Musées (em)portable: ancora tre mesi per partecipare



Il 13 dicembre è il termine ultimo per partecipare alla terza edizione del concorso Musées (em)portable, il concorso francese cui tutti possono partecipare con un filmato della durata di non più di tre minuti, realizzato in un museo o che, in ogni caso, abbia come oggetto un argomento che si riferisce ai musei, alle mostre o ad eventi culturali che si sono svolti nei musei, anche un "dietro le quinte" realizzato da chi in un museo ci lavora.

L'importante è che i filmati siano stati realizzati con un telefono cellulare, uno smartphone, con telecamere e macchine fotografiche portatili oppure con un tablet, e che non superino la durata di tre minuti.
Il concorso è organizzato da Museumexperts. L’evento si svolgerà presso il SIMESITEM,  il Salone Internazionale dei Musei e dei luoghi di cultura, il 28, 29 e 30 gennaio 2014, presso il Carrousel du Louvre, a Parigi. 


La partecipazione è gratuita ed è aperta a tutti, anche ai ragazzi di età inferiore ai 18 anni.

L’idea di questo concorso è nata dall'osservazione che esiste uno stretto collegamento tra la diffusione dei cellulari e di altri dispositivi mobili e la sempre più estesa modalità "globale" della comunicazione. Sono un miliardo i dispositivi mobili in circolazione in tutto il mondo: perché non utilizzarli per qualcosa di creativo? La proposta, allora, è quella di realizzare un filmato in un museo, perché se è vero, come affermano gli organizzatori, che la sicurezza impone le sue regole e spesso non è concesso filmare o fare fotografie nei musei, si possono rompere schemi troppo rigidi a vantaggio della libertà e di una maggiore soddisfazione dei visitatori, tenendo conto di poche, semplici regole. Sono principi che l'Associazione Nazionale Piccoli Musei riconosce come propri, ed è per questo che abbiamo deciso di dare il nostro supporto per il secondo anno consecutivo al concorso francese Musèes (em)portables, su invito del Presidente di Museumsexpert, Jean François Grunfeld.

Il concorso prevede la selezione dei migliori filmati da parte di una giuria, la quale assegnerà i seguenti premi: 


- il Gran Premio della Giuria: € 2000 

- Secondo e terzo posto: € 1.000 ognuno

- per gli autori di età inferiore ai 18 anni che parteciperanno individualmente o in gruppo (le scuole, per esempio), il Ministero della Cultura francese assegnerà il premio di € 2500 che si articolerà come segue: € 1500 al film primo classificato, € 500 ciascuno al secondo e terzo classificato.


MODALITÁ DI PARTECIPAZIONE:

L’iscrizione al concorso deve essere effettuata compilando il modulo di registrazione (1), l'autorizzazione all'utilizzo del filmato da parte dell'organizzazione (2) e la dichiarazione di titolarità del copyright della colonna sonora utilizzata nel filmato (3).

Questi sono i moduli da scaricare (tutti in lingua francese):


I tre moduli dovranno essere inviati, unitamente alla copia del filmato, in formato .avi, registrato su CD, DVD o su USB, al seguente indirizzo:



Musées (em)portables /Museumexperts

18 rue de la Michodière
Paris 75002
France


L'assegnazione dei premi si svolgerà tra il 29 e il 30 gennaio 2014, a Parigi, presso il Carrousel du Louvre.


Altri documenti da scaricare:

Regolamento in lingua italiana
Regolamento in lingua francese
Locandina ufficiale del concorso





Pranzare al museo: la classifica dei dieci migliori ristoranti

Dal Blog di Maria Alessandra Tioli, La Cucina Economica, pubblico il link a questo interessante articolo:  La Cucina Economica: Pranzare al museo, i dieci migliori ristoranti, pe...: Una veloce carrellata sui musei che meritano una visita anche solo per il loro ristorante. 

E' chiaro che un museo deve offrire qualcosa di più che un buon ristorante, ma se un visitatore ha la possibilità di godersi una visita rilassante e di concluderla anche con un ottimo pranzo in un un ambiente gradevole, ben venga! Anche questo rientra nelle buone prassi dell'accoglienza e in questo blog abbiamo affrontato l'argomento in varie occasioni. Buona lettura!

