilità, e infine il Bromely Museum, in cui, dopo un inizio come volontaria generica, è riuscita ad inserirsi nei progetti che riguardano l’apprendimento e la partecipazione del pubblico. Purtroppo uno di questi musei, il Bromely Museum, rischia di chiudere e nell’articolo cui ho fatto cenno, la Madge riporta i punti essenziali di un dibattito cui ha partecipato e che avrebbe dovuto trovare delle soluzioni per evitare questa sfortunata eventualità.

Il Bromely Museum è un museo periferico di Londra che l’Associazione Nazionale Piccoli Musei includerebbe sicuramente nella categoria dei “piccoli musei”. Claire descrive bene la sensazione di inferiorità che l’essere “piccoli” fa nascere in quelle situazioni in cui bisogna confrontarsi con la dura realtà dei “conti”, della “produttività economica” applicata spietatamente e indifferentemente tanto a istituzioni gigantesche come il British Museum quanto a musei periferici che non sono nati per fare grandi numeri ma che sono stati creati soprattutto per rendere vitale e produttiva la cultura locale con particolare attenzione agli aspetti educativi e sociali. Così racconta:

«Fa sorridere partecipare ad un dibattito sul futuro dei musei regionali, nel cuore di Londra.  Il Courtauld Institute of Art ha voluto dar vita ad un ampio dibattito per trovare una soluzione alla crisi dei musei regionali. (…) ». Il Bromely Museum si trova nella Greater London, fa notare Claire, la stessa contea in cui si trova quella Londra che catalizza gli enormi finanziamenti dell’ArtsCouncil. I musei regionali, invece, non riescono a trovare finanziamenti. «Ci si sente come se si stesse per entrare nel sancta sanctorum in cerca di risposte».

Claire sa che il suo intervento sarà preceduto da quello dei “decisori” e lei, un po’ intimidita, si sente come una “novizia” che cerca di scoprire i misteriosi meccanismi del mondo dei musei. Ascolta tutti gli interventi con molta attenzione e non tutto è piacevole da apprendere per chi sta dedicando tutta la propria vita a uno di questi musei apparentemente “perdenti”.

Qualcuno afferma che non si potrà evitare la chiusura di alcuni musei, che non si può indorare la pillola e che bisogna guardare in faccia la realtà, che la risposta non può essere la filantropia, che c’è bisogno di nuovi modi di fare le cose, nuovi modelli di business per portare avanti il cambiamento. Claire pensa che se si taglierà il personale tutto questo sarà molto difficile o si pensa di farlo con un museo condotto esclusivamente da volontari? Come soluzioni si suggeriscono la ricerca di finanziamenti attraverso l’adesione a progetti universitari oppure la dinamicità delle collezioni, con frequenti cambiamenti, grazie a partenariati e collaborazioni.

Tutte le soluzioni proposte, osserva Claire Madge, sono a lungo termine mentre c’è bisogno di soluzioni immediate per scongiurare la chiusura dei musei regionali. Alla fine il colpo di grazia arriva dall’ultimo intervento, quello di Piotr Bienkowski, Museum Independent Consultant, il quale afferma che non tutti i musei dovrebbero rimanere aperti.  Se non riescono, quasi sempre la causa principale è la governance intrinsecamente debole e una scarsa comprensione degli aspetti finanziari della gestione.

