Riforma della cultura: «Una macelleria» per Antonio Paolucci




Tratto da INSIDEART  del 29/07/2014


«A me, come ad altri, ha colpito questo colpo di mano senza che i vari soprintendenti e gli storici dell’arte, cioè coloro che hanno il polso della situazione, siano stati in qualche modo partecipati, come sarebbe logico pensare. Il risultato è che con la scusa della spending review sono state proposte cose che potrebbero tradursi in vera macelleria culturale». Così, in una intervista ad Avvenire, Antonio Paolucci, storico dell’arte già ministro dei Beni culturali e soprintendente e oggi direttore dei musei Vaticani, critica la proposta di riforma dei Beni culturali lanciata dal ministro Dario Franceschini. In particolare contesta l’accorpamento delle soprintendenze e il puntare tutto su pochi grandi poli museali guidati da manager: il direttore di una grande catena di supermercati deve saper accontentare i clienti di oggi; un soprintendente degno di tal nome lavora anche, se non soprattutto, per gli uomini e le donne che devono ancora nascere. Ma ora ci sono queste mitologie esterofile e ci vuole la fondazione, ci vuole il manager».
Secondo Paolucci il patrimonio culturale prima che a fare quattrini serve a creare i cittadini, a fare degli italiani un popolo con una propria identità e specifiche caratteristiche culturali: «Questa è la vera nostra forza». E rispetto a esempi come il Louvre e l’Ermitage commenta: «Da noi non esiste questa tipologia di grande museo generalista. Da noi il museo è in ogni luogo. L’Italia è un museo diffuso all’ombra di ogni campanile. È il riflesso della nostra storia fatta di cento capitali. Noi storici dell’arte questo lo sappiamo bene, altri probabilmente non lo sanno e il vero moltiplicatore occupazionale è quello generato dal nostro patrimonio culturale: il bello diffuso che diventa qualità del prodotto italiano».

Il Sindaco di Roma, Marino: i piccoli musei accolgano concerti e sfilate di moda




Nei giorni scorsi, il Sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha dichiarato: "Abbiamo deciso di utilizzare i piccoli musei. Vogliamo renderli maggiormente fruibili, più vivi attraverso una programmazione che comprenda presentazioni di libri, concerti e anche sfilate di moda".(http://www.liberoquotidiano.it/news/cronaca/11647127/Roma--Marino--piccoli-musei.html)".

Quando i politici esprimono un'opinione sui musei, in genere ne parlano come qualcosa di inutile che ha bisogno di essere valorizzato portandoci dentro iniziative che solitamente sono totalmente avulse dai contenuti e dalla programmazione culturale di quei musei. Scatole vuote da riempire, in sintesi. Ma ha senso considerare i musei solo degli "spazi" e non pensare piuttosto a farli diventare dei musei veri, se non lo sono, dotandoli di personale competente e di un minimo di risorse?

Basterebbe osservare ciò che già esiste e che funziona, sia in Italia che all'estero, e ci si accorgerebbe che più che le sfilate di moda e i concerti, ciò che fa funzionare bene quei musei, soprattutto i piccoli musei, è la capacità di comunicare, di relazionarsi con il pubblico, in particolare con i residenti, la passione (e ovviamente la capacità e le competenze) delle persone che li gestiscono.

Solo se esistono queste premesse, allora il museo può anche permettersi di esulare dai suoi contenuti specifici per accogliere tematiche che in determinate circostanze gli consentono di ampliare il dialogo con il proprio pubblico. Ma se il museo è "spento", non saranno certo le sfilate di moda a renderlo vivo.

Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

Fonte dell'immagine: The Federalist Negli Stati Uniti, presso l’Art Institute of Chicago (AIC) si è aperto un caso che potrebbe essere d...