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Musée d'Orsay Restaurant, Parigi

La nuova Newsletter dei Piccoli Musei

Dal blog dell'Associazione Nazionale Piccoli Musei 


di Giancarlo Dall'Ara

  
E' appena uscito il primo numero della newsletter dei Piccoli Musei curata da Caterina Pisu. Si parla del prossimo convegno di Assisi, e dei progetti in cantiere. Ecco uno stralcio:
"L'APM, in collaborazione con il quotidiano Il Messaggero, sta preparando un nuovo progetto che avrà inizio il prossimo autunno. Si tratta di un concorso che si ispira al britannico Telegraph Family Friendly Museum Award, ideato da Kids in Museums. L'obiettivo non è solo premiare i musei preferiti dalle famiglie attraverso un concorso che si svolgerà online dalle pagine de Il Messaggero, ma soprattutto mettere in evidenza il rapporto tra i musei e questa categoria di visitatori. Abbiamo già ottenuto l'adesione di soprintendenze, sistemi e reti museali, singoli musei. Per quest'anno il concorso interesserà le regioni in cui è diffuso Il Messaggero, ovvero Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo. I responsabili dei musei ubicati in queste regioni, che sono interessati al concorso e che sono disponibili a concedere l'ingresso gratuito oppure una riduzione sul biglietto d'ingresso ai lettori de Il Messaggero, possono contattare via e-mail Caterina Pisu (caterinapisu@alice.it) per avere ulteriori informazioni."

La trovate anche sulla nostra pagina Facebook:


The spirit of sharing: le nuove strategie di comunicazione dei musei nell'epoca di Twitter


Dal New York Times del 16 marzo 2011, è tratto questo articolo di Carol Vogel, intitolato “The Spirit of Sharing” che descrive in che modo alcuni musei statunitensi si sono preparati ad affrontare i cambiamenti imposti dalle nuove tecnologie alla comunicazione museale. L’articolo mette in evidenza il lavoro svolto dai singoli professionisti che operano nel settore della comunicazione digitale di alcuni grandi musei. Persone che, talvolta, vivono quasi ininterrottamente “on-line” e che hanno il compito di monitorare le propensioni e gli interessi dei visitatori internauti e il loro modo di comunicare con l’istituzione museale. Un lavoro non facile che deve essere affrontato tenendo sempre presente gli obiettivi primari del museo senza farsi condizionare dalle “mode” che inevitabilmente le folle contribuiscono a diffondere e cercando di svolgere il proprio ruolo di mediatori nei confronti della società. Siamo, però, ancora all’inizio di questa trasformazione della comunicazione tra i musei e il pubblico. I progetti che implicano partecipazione e condivisione di contenuti sono ancora relativamente pochi e per ora la maggior parte dei curatori continua a svolgere il proprio lavoro in modo tradizionale.





Shelley Bernstein vive con il suo computer. Quasi tutti i giorni si rintana nel suo ufficio spartano presso il Brooklyn Museum, dove lavora come Chief Technology Officer, inventando modi per far venire le persone in visita al museo e al suo sito Web, brooklynmuseum.org.