Alla fine dell’intervento di Bienkowski, Claire si rende improvvisamente conto che tutto ciò che apprezza del Bromley Museum, il personale, il suo ruolo di volontaria, la sua fuga dalla realtà quotidiana, non sono più sufficienti per impedirle di vedere che il museo sta fallendo: questo, purtroppo, è il risultato di anni di declino. Da una indagine da lei condotta intervistando famiglie è risultato che il 90% di queste non sapeva dell’esistenza del museo. Nonostante ciò – riflette Claire – «io ho ignorato questo (…).  Ho lavorato spesso di sabato, i visitatori erano pochi e ancora ho scelto di non vedere.  Ho guardato ciò che c’era di buono, i progetti educativi, la passione del personale e mi sono rifiutata di vedere oltre. (…) Allora, qual è la risposta? Il Museo Bromley avrebbe potuto consolidare da solo il proprio “stato di salute” anni fa.  Avevamo bisogno di animare il dibattito sul cambiamento ben prima di arrivare sul ciglio del baratro.  Credo che sia stato Paul Greenhalgh a dire: “tenere aperta la porta è un lavoro per tutti noi e qualcosa che dovremmo fare insieme".  Ha ragione, naturalmente, ma abbiamo ancora bisogno di sapere come fare. Mentre lascio il dibattito, sento che stanno parlando di un altro museo sull'orlo della chiusura.  Il Bromley Museum non è l'unico e non sarà l'ultimo.  Ho imparato molto e mi è stata data una quantità enorme di spunti sui cui riflettere. Era ingenuo pensare che avrei trovato risposte immediate e soluzioni rapide.  Il dibattito mi ha fatto guardare la realtà alla luce fredda del giorno.  E forse questo è ciò che mi serviva più di qualsiasi altra soluzione».

Le conclusioni di Claire mi hanno indotta a tentare un confronto in particolare con la realtà del nostro Paese, tenendo conto che quando si parla di musei “in crisi” le situazioni sono le più varie e bisogna considerare le legislazioni, la natura giuridica, le finalità che si propone un museo e molti altri fattori discriminanti. In ogni caso ritengo che, pur nell’ambito di un necessario processo di autocritica (ed avendo ben presenti anche i casi - non pochi - di incuria da un lato e di vero e proprio abbandono da parte delle istituzioni dall’altro), le cause del “fallimento” di alcuni musei siano da ricercare non solo nelle responsabilità individuali e istituzionali, ma spesso nella inadeguatezza di un sistema generale di gestione che ha troppo “uniformato” i musei rendendoli poco interessanti. Afferma a questo proposito, Giovanni Pinna:

«(…) Ormai, nelle sale espositive di queste istituzioni, non sono più gli specialisti del museo che parlano al pubblico, ma anonime équipes specializzate nella realizzazione delle esposizioni, mentre il rapporto con il pubblico, la realizzazione delle guide o l’organizzazione delle manifestazioni pubbliche sono affidati ai cosiddetti “servizi culturali” che, di norma, operano autonomamente rispetto alla struttura scientifica dell’istituto. Il risultato di questa separazione è stato un inevitabile appiattimento dei contenuti delle esposizioni del museo e del loro significato culturale, poiché équipes specializzate nella didattica espositiva non possono che uniformarsi a un modello generale, che, proprio in quanto generale, non è mai rappresentativo di una specifica cultura. Il museo ha perso allora la propria conoscenza e la propria individualità a favore di questo modello generale, con il risultato finale che nei suoi rapporti con il pubblico ogni museo è divenuto uguale a ogni altro museo. Io ritengo che una delle ragioni dell’attuale debolezza politica e sociale dei musei – una debolezza pericolosa poiché conduce inevitabilmente il museo stesso a una debolezza finanziaria e quindi culturale, e la società alla perdita delle proprie radici – risieda nella separazione dei ruoli che porta alla perdita della cultura individuale di ciascun museo».

E in effetti, se pensiamo ai casi di “piccoli musei” di successo che sono a me famigliari grazie al mio lavoro nell’ambito dell’Associazione Nazionale Piccoli Musei, si può constatare che si tratta sempre di musei con una spiccata individualità e originalità: penso al Museo del Bottone di Santarcangelo di Romagna, al Museo della Bora di Trieste, al Museo del Precinema di Padova, solo per citarne alcuni e senza nulla togliere a numerosi altri che potrebbero essere citati come esempi.