Ogni sera torna a casa in bicicletta, a Red Hook, Brooklyn, per stare con Teddy, il suo amato pit bull, e anche da casa continua a monitorare la presenza dell'istituzione su Facebook, Flickr, YouTube, Four Square e Twitter, dove ha quasi 183.000 seguaci.
Alcuni dei suoi progetti – per esempio mostrare ai suoi followers un tepee di 28 metri in costruzione nel museo o invitarli a partecipare ad una mostra proponendo un quiz sulle arti visive – le hanno portato a una marea di inviti a tenere conferenze in tutto il mondo.
Un decennio fa, i siti web museali erano poco più che una pagina di pubblicità on-line e si limitavano alla visualizzazione degli orari del museo, dei prezzi del biglietto d’ingresso e delle mostre in corso. Ora, invece, la tecnologia in continua evoluzione ha creato nuove opportunità, e persone come Shelley Bernstein stanno diventando elementi fondamentali per aiutare i musei a svilupparsi.
Se avrete occasione di parlare con qualunque professionista che si occupi di nuove tecnologie museali, vedrete che inevitabilmente la conversazione si focalizzerà soprattutto su una parola: fidelizzazione.
«Puntiamo più sul visitatore che sulla tecnologia» - conferma la trentasettenne, dinamica Shelley, rispondendo prontamente a ogni domanda del suo intervistatore. «Alla fine, quello che vogliamo è che le persone sentano di appartenere a questo museo. Chiediamo loro di dirci quello che pensano. Anche le recensioni negative, in caso di un nostro errore, ci possono essere d’aiuto. Vogliamo entrare in contatto con la nostra comunità.»
I musei hanno cercato a lungo di essere luoghi accoglienti e paradisi dell’apprendimento, ma ora i social media li stanno trasformando in luoghi di creazione di comunità virtuali. Su Facebook o su Twitter o su qualsiasi sito web museale, ognuno può esprimere il suo parere. Perciò i curatori e i visitatori on-line possono comunicare, imparando gli uni dagli altri. E quando i visitatori portano al museo i propri dispositivi palmari, la potenziale interattività si intensifica.
Tuttavia, c'è un avvertimento. La nuova tecnologia è «stimolante, e riusciamo a dare una grande quantità di informazioni» - afferma Thomas P. Campbell, direttore del Metropolitan Museum of Art - «ma dobbiamo ricordare alla gente che il loro obiettivo è la scoperta dell’arte.»
La tecnologia e tutti i suoi strumenti rappresentano anche le nuove sfide dei musei. Tra queste: come installare un accesso internet wireless in vecchi edifici, così che i visitatori possano utilizzare i propri dispositivi; come tenere il passo con le continue richieste dei social media e, ancora più importante, come calibrare l’influenza del pubblico sulle attività del museo.
E’ anche importante non farsi coinvolgere troppo dalle mode. Non dimentichiamo che una volta «tutti avevano un pogo stick (saltarello) e uno scooter», ha continuato il direttore - «e che ora, invece, tutti twittano.»
Il Met ha creato la sua pagina web sull’evoluzione della storia dell'arte nel 2000, riuscendo ad attirare, lo scorso anno, più di sei milioni di visitatori. Ora(2011) il sito Web sta avendo un restyling che sarà concluso  a fine estate.
Definendo quello che la tecnologia sta producendo per il museo "un delirio di creatività", il direttore ha aggiunto: «Ogni generazione deve trovare le giuste modalità di comunicazione, e se ciò aiuta a tenere le porte aperte, allora è una buona cosa.»
Gli sviluppatori di queste tecnologie dicono che non esiste un limite alla portata del flusso di informazioni. Quando il San Francisco Museum of Modern Art dovette portare al laboratorio di restauro uno dei suoi quadri più famosi, la "Donna con un cappello" di Matisse, fu postata su Facebook una fotografia delle operazioni di rimozione del quadro. «In questo modo la gente poteva dare una sbirciatina dietro le quinte in tempo reale» - ricorda Ian Padgham, membro dello staff che cura la comunicazione digitale del museo - «È tutta una questione di trasparenza e spontaneità.»
In occasione di un viaggio a Parigi, racconta Padgham, ha pensato di cercare i luoghi dove avevano lavorato gli artisti rappresentati nella collezione del museo: «Sono stato in grado di trovare il punto esatto in cui Man Ray ha fotografato St. Sulpice». Così ha realizzato una fotografia dalla stessa angolazione e l’ha postata su Facebook con un link che rimandava all'opera originale. Il post di Facebook è stato "apprezzato" da 189 persone ed ha suscitato commenti entusiastici.
Al Museo d'Arte di Indianapolis , invece, gli utenti web possono esplorare le sue collezioni, i suoi membri, il numero di visitatori che ha avuto in un giorno specifico, e anche quanto impegno viene messo in tutte le attività. «Ci piace condividere le informazioni con il pubblico, con la stampa e con il nostro personale» - ha detto Robert Stein, vice direttore per la ricerca, la tecnologia e l'engagement al museo di Indianapolis -«Questa è una delle nostre missioni più importanti.»
Il sito web del Metropolitan Museum of Art, invece, ha dato vita ad una nuova iniziativa denominata "Connections", dove, dietro le quinte, lo staff del museo – in particolare un educatore e un produttore di media - parlano delle loro opere preferite, appartenenti alla collezione del museo. «Abbiamo creato un equilibrio tra le opinioni personali e quelle degli accademici» - afferma Erin Coburn, il chief officer of digital media del Met.
Il museo ha anche creato una sezione del sito web denominata Date Night per il giorno di San Valentino , con un assistente editoriale che descrive le opere d’arte più romantiche del Met. L’iniziativa è stata postata su Facebook, ed è stato chiesto agli utenti di condividere ciò che pensavano di queste opere. «Volevamo riproporla in ambiti differenti», ha spiegato Erin Coburn, e così il post ha ricevuto centinaia di “like”.
La differenza è che mentre i social media hanno ricevuto sempre così tanta attenzione – continua Erin Coburn - «sul sito web non ci sono state richieste di avere un maggior numero di informazioni o di avere più immagini ingrandite, più testi descrittivi, video e audio, tutti riuniti in un medesimo spazio.»
Per coloro che vogliono conoscere nei dettagli i "singoli pezzi", il museo ha introdotto anche delle applicazioni per i dispositivi mobili. Il primo è stato quello per l’esposizione, Guitar Heroes: Legendary Craftsmen from Italy to New York. Da quando è stato introdotto, il 5 febbraio 2011, più di 40.000 persone lo hanno scaricato.
Per alcuni musei, i siti Web funzionano come se fossero il loro ingresso principale. Il numero di visitatori presso l’Indianapolis Museum of Art, nel 2010, era di 430.000 visitatori, ma il suo sito web ha avuto quasi un milione di utenti che hanno potuto vedere le collezioni del museo, guardare i video e contribuire ai blog.
«Dobbiamo essere rilevanti sul Web, rendendo costantemente interessanti le nostre informazioni» - afferma Maxwell L. Anderson , direttore del Museo d'Arte di Indianapolis. Un modo, ha detto, è  quello che lui definisce il potere del "pensiero collettivo." E così nel 2009, il museo, ha creato artbabble.org, un sito Web che offre video di istituzioni museali di tutto il mondo. «Abbiamo iniziato con sei partner e ora ne abbiamo 30 in tutto il mondo», ha detto Stein.


Il network internazionale del Solomon R. Guggenheim Museum ha dato un nuovo significato alla democratizzazione dell'arte quando ha creato il progetto YouTube Play, grazie al quale chiunque, con una videocamera e un computer, aveva la possibilità di inserire filmati nella sua biennale di video creativi che ha avuto luogo nel mese di ottobre in tutti i musei Guggenheim sparsi nel mondo. 
La biennale è stato un tale successo - 23.358 proposte provenienti da 91 paesi e più di 24 milioni di spettatori su YouTube – tanto che il Guggenheim è già in trattative con YouTube per l’organizzazione della prossima. «Ci ha dato la possibilità di comunicare in modo più diretto con le persone» - ha detto Nancy Spector, curatore capo del Guggenheim di New York - «Ed è stato l’inizio dell’utilizzo di un mezzo di comunicazione e di condivisione che si pensava che fosse di bassa cultura, ma che invece sta emergendo come una forma d'arte.»
La partecipazione pubblica sta prendendo forme diverse in vari musei. Il sito web del Brooklyn Museum, per esempio, ha organizzato un quiz  che aiuterà alla creazione della mostra Split Second: Indian Paintings.

Bisogna dire, in conclusione, che progetti come quelli del Brooklyn Museum e del Guggenheim sono eccezioni. La maggior parte di ciò che accade dentro i musei è ancora a cura dagli studiosi. L'obiettivo di tutta questa tecnologia resta ancora quella di portare la gente al museo.