E’ necessario ripartire, dunque, dal dato di fatto che i musei hanno bisogno di uscire da un anonimato imposto da metodi di gestione troppo uniformanti, in cui talvolta, soprattutto nel caso di reti e sistemi museali (quando sono organizzazioni rigide, con un'unica fonte di comunicazione, un unico sito uguale per tutti, stessa pianificazione delle attività didattiche, ecc.), conta più la struttura amministrativa e burocratica che gestisce i musei che non il singolo museo. Ciò produce appiattimento e quindi incapacità di rendersi attraenti agli occhi del pubblico grazie alla valorizzazione delle proprie specificità, legate alla natura delle collezioni, al luogo cui si è legati, alla comunità di riferimento.

Poggiandosi su una base solida - cioè su questo presupposto fondamentale che richiede autenticità, radicamento territoriale, originalità - si potranno innestare, poi, altre soluzioni, non escluse quelle che provengono anche dal settore dell’economia e del marketing, che aiuteranno a fare chiarezza sui “punti deboli” che impediscono ai musei di esprimere le proprie potenzialità.

A questo proposito, afferma Giancarlo Dall’Ara: «Modello gestionale inadeguato può significare inoltre che il museo ha personale insufficiente o demotivato, o propone orari di visita o "politiche di prezzi" sbagliati, una organizzazione degli spazi “fredda”, asettica e non accogliente, o adotta modelli espositivi di difficile comprensione. Oppure ancora i problemi possono essere nell’assenza di nuove competenze professionali oggi assolutamente necessarie (web, accoglienza, narrazione…), o nella visione autoriferita di alcuni responsabili. In sostanza credo si possa affermare che in Italia non esistano luoghi privi di interesse o musei privi di “attrattori”, esistono invece problemi di gestione, di sedi museali inadeguate, di mancanza di passione, di conoscenze, di competenze, di visione, di risorse, di umiltà».

Se il mondo dei musei, per primo, deve affrontare un’approfondita autoanalisi, anche le istituzioni e la società non possono sottrarsi a questo processo: solo se l’intera collettività rispetterà i musei, i grandi quanto i piccoli, quali “produttori di cultura”, ogni strumento destinato ad aumentarne l’efficienza si mostrerà efficace, accrescendo anche l’attrattività dei musei nei confronti del pubblico. Se, al contrario, si perderà di vista questo compito primario dei musei, questi appariranno inevitabilmente sempre inferiori alle aspettative e la misurazione della loro efficienza resterà circoscritta quasi esclusivamente al conteggio dei biglietti venduti. Infatti, raramente, soprattutto a livello di informazione mediatica, si focalizza l’attenzione su altri aspetti determinanti, come la qualità dei programmi culturali ed educativi e la capacità di essere presenti nella vita della società. Ciò non vuol dire, come afferma Giancarlo Dall’Ara, che non ci si debba porre il problema dell’assenza o della diminuzione di visitatori, ovviamente in relazione al proprio potenziale bacino di utenza, ma questo aspetto va inquadrato in una più ampia e articolata valutazione di tutta l’attività promossa dai musei.

 “Il museo non è un’azienda” scriveva qualche anno fa Salvatore Settis per il quale “la vera "redditività" (…) non è negli introiti diretti e nemmeno nell'indotto che esso genera (incluso il turismo), bensì in un senso di appartenenza che incide a fondo sulla qualità della vita, e dunque anche sulla produttività della società nel suo insieme”.

E’ pur vero, però, che gli studi sul marketing museale nel frattempo si sono evoluti e dopo una prevalente attenzione per le tecniche che miravano ad aumentare fatturato e utili, si concentrano, ora, sulla ricerca di soluzioni che siano in grado di creare autentico valore per il visitatore (Vittorio Falletti, I musei, 2012, p. 129).

Nel nuovo marketing l’attenzione è più focalizzata sulle persone, sulla cura delle relazioni interpersonali, sulle opinioni, sui “luoghi” intesi come insieme di tradizioni e di cultura locale ma non solo, anche come spazi virtuali di condivisione (social media, ecc.). Esso si propone di creare esperienze di vita conformandosi ai desideri della gente e, in base a questo, cerca di creare prodotti che rispecchino quelle esigenze e aspettative. Da questa filosofia anche il mondo dei musei potrà attingere strategie e idee.