Il più piccolo museo del mondo? E' a New York e misura sei metri quadrati

"Museum", questo il suo semplicissimo nome, ha le dimensioni di un ascensore di sei metri quadrati e infatti è stato ricavato in un ex montacarichi, a Cortlandt Alley, a New York. 

Inaugurato nel maggio del 2012, non espone opere d’arte o reperti antichi, ma mette in mostra oggetti del quotidiano, quasi uno specchio della società: uno scalda-acqua, l’incarto di una confezione di patatine, un’antenna, ecc. 



Il “pezzo forte” della collezione è la scarpa lanciata contro George W. Bush, a Baghdad, nel 2008. 



I visitatori non mancano: ogni fine settimana è visitato da circa 200 persone, ma possono entrare solo tre alla volta, dato lo spazio angusto.

L’idea di creare un museo così originale, sia per il contenuto che per il contesto, è di Alex Kalman, Benny e Josh Safdie, mentre la sponsorizzazione è dei magnati della moda Kate, Andy Spade e Bea Spade. La finalità è quella di trasformare la nostra visione di oggetti apparentemente banali, esponendoli in un nuovo contesto. Grazie ad un audio guida, i visitatori possono ascoltare la descrizione di ogni singolo oggetto.
Il Museo è aperto 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, solo su appuntamento. Ulteriori informazioni sul sito http://www.mmuseumm.com/

Museum
Cortlandt Alley
Btwn Franklin St & White St

New York City, NY 10013

Re-imagining museums for a changing world

L'immagine è tratta dal sito arthistorynews.com


I musei possono svolgere e sempre più speso svolgono un ruolo significativo nella lotta contro l'esclusione sociale. In collaborazione con le istituzioni o con altri agenti sociali, le “outreach activities” hanno aperto la strada per l’utilizzo della cultura come strumento di mediazione nell’ambito delle proprie comunità di riferimento. Alcuni obietteranno: “perché i musei dovrebbero svolgere un compito che storicamente è sempre spettato a soggetti istituzionali o religiosi?”. Questa osservazione nasce da una concezione del ruolo dei professionisti museali influenzata da una visione tradizionalista. L’immagine del curatore resta per molti, infatti, unicamente quella dello studioso e del custode delle collezioni. Solo da poco, anche all'interno della stessa comunità professionale, si sta affermando la consapevolezza che la funzione dei curatore sia molto più ampia di quanto non lo sia stata in passato e che debba uscire dai suoi confini tradizionali creando opportunità di attività esterne, anche extra-muros, a favore società.

I problemi nascono soprattutto quando bisogna cercare i finanziamenti per queste iniziative che certamente non producono benefici economici ma ne producono innumerevoli dal punto di vista sociale. Purtroppo, però, i finanziatori raramente valutano le attività sociali dei musei e il loro rapporto con le fasce emarginate delle comunità così necessarie e  vitali per i musei stessi.
Eppure, riuscire a costruire  relazioni a lungo termine con gli immigrati, i senzatetto o con le altre fasce deboli della cittadinanza non è certamente meno essenziale della creazione di un evento di successo.
Un esempio è il lavoro che alcuni musei britannici stanno facendo per i senzatetto in varie località del Paese. Tra questi, il Museo Holbourne di Bath, che svolge corsi d'arte settimanali per uomini e donne senza fissa dimora da almeno sei anni; il Museum of London, che organizza programmi mensili rivolti alle fasce vulnerabili della cittadinanza, compresi i senzatetto. E poi il progetto “Out in the Open” del  Colchester & Ipswich Museums, quello denominato “Outside In” della Pallant House Gallery, a Chichester oppure l’”Happy Museum project” del London Transport Museum.
La sostenibilità, intesa in senso sociale, cioè la creazione di relazioni di comunicazione, è al centro di tutte queste iniziative. Le relazioni richiedono tempo per svilupparsi e la fiducia non può essere acquisita nello spazio di poche ore, ma è anche molto facile che i risultati raggiunti svaniscano se i progetti non fanno parte dell’impostazione mentale di un'organizzazione museale e, quindi, se non trovano terreno fertile, dedizione costante e impegno da parte dei responsabili dei musei. 
I vantaggi, però, sono molto evidenti. Le attività outreach e le opportunità di volontariato possono aiutare i senzatetto ad acquisire nuove competenze e più fiducia in se stessi e nel prossimo, e trovare, così, un modo per tornare ad integrarsi nella società. Si è sperimentato con successo che gli individui che sono così spesso ignorati nella cultura dominante, a cui è negato l'accesso alla cultura, l’uso della creatività e anche il lavoro, ottengono da queste attività enormi vantaggi e la possibilità di avviarsi concretamente verso un cambiamento positivo della loro vita. 
Forse i musei che hanno instaurato questo rapporto con gli emarginati non sono diventati economicamente più ricchi, ma lo sono diventati sicuramente molto di più in senso professionale ed etico.

OLTRE LE MURA

di Caterina Pisu





Nessun museo può limitare i confini della missione di cui è depositario al perimetro delle mura del proprio edificio. Oltre alla conservazione delle collezioni è di vitale importanza conoscere bene il proprio territorio, capire quali realtà convivono con la propria e cercare di interagire con esse. E se un territorio, che si tratti di quello di una grande città o di un piccolo centro, ospita un carcere, chi è responsabile di un museo non può ignorare questa presenza, al cui interno vive una comunità che non deve essere trascurata.
Il Louvre è stato il primo museo al mondo ad aver stipulato, nel 2011, una convenzione con un carcere, nello specifico con l'amministrazione penitenziaria del Carcere di Poissy, a Parigi, che ospita 230 detenuti, di cui l’80% condannato a più di 20 anni di reclusione. 
Il progetto, denominato "Au-delà des murs", aveva permesso a 10 detenuti di partecipare alla creazione di una mostra di 10 riproduzioni di opere esposte nel Museo del Louvre, con l'obiettivo di portare l'arte all'interno del carcere, solitamente escluso dalle manifestazioni culturali pubbliche.  
Il rapporto del Louvre con le carceri risale già al 2007: fino ad oggi sono state organizzate più di 120 attività cui hanno preso parte professionisti del settore culturale. Nel caso del progetto "Au-delà des murs", che ha rafforzato l'impegno del Louvre per le attività sociali e culturali nelle carceri, ogni detenuto che ha preso parte al progetto ha scelto autonomamente il proprio modo di contribuire alla realizzazione della mostra, dedicandosi alla pittura, alla progettazione grafica o ai testi, ma lavorando sempre avendo come punto di partenza le opere visionabili nel catalogo del Museo, tra le quali i curatori del Louvre hanno preventivamente scelto 26 opere. 
I volontari sono stati scelti non per le loro capacità artistiche ma per la forte motivazione interiore che hanno dimostrato.
La mostra ha avuto la supervisione dello scrittore Luc Lang, membro della Maison des écrivains et de la littérature, e dell'architetto-scenografo Philippe Maffre (che ha già collaborato con il Louvre e che ha realizzato lo storyboard della mostra) i quali hanno lavorato al progetto con il gruppo di detenuti, con il personale del carcere e con quello del Louvre. 

Per circa sei mesi il cortile dell'istituto penitenziario ha ospitato l'esposizione delle riproduzioni realizzate dai detenuti mentre il Louvre esponeva, nello stesso tempo, una "mostra-specchio" con le copie delle stesse opere. Il cortile è stato scelto come spazio espositivo non perché non si disponesse di altre soluzioni, ma perché, in questo modo, tutti i detenuti, ogni giorno, avrebbero potuto osservare quelle opere e trarne un beneficio.
L'iniziativa ha suscitato grande emozione non solo nell'ambito della comunità carceraria e dello staff di curatori e collaboratori del Louvre, ma anche dell'intera cittadinanza parigina. 
Iniziative analoghe sono state proposte, successivamente, anche dalla National Gallery di Londra, ma per ora il Louvre resta l'unico museo ad aver trasformato i detenuti non solo in artisti ma anche in curatori.

Il caso dell’Art Institute of Chicago: fuori tutti i volontari bianchi dal museo

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