Oltre ai doveri tradizionali del conservare, esporre, educare, i musei oggi hanno assunto altri generi di responsabilità rivolte, per esempio, all’inclusione sociale (quindi alla ricerca dei pubblici solitamente esclusi dalla fruizione museale), all’armonia sociale (diventando luoghi di incontro, di conoscenza reciproca e di dialogo) e alla promozione territoriale (quando sono mediatori di azioni sinergiche finalizzate a valorizzare le ricchezze culturali ed economiche).
Trovare un punto di incontro tra il desiderio di rendere più “attrattivi” i musei, il dovere di non snaturarne le funzioni primarie e l’assunzione di nuovi compiti, è l’unico modo possibile per non perdere pezzi importanti del nostro patrimonio museale lungo il cammino.

APRE IL MUSEO DELL’ARTE CONTADINA DI LUCITO, IN MOLISE

Aprirà al pubblico il prossimo 9 maggio alle 16,30 il Museo dell’Arte contadina di Lucito. La struttura intitolata “Lucito...un Monumento rurale per l’arte contadina Molisana” si trova in via Gabriele Pepe.

 L’iniziativa nasce dalla volontà di promuovere e diffondere la scoperta, la conoscenza e la salvaguardia degli attrezzi agricoli del passato in tutti i suoi aspetti. Il progetto è stato realizzato grazie al Bando del Programma di Sviluppo Rurale 2007/2013. Il museo è entrato a far parte dell'Associazione Nazionale Piccoli Musei, «un vanto unico - afferma l’ideatore del progetto Christian Agricola per questa piccola realtà e questa regione».




All'inaugurazione è prevista la presenza del sindaco di Lucito, il presidente del Gal Molise verso il 2000, il presidente dell’associazione nazionale dei Piccoli Musei Italiani, il Presidente della regione Molise e l’assessore regionale alle politiche agricole. Seguirà la visita guidata al museo da parte della dottoressa Ilaria Di Cillo, laureata all'Università degli Studi del Molise in Archeologia Beni Culturali e Turismo che si è occupata in modo volontario di restaurare, inventariare e catalogare gli oltre 600 pezzi che saranno esposti nel museo.
Articolo tratto dal sito primonumero.it.

Piccoli musei e #MuseumWeek: un modello di comunicazione attiva e interattiva

Alcune considerazioni a margine della manifestazione internazionale che ha riunito su Twitter 2800 musei di tutto il mondo

di Caterina Pisu

1- Analisi grafica de La Magnetica inerente l'attività dei musei italiani durante la #MuseumWeek 2015




A circa dieci giorni dalla conclusione di #MuseumWeek 2015 mi sembra opportuno tirare le somme di questo importante avvenimento social che, come è stato ampiamente divulgato da molti specialisti e da vari organi di informazione, è molto cresciuta rispetto alla prima edizione del 2014, coinvolgendo più di 2800 musei di 77 Paesi. Ben 259 delle adesioni sono arrivate dall’Italia, numero quadruplicato rispetto al 2014. Già dopo la prima edizione di #MuseumWeek si era avvertito un aumento di interesse da parte dei musei italiani per la comunicazione 2.0 e i dati di quest’anno ne sono stati la conferma. Si è trattato di una presenza non solo numericamente rilevante ma, in molti casi, anche molto incisiva. I dati diffusi dagli organizzatori di #MuseumWeek nel corso della manifestazione hanno evidenziato i dieci musei che hanno twittato, ritwittato e replicato di più (fig. 2); tra questi sono presenti quattro musei italiani: al primo posto l’Area archeologica di Massaciuccoli Romana, al secondo l’Antiquarium di Porto Torres, all’ottavo il Museo dell’Orologio di Bergallo, al decimo il Museo Archeologico del Distretto Minerario di Rio nell’Elba. L’Associazione Nazionale Piccoli Musei / APM – che lo scorso anno era tra le prime tre istituzioni culturali più attive della manifestazione – quest’anno, con lo sdoppiamento dell’account in @piccolimusei e @piccolimusei2, ha svolto ugualmente un ruolo rilevante, soprattutto di impulso al dialogo, risultando essere anche tra gli account più menzionati (http://www.socialmeteranalysis.it/museum-week-2015-twitter-contagia-i-musei/)
2 - I dieci musei più attivi durante la #MuseumWeek (dal sito http://museumweek2015.org/en/twitter-space/)

E’ interessante notare che tre dei quattro musei della “top ten”, Area archeologica di Massaciuccoli, Antiquarium di Porto Torres e Museo Archeologico del Distretto Minerario di Rionell’Elba, insieme ad altri musei molto produttivi durante la settimana dei musei su Twitter o a quelli che comunque hanno fatto sentire la propria presenza (tanti i musei che hanno interagito tra loro e con l'APM: il Museo della Fondazione Querini di Venezia, il Museoarcheologico virtuale di Ercolano/MAV il Museo Civico di Fucecchio, il Museodelle Palafitte di Fiavè, il Museo Civico di Maglie, il Museo della Memoria Locale di Cerreto Guidi/MuMeLoc, il Museo della Centuriazione Romana, il Museo della Bora, il Museo del Carbone, il Museo Ceriodi Capri, il Museo dei Tasso e della Storia Postale, il Museo della Ceramica di Montelupo, il Museo di Villa Bighi, il Castello Cavour di Santena, il Museo “G.Filangieri”) sono stati protagonisti delle due edizioni di #smallmuseumtour, una iniziativa ideata lo scorso anno dall’APM per Twitter e che ha avuto, tra i suoi migliori risultati, quello di aver dato vita ad una comunità virtuale di  musei, di professionisti museali, di specialisti e di followers, tuttora molto dinamica. Il Museo Archeologico Nazionale “G. A. Sanna”, Poli Museo della Grappa e il Parcoarcheologico di Poggio La Croce, che non hanno ancora partecipato a #smallmuseumtour ma che saranno tre dei musei presenti nelle prossime edizioni, sono già ben inseriti sin da ora in questa comunità. Infine, è proseguita l’interazione anche con altri musei che seguono i nostri account pur non avendo ancora preso parte direttamente ad iniziative collegate con l’APM: tra questi il Museo dell’Orologio di Bergallo, il Museo Etno Antropologico e dell'Emigrazione Valguarnerese, il Museo Civico di Belriguardo, il Museo CarloZauli, il Museo Civico di Belluno, il Museo Etrusco di Populonia, il Museo Tattile di Varese, il Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah/MEIS, il Museo d'Arte e Scienza di Gottfried Matthaes, il Parco Rupestre Lama D'Antico e il Palazzo Civico delle Arti di Agropoli, per citarne solo alcuni.

In occasione di #MuseumWeek, dunque, non è stato necessario concordare alcuna strategia comune. Il dialogo tra i musei si è attivato spontaneamente grazie all’esistenza di questa “rete” virtuale già consolidata. L’APM si è posta come obiettivo quello di essere parte attiva del dialogo utilizzando da un lato l’immissione di contenuti propri, dall’altro il rilancio di quelli prodotti dai musei. In una manifestazione come #MuseumWeek, di lunga durata e che ha visto coinvolti più di 76.000 utenti con un flusso di circa 270.000 tweet, ottenere visibilità era importante. Sui social network è necessario non solo postare contenuti ma anche interagire. Questa forma di comunicazione ha un senso se è bidirezionale/multidirezionale o si rischia di trasferire sui social lo stesso “modello gestionale autoritario” che impedisce  la “comunicazione e l’interazione culturale e sociale” e soprattutto la “partecipazione collettiva alla produzione di valore culturale” (Elisa Bonacini, v. http://piccolimusei.blogspot.it/2013/11/il-museo-partecipativo-sintesi-della.html).

Pertanto, a mio parere e alla luce di queste considerazioni, il tipo di comunicazione adottato dai piccoli musei italiani è stato ben concepito in quanto ha favorito il dialogo museo/museo e museo/followers, ha rafforzato la comunità virtuale preesistente e l’ha ampliata includendo nuovi musei, quali il Sistema museale di Ugento, il Museo Civico del Setificio Monti e il Museo della Vita contadina Cjase Cocèl. Intensa, come si è detto, anche la partecipazione di molti followers, per la gran parte specialisti/cultori della materia o comunque persone attive in ambito culturale e in particolare nel settore dei musei, come Valerio Deidda (@ArT9it),  Massimiliano Zane (@mz_arte), Luisa Moser (@MoserLluisa), Leontina Sorrentino (@LeontinaDAB), Daniele Cei (@danielecei), Rossella Luciano (@Rossella_l2014), Veronica Ramos (@ramosveronica86), Concetta Lapomarda (@conclapo), Valentina Caffieri (@ValenCaffieri), Anna Marras (@annamao), Marta Coccoluto (@MartaCoccoluto), Maria Stella Bottai (@Stellissa), Marzia Dentone (@MarziaDentone), Silvia Andreozzi e Monica Palmeri (fondatrice e caporedattore di Zebrart.it: @silviaandreozz1, @MonicaPalmeri, @zebrartit).

Si è detto che tantissimi sono stati i tweet e le repliche, numerosissimi anche i retweet, una funzione affatto banale di Twitter e quanto mai necessaria in una manifestazione come #MuseumWeek in cui si voleva da una parte “amplificare” la portata di un tweet e dall’altra mantenere tutta la propria rete unita e partecipe del dialogo in corso. La visibilità ottenuta è stata ricambiata dall’attenzione di nuovi followers che si sono aggiunti alla rete già esistente. E’ stato importante anche mantenere costante il flusso di tweet e retweet; ciò ha comportato un impegno notevole, dovendo coprire fino a 14 ore giornaliere. Contenuti, dialoghi informali, immagini e attività varie sono stati distribuiti in questo lungo arco di tempo, mantenendo sempre alto il livello di interesse generale, piacevole e mai noiosa la conversazione, a tratti divertente come è giusto che sia in un evento con le caratteristiche di #MuseumWeek e come dimostra, in effetti, il gradimento manifestato più volte dai followers. I musei hanno dato di sé una nuova immagine, più vicina alle persone, più dialogante e quindi meno “ingessata” nel ruolo istituzionale.

E’ importante rilevare che il vantaggio dei piccoli musei rispetto alle grandi istituzioni museali (le quali spesso affidano la comunicazione alle società in house), è che la gestione dei social media in molti casi è operata direttamente dallo staff dei musei senza alcun tipo di mediazione esterna. Ciò determina una comunicazione più libera, colloquiale e più immediata nell’interazione. Quest’anno si può affermare che sia stato raggiunto un risultato eccezionale, quindi, non solo in termini di partecipazione ma soprattutto per il grande cambiamento che in particolare i piccoli musei stanno operando per aprirsi all’esterno e per essere luoghi di produzione culturale e di fruizione attiva e interattiva.

L’aspetto che si cercherà di migliorare riguarda la partecipazione del pubblico più lontano dal mondo dei musei: si tratta di una sfida non facile ma che i piccoli musei sono in grado di affrontare con le giuste strategie, iniziando, per esempio, da un maggior uso dei social nei rapporti con le scuole. Le prime sperimentazioni di questo tipo sono già state fatte per esempio dal Museo Civico di Maglie nel corso di #MuseumSchool.
Tenendo conto della grande apertura dei musei nei confronti della comunicazione social, come ha dimostrato l’edizione 2015 di #MuseumWeek, le prospettive per il futuro sono senza dubbio molto promettenti.

Di seguito, una selezione di tweet postati durante la #MuseumWeek appena conclusa:




Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

Fonte dell'immagine: The Federalist Negli Stati Uniti, presso l’Art Institute of Chicago (AIC) si è aperto un caso che potrebbe essere